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Ci sono 9 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Vita soprannaturale  → crescita nella carità .

Confuso tra la folla, uno di quei periti della Legge che non riuscivano più a riconoscere gli insegnamenti che erano stati rivelati a Mosè, poiché loro stessi li avevano ingarbugliati in una sterile casistica, ha rivolto una domanda al Signore. Gesù schiude le sue labbra divine per rispondere al dottore della Legge, e gli dice lentamente, con la sicura certezza che viene da una profonda esperienza personale: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti (Mt 22, 37-40).

Osservate adesso un'altra scena: il Maestro è riunito con i suoi discepoli, nell'intimità del Cenacolo. Mentre si avvicina il momento della Passione, il Cuore di Cristo, circondato da coloro che ama, manda ineffabili bagliori di fiamma: Vi do un comandamento nuovo — confida ai suoi —: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 34-35).

Per giungere vicino al Signore attraverso le pagine del santo Vangelo, raccomando sempre di sforzarvi di 'entrare' nella scena in modo da parteciparvi come un personaggio tra gli altri. In tal modo — molte anime semplici e normali, di mia conoscenza, lo fanno con naturalezza — vi immedesimerete con Maria, che pende dalle parole di Gesù, oppure, come Marta, avrete il coraggio di esporgli con sincerità le vostre inquietudini, anche le più minute (cfr Lc 10, 39-40).

Signore, perché dici "nuovo" questo comandamento? Abbiamo appena ascoltato che l'amore verso il prossimo era prescritto già nell'Antico Testamento, e certamente ricorderete che Gesù, all'inizio della vita pubblica, aveva ampliato con divina generosità, queste esigenze: Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 43-44).

Signore, consentici di insistere: perché ancora chiami "nuovo" questo precetto? Quella notte, poche ore prima di immolarti sulla Croce, durante quell'indimenticabile colloquio con coloro che — nonostante le loro miserie e debolezze personali, così simili alle nostre — ti hanno accompagnato fino a Gerusalemme, Tu ci hai rivelato la misura insospettata della carità: Come io vi ho amato. Come ti capivano bene gli Apostoli, che erano stati testimoni del tuo amore insondabile! L'annuncio e l'esempio del Maestro sono chiari, precisi. Ha sottolineato con le opere la dottrina. Tuttavia, molte volte ho pensato che, dopo venti secoli, il comandamento continua ad essere "nuovo", perché ben pochi sono gli uomini che si sono presi cura di metterlo in pratica; gli altri, la maggioranza, hanno preferito e preferiscono non darsi per intesi. Con egoismo esasperato giungono a concludere: «Perché tante complicazioni? È già troppo se riesco a badare a me stesso».

Questo atteggiamento è inammissibile per i cristiani. Se professiamo la stessa fede, se davvero vogliamo ricalcare le nitide impronte lasciate sulla terra dai passi di Cristo, non dobbiamo accontentarci di evitare agli altri il male che non auguriamo a noi stessi. Questo è già molto, ma è ancora poco, se capiamo che la misura del nostro amore è definita dal comportamento di Gesù. Egli, inoltre, non ci propone questa norma di condotta come una meta lontana, come il coronamento di tutta una vita di lotta. È — deve esserlo, insisto, perché tu lo traduca in propositi concreti — il punto di partenza, perché Gesù nostro Signore lo addita come contrassegno: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli.

Gesù Cristo, Signore nostro, si è incarnato e ha assunto la nostra natura per proporsi all'umanità come modello di tutte le virtù. Imparate da me — è l'invito — che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29).

In seguito, quando spiega agli Apostoli il segno da cui saranno riconosciuti come cristiani, non dice: «Perché siete umili». Egli è la purezza più sublime, l'Agnello immacolato. Nulla poteva macchiare la sua santità perfetta, senza ombra (cfr Gv 8, 46). Eppure non dice: «Capiranno che siete miei discepoli perché siete casti e puri». Ha camminato per il mondo nel più completo distacco dai beni della terra. Egli era il Creatore e il Signore dell'universo, e non aveva neppure dove posare il capo (cfr Mt 8, 20). Ma non dice: «Vi riconosceranno come miei, perché non vi siete attaccati alle ricchezze». Rimane per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto, digiunando rigorosamente (cfr Mt 4, 2), prima di dedicarsi alla predicazione del Vangelo. E, ancora, non dice ai suoi: «Capiranno che servite il Signore perché non siete mangioni né beoni». La caratteristica distintiva degli Apostoli, dei veri cristiani di ogni tempo, l'abbiamo ascoltata: Da questo — proprio da questo — tuttisapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35).

