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Ci sono 4 punti in «Colloqui con monsignor Escrivá» il cui argomento è Apostolato → attraverso il lavoro.

Qualcuno, osservando la presenza di membri dell'Opus Dei in posti di rilievo della vita pubblica spagnola, parla dell'influenza dell'Opus Dei in Spagna. Ci potrebbe spiegare qual è questa influenza?

Mi infastidisce tutto ciò che può avere la parvenza di autoincensazione. Ma mi pare che non sarebbe vera umiltà, bensì cecità e ingratitudine verso Dio, che con tanta generosità benedice il nostro lavoro, non riconoscere che l'Opus Dei influisce effettivamente nella società spagnola. Nell'ambiente dei Paesi in cui l'Opera lavora già da diversi anni, è naturale che il suo influsso abbia ormai una notevole ripercussione sociale, in proporzione al progressivo sviluppo delle attività; in Spagna, in particolare, l'Opus Dei opera da trentanove anni, perché è qui che il Signore volle che la nostra istituzione nascesse nel seno della Chiesa.

Qual è la natura di questa influenza? È evidente che, dal momento che l'Opus Dei ha fini spirituali, d'apostolato, la natura del suo influsso — sia in Spagna che nelle altre nazioni dei cinque continenti in cui lavoriamo — non può che essere di quel genere: un'influenza spirituale, apostolica. Come quello della Chiesa intera, anima del mondo, l'influsso dell'Opus Dei sulla società civile non è di carattere temporale — e cioè sociale, politico, economico, e così via —, benché indubbiamente incida sugli aspetti etici di tutte le attività umane; esso è sempre un influsso di ordine diverso e superiore, che si esprime con un verbo ben preciso: “santificare”.

E con questo arriviamo al discorso sulle persone dell'Opus Dei che lei definisce influenti. Per un'associazione il cui scopo sia una determinata azione politica, saranno “influenti” quei soci che hanno un seggio al parlamento o al governo. Se si tratta di una associazione culturale, si considerano “influenti” quei soci che siano dei filosofi di chiara fama, che abbiano avuto un premio letterario di rilievo, ecc. Se invece lo scopo che si propone l'istituzione è — come nel caso dell'Opus Dei — la santificazione del lavoro quotidiano degli uomini, tanto quello manuale come quello intellettuale, è evidente che dovranno considerarsi influenti tutti i suoi soci: perché tutti lavorano (il dovere di lavorare, comune a tutti, ha nell'Opus Dei speciali conseguenze di ordine normativo e ascetico), e perché tutti cercano di compiere il loro lavoro, qualunque esso sia, in modo santo, in modo cristiano, con impegno di perfezione. Per questo motivo, io considero tanto “influente” — tanto importante e necessaria — la testimonianza di un mio figliolo minatore in mezzo ai suoi compagni di lavoro, quanto quella di un rettore di università in mezzo ai professori del senato accademico.

Da dove viene, quindi, l'influenza dell'Opus Dei? La risposta sta nella semplice considerazione di questa realtà sociologica: all'Opera appartengono persone di tutte le condizioni sociali, di tutte le professioni, di tutte le età e di tutti gli stati di vita; uomini e donne, sacerdoti e laici, vecchi e giovani, celibi e coniugati, studenti e operai, contadini e impiegati, liberi professionisti e funzionari di enti pubblici… Ha mai pensato al potere di irradiazione cristiana rappresentato da una gamma di persone così vasta e varia, tanto più che sono decine di migliaia e tutte animate dal medesimo spirito apostolico, dal medesimo anelito di santificare la propria professione o il proprio mestiere — qualunque sia l'ambiente sociale in cui operano —, di santificarsi nel lavoro, e con il lavoro santificare gli altri?