Trovo perfettamente logico che i figli di Dio siano sempre rimasti colpiti — anche tu e io lo siamo, in questo momento — da quel modo di insistere del Maestro. Il Signore non stabilisce, come prova della fedeltà dei suoi discepoli, i prodigi e i miracoli strepitosi, benché abbia loro conferito il potere di compierli, nello Spirito Santo. Che cosa dice loro? Capiranno che siete miei discepoli se vi amerete reciprocamente (SAN BASILIO, Regulae fusius tractatae, 3, 1 [PG 31, 918]).

Non odiare il nemico, non rendere male per male, rinunciare alla vendetta, perdonare senza rancore, era considerato a quel tempo — ma anche oggi, non illudiamoci — un comportamento insolito, troppo eroico, fuori dell'ordinario. La meschinità delle creature giunge a tali estremi. Gesù Cristo, che è venuto a salvare tutte le genti e vuole rendere partecipi i cristiani della sua opera di redenzione, ha voluto insegnare ai suoi discepoli — a te e a me — una carità grande, sincera, più nobile e preziosa: dobbiamo amarci reciprocamente come Cristo ama ciascuno di noi. Soltanto così, imitando — per quanto consentito dalla nostra rozzezza personale — il comportamento divino, riusciremo ad aprire il nostro cuore a tutti gli uomini, ad amare in modo più alto, totalmente nuovo.

I primi cristiani hanno saputo mettere in pratica molto bene l'ardore di questa carità, che superava di gran lunga le vette della semplice solidarietà umana, o della benignità di carattere. Si amavano fra di loro, dolcemente e con fortezza, a partire dal Cuore di Cristo. Scrivendo nel secondo secolo, Tertulliano ha riportato che i pagani, commossi nel vedere il comportamento dei cristiani di allora, pieno di attrattive soprannaturali e umane, ripetevano: Guardate come si amano! (TERTULLIANO, Apologeticus, 39 [PL 1, 471]).

Se ti accorgi che tu, adesso o in tante altre occasioni della giornata, non meriti questa lode; che il tuo cuore non corrisponde come dovrebbe alle richieste divine, renditi conto che è giunto il momento di rettificare. Accogli l'invito di san Paolo: Operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede (Gal 6, 10), verso coloro che appartengono alla nostra stessa famiglia, al Corpo Mistico di Cristo.

Mi piace raccogliere queste parole, che lo Spirito Santo ci ha comunicato per mezzo del profeta Isaia: Discite benefacere (Is 1, 17), imparate a fare il bene. Applico questa esortazione ai diversi aspetti della nostra lotta interiore, perché la vita cristiana non può mai essere data per conclusa, dal momento che la crescita nelle virtù è conseguenza di un impegno effettivo e quotidiano.

In qualunque attività civile, come si fa a imparare? Innanzitutto valutiamo il fine da raggiungere e i mezzi da impiegare. Poi, applichiamo con costanza tali mezzi, provando e riprovando fino a creare una disposizione radicata e solida. E mentre impariamo una cosa, ne scopriamo molte altre di cui non sospettavamo l'esistenza, e che ci stimolano a continuare il lavoro senza mai dire 'basta'.

La carità verso il prossimo è una manifestazione dell'amore verso Dio. Pertanto, nello sforzo per migliorare in questa virtù, non possiamo fissarci alcun limite. Con il Signore, l'unica misura è amare senza misura. Da una parte, perché non riusciremo mai a contraccambiare ciò che Egli ha fatto per noi; dall'altra, perché anche l'amore di Dio per le creature si manifesta così: sovrabbondante, senza calcoli, senza confini.

A tutti coloro che sono disposti ad aprirgli l'ascolto dell'anima — e noi siamo di quelli — Gesù insegna nel discorso della montagna il comandamento divino della carità. E, a mo' di riassunto, conclude: Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché Egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro (Lc 6, 35-36).

La misericordia non si limita a un mero atteggiamento di compassione: la misericordia è sovrabbondanza di carità che, simultaneamente, comporta sovrabbondanza di giustizia. Misericordia vuol dire mantenere il cuore in carne viva, umanamente e soprannaturalmente pervaso da un amore forte, abnegato, generoso. San Paolo, nel suo inno alla carità, ne parla così: La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1 Cor 13, 4-7).

Una delle prime manifestazioni concrete della carità consiste nel dischiudere all'anima i cammini dell'umiltà. Se riteniamo sinceramente di essere nulla; se ci rendiamo conto che, senza l'aiuto divino, la più debole, la più inconsistente delle creature sarebbe migliore di noi; se ci vediamo capaci di tutti gli errori e di tutti gli orrori; se sappiamo di essere peccatori anche se combattiamo con impegno per prendere le distanze da tante infedeltà…, come possiamo pensar male degli altri, come possiamo alimentare nel cuore il fanatismo, l'intolleranza, l'alterigia?

L'umiltà ci conduce quasi per mano a quel modo di trattare il prossimo, che è il migliore di tutti: comprendere tutti, saper convivere con tutti, scusare tutti, non creare divisioni né barriere; comportarsi — sempre! — da strumenti di unità. Non invano in fondo all'uomo esiste un forte anelito alla pace, all'unità con i propri simili, al reciproco rispetto dei diritti della persona, in una prospettiva che conduce alla fraternità. È un riflesso di ciò che vi è di più prezioso nella condizione umana: se tutti siamo figli di Dio, la fraternità non si riduce a luogo comune o a ideale illusorio: risplende come meta difficile, ma reale.

Di fronte ai cinici, agli scettici, ai disamorati, a tutti coloro che hanno fatto della loro viltà un abito mentale, noi cristiani dobbiamo dimostrare che è possibile voler bene. Forse l'amore cristiano dovrà superare molte difficoltà, perché l'uomo è stato creato libero, ed è in suo potere opporsi inutilmente e amaramente a Dio: ma il comportamento cristiano è possibile e reale, perché nasce come conseguenza necessaria dell'amore di Dio per noi, e di noi per Dio. Se tu e io lo vogliamo, anche Gesù lo vuole. Allora capiremo in tutta la loro profondità e in tutta la loro fecondità il dolore, il sacrificio, la dedizione disinteressata nella vita quotidiana.

Pertanto, vi ripeto con san Paolo: Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova (1 Cor 13, 1-3).

Di fronte a queste parole dell'Apostolo delle genti, non manca chi fa come quei discepoli di Cristo i quali, dopo che il Signore aveva annunciato loro il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, commentavano: Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? (Gv 6, 60). Sì, è duro. Perché la carità descritta dall'Apostolo non si limita alla filantropia, all'umanitarismo, alla naturale commiserazione delle sofferenze altrui: esige l'esercizio della virtù teologale dell'amore verso Dio e dell'amore, per Dio, verso il prossimo. Per questo, la carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà… Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità (1 Cor 13, 8-13).

Ci siamo convinti che la carità non ha niente a che vedere con la caricatura che talvolta si è preteso di fare della virtù centrale della vita del cristiano. E allora, perché è necessario predicarla continuamente? È forse un tema obbligato, ma con poche possibilità di tradursi in fatti concreti?

Se ci guardiamo intorno, forse avremmo motivo di ritenere che la carità sia una virtù illusoria. Ma, se consideri le cose con senso soprannaturale, scoprirai la radice di tanta sterilità: la mancanza di un rapporto intenso e continuo: a tu per Tu, con Gesù Cristo, nostro Signore; e il misconoscimento dell'opera dello Spirito Santo nell'anima, il cui primo frutto è appunto la carità.

Accogliendo un'esortazione dell'Apostolo — Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2) —, un Padre della Chiesa aggiunge: Amando Cristo sopporteremo con facilità la debolezza degli altri, anche di chi ancora non amiamo perché non ha opere buone (SANT'AGOSTINO, De diversis questionibus, LXXXIII, 71, 7 [PL 40, 83]).

Da qui si inerpica il sentiero che ci fa crescere nella carità. Se pensassimo che la prima cosa da fare sia esercitarci in attività umanitarie, in lavori di assistenza, escludendo l'amore di Dio, saremmo in errore. Non trascuriamo Cristo per preoccuparci della malattia del nostro prossimo, giacché dobbiamo amare il malato a motivo di Cristo (SANT'AGOSTINO, ibidem).

Mantenete sempre lo sguardo su Gesù che, senza lasciare di essere Dio, umiliò se stesso prendendo la forma di servo (cfr Fil 2, 6-7), per poterci servire, perché soltanto in questa direzione si dischiudono gli ideali che vale la pena alimentare. L'amore cerca l'unione, I'identificazione con la persona amata: e, unendoci a Cristo, saremo attratti dall'anelito di imitare la sua vita di dedizione, di amore incommensurabile, di sacrificio fino alla morte. Cristo ci mette davanti al dilemma definitivo: o consumare la propria esistenza in modo egoistico e solitario, o dedicarsi con tutte le forze a un compito di servizio.

Chiediamo adesso al Signore, a conclusione di questa conversazione con Lui, di concederci di poter ripetere con san Paolo: Noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore (Rm 8, 37-39).

A questo amore la Scrittura innalza un canto con parole ardenti: Le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo (Ct 8, 7). Questo amore ha sempre ricolmato il Cuore della Madonna, tanto da arricchirla di viscere di maternità per l'umanità tutta. Nella Vergine, l'amore a Dio si confonde con la sollecitudine per tutti i suoi figli. Molto dovette soffrire il suo Cuore dolcissimo, attento ai più piccoli dettagli — non hanno vino (Gv 2, 3) — nell'assistere alla crudeltà collettiva, all'accanimento dei carnefici, nella Passione e Morte di Gesù. Maria non parla. Come suo Figlio, ama, tace e perdona. Questa è la forza dell'amore.