A queste attività apostoliche personali bisogna aggiungere lo sviluppo delle nostre opere proprie di apostolato: collegi universitari, case per ritiri spirituali, l'Università di Navarra, centri di qualificazione per operai e contadini, istituti tecnici, scuole secondarie, istituti professionali femminili, ecc. Queste attività sono state e sono indubbiamente centri di irradiazione di spirito cristiano. Promosse da laici, gestite come lavoro professionale da cittadini laici, del tutto uguali ai colleghi che svolgono la stessa attività o mestiere, e aperte a persone di ogni ceto e condizione, queste attività hanno sensibilizzato vasti strati della società sulla necessità di dare una risposta cristiana ai problemi posti a ciascuno dall'esercizio della propria professione o del proprio impiego.

Tutto questo è ciò che dà rilievo e importanza sociale all'Opus Dei. Non la circostanza che qualcuno dei suoi soci occupi dei posti di “influenza umana” — la qual cosa non ci interessa per nulla, ed è lasciata alla libera decisione e responsabilità di ognuno — bensì il fatto che tutti (e la bontà di Dio fa che siano molti) svolgano un lavoro — anche il mestiere più umile — divinamente influente.

E questo è logico: chi potrebbe pensare che l'“influenza” della Chiesa negli Stati Uniti sia cominciata il giorno in cui fu eletto presidente il cattolico John Kennedy?

Come spiega l'enorme successo dell'Opus Dei e con quali criteri lei misura questo successo?

Quando un'impresa è soprannaturale, importano poco il successo o l'insuccesso, così come solitamente vengono intesi. Già san Paolo diceva ai cristiani di Corinto che nella vita spirituale quello che interessa non è il giudizio degli altri, né il proprio, ma quello di Dio.

Certamente l'Opera oggi è estesa in tutto il mondo: vi appartengono uomini e donne di una settantina di nazionalità. Pensando a questo fatto, io stesso mi sorprendo. Non vi trovo alcuna spiegazione umana; vi trovo soltanto la volontà di Dio, poiché “lo Spirito soffia dove vuole”, e si serve di chi vuole per realizzare la santificazione degli uomini. Tutto questo è per me motivo di ringraziamento, di umiltà e di supplica a Dio perché mi aiuti sempre a servirlo.

Mi domanda anche qual è il criterio con cui misuro e giudico le cose. La risposta è molto semplice: santità, frutti di santità.

L'apostolato più importante dell'Opus Dei è quello che ogni socio realizza con la testimonianza della propria vita e con la sua parola, nei rapporti abituali con amici e colleghi di professione. Chi può misurare l'efficacia soprannaturale di questo apostolato silenzioso e umile? Non si può misurare il valore dell'esempio di un amico leale e sincero, o l'influenza di una buona madre in seno alla famiglia.

Ma forse la sua domanda si riferisce agli apostolati che l'Opus Dei realizza in quanto tale, supponendo che in questo caso si possano misurare i risultati da un punto di vista umano, tecnico; vedendo cioè se una scuola di addestramento professionale riesce a promuovere socialmente le persone che la frequentano, o se un'università dà ai suoi studenti una formazione professionale e culturale adeguata. Ammesso che la sua domanda abbia questo senso, le dirò che il risultato si può spiegare almeno in parte col fatto che si tratta di lavori realizzati da persone che vi si dedicano come specifica occupazione professionale e quindi con la dovuta preparazione, come fanno tutti coloro che vogliono lavorare seriamente. Ciò vuol dire, fra l'altro, che queste iniziative non sono impostate secondo schemi preconcetti, ma che si studiano caso per caso le necessità peculiari della società in cui devono essere realizzate, per adattarle alle sue esigenze reali.

Ma le ripeto che all'Opus Dei non interessa in primo luogo l'efficacia umana. Il successo o l'insuccesso reale di queste attività dipende dal fatto che, oltre a essere umanamente ben fatte, servano o no a far sì che coloro che le realizzano e coloro che ne beneficiano amino Dio, si sentano fratelli di tutti gli uomini e manifestino questi sentimenti in un servizio disinteressato all'umanità.

Lei ha accennato più volte al lavoro: ci potrebbe dire qual è l'importanza del lavoro nella spiritualità dell'Opera?

La vocazione all'Opus Dei non cambia né modifica in nessun modo la condizione, lo stato di vita di chi la riceve. E siccome la condizione umana è il lavoro, la vocazione soprannaturale alla santità e all'apostolato secondo lo spirito dell'Opus Dei conferma la vocazione umana al lavoro. La stragrande maggioranza dei soci sono dei laici, dei comuni cristiani; la loro condizione è di avere una professione, un mestiere, un'occupazione, spesso assorbente, con cui si guadagnano la vita, sostengono la famiglia, contribuiscono al bene comune, realizzano la loro personalità.

E la vocazione all'Opus Dei viene a confermare tutto questo; tanto è vero che uno dei segni essenziali della vocazione è proprio l'impegno di voler restare nel mondo e di svolgere un lavoro quanto più perfetto possibile — tenendo conto, come dicevo, delle proprie imperfezioni personali — sia dal punto di vista umano che dal punto di vista soprannaturale. Un lavoro, cioè, che contribuisca effettivamente all'edificazione della città terrena (e che sia fatto quindi con competenza, con spirito di servizio) e alla consacrazione del mondo (e che pertanto sia santificante e santificato).

Chiunque voglia vivere con perfezione la propria fede e praticare l'apostolato secondo lo spirito dell'Opus Dei, deve santificare sé stesso con la professione, santificare la professione, e santificare gli altri con la professione.

Vivendo così (senza perciò distinguersi dagli altri cittadini uguali a lui, che con lui lavorano), si sforza di identificarsi con Cristo, imitando i suoi trent'anni di lavoro nella bottega di Nazaret.

Infatti, questo lavoro di tutti i giorni non è soltanto l'àmbito nel quale i soci dell'Opera debbono santificarsi, ma addirittura la materia stessa della loro santità: e così, negli avvenimenti comuni della giornata essi scoprono la mano di Dio, e si sentono spronati a intensificare la loro vita di preghiera. Lo stesso impegno professionale li mette in contatto con altre persone — parenti, amici, colleghi — e con i grandi problemi che preoccupano la società in cui vivono o il mondo intero, e offre loro quindi l'occasione per vivere la dedizione al servizio degli altri, che è una caratteristica essenziale dei cristiani. In tal modo, debbono impegnarsi a dare una vera e autentica testimonianza di Cristo, affinché tutti imparino a conoscere e ad amare il Signore, a scoprire che la vita normale nel mondo, il lavoro di tutti i giorni, può essere un incontro con Dio.

In altre parole, la santità e l'apostolato fanno un tutt'uno con la vita secolare dei soci dell'Opera, e per questo il loro lavoro è il fulcro della loro vita spirituale. La loro dedizione a Dio si innesta proprio nel lavoro che svolgevano prima di aderire all'Opera e che continueranno a svolgere dopo.

Nei primi anni della mia attività pastorale, quando cominciai a predicare questi concetti, alcuni non mi capirono, altri si scandalizzarono: si erano assuefatti a sentir parlare del mondo sempre in senso negativo. A me il Signore aveva fatto comprendere — e io cercavo di far comprendere agli altri — che il mondo è buono perché le opere di Dio sono sempre perfette, e che siamo noi uomini che rendiamo il mondo cattivo con il peccato.

Dicevo a quell'epoca, e continuo a dire adesso, che dobbiamo amare il mondo, perché nel mondo ci incontriamo con Dio, perché nelle cose e negli avvenimenti del mondo Dio ci si manifesta e ci si rivela.

Il male e il bene si mescolano nella storia umana, e il cristiano deve essere quindi una creatura capace di discernere; ma questo discernimento non lo deve condurre mai a negare la bontà delle opere di Dio: al contrario, lo deve condurre a riconoscere il divino che si manifesta nell'umano, persino dietro la nostra stessa debolezza. Un bel motto per la vita cristiana si può trovare in quelle parole dell'Apostolo: “Tutte le cose sono vostre, voi di Cristo e Cristo di Dio” (1 Cor 3, 22), per potere cosi realizzare i progetti di questo Dio che vuol salvare il mondo.

Mi riferisco ora a un fatto più concreto: recentemente è stata annunciata a Madrid l'apertura di una Scuola diretta da socie dell'Opus Dei, con il fine di creare un clima di famiglia e di dare alle lavoratrici domestiche una formazione completa e una qualificazione professionale. Che incidenza crede che possa avere nella società questo tipo di attività?

Quest'opera apostolica — ce ne sono molte altre del genere dirette da socie dell'Opus Dei, che vi lavorano insieme ad altre persone che non appartengono alla nostra istituzione — ha come fine principale quello di nobilitare il mestiere delle impiegate domestiche in modo che possano realizzare il proprio lavoro con competenza tecnica. Dico competenza tecnica perché bisogna che il lavoro domestico venga condotto per quello che è: una vera professione.

Non dimentichiamo che si è preteso di presentare questo lavoro come una cosa umiliante. Ma non è vero; umilianti erano senza dubbio le condizioni in cui molte volte si svolgeva questo lavoro. E umilianti continuano a esserlo in vari casi anche oggi: quando chi vi si dedica deve adattarsi ai capricci di persone irriguardose e deve lavorare senza garanzie legali, con scarsa retribuzione, senza affetto. Bisogna esigere il rispetto di un contratto di lavoro adeguato, che dia garanzie chiare e precise, e stabilisca bene i diritti e i doveri di ciascuna delle parti.

Oltre a queste garanzie legali, occorre che la persona che presta il servizio sia qualificata, professionalmente preparata. Ho detto servizio — anche se oggi la parola non piace — perché ogni attività sociale ben compiuta è appunto questo, un bellissimo servizio: e lo è tanto l'attività di una lavoratrice domestica quanto quella di un docente o di un giudice. L'unica attività che non è servizio è quella di chi subordina tutto al proprio interesse.

Il lavoro domestico è una cosa di primaria importanza. Del resto, tutti i lavori possono avere la stessa qualità soprannaturale: non ci sono compiti grandi o piccoli; tutti sono grandi se si fanno per amore. Le funzioni che tutti ritengono elevate, diventano meschine appena si perde il senso cristiano della vita. Invece ci sono cose piccole all'apparenza, che possono essere molto grandi per le effettive conseguenze che hanno.

Per me, il lavoro di una figlia mia dell'Opus Dei che è collaboratrice domestica, ha la stessa importanza di quello di un'altra mia figlia che abbia un titolo nobiliare. In entrambi i casi, a me interessa solo che il loro lavoro sia mezzo e occasione di santificazione propria e altrui: e sarà alla fine più importante il lavoro della persona che nella propria occupazione e nel proprio stato cresce di più in santità e compie con più amore la missione ricevuta da Dio.

Dinanzi a Dio, una docente universitaria non è più importante di una commessa di negozio, o di una segretaria, di un'operaia, o di una contadina: tutte le anime sono uguali. Solo che spesso sono più belle le anime delle persone più semplici; e, in ogni caso, sono più accette al Signore quelle che entrano più intimamente in rapporto con Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo.

Con la scuola aperta a Madrid si può fare molto: si può dare un autentico ed efficace aiuto alla società in un'importante funzione, e al tempo stesso svolgere un lavoro cristiano nelle famiglie, portando nelle case la gioia, la pace, la comprensione. Parlerei per ore intere su questo argomento; ma quanto ho detto è sufficiente per capire che vedo il lavoro domestico come un mestiere di particolare importanza, perché con esso si può fare molto bene — o molto male — nel cuore stesso delle famiglie. Speriamo che sia molto il bene: non mancheranno persone di buona stoffa umana, competenti e con slancio apostolico, che faranno di questa professione un lavoro pieno di gioia e di incalcolabile efficacia in tante famiglie del mondo.