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Ci sono 12 punti in «Colloqui con monsignor Escrivá» il cui argomento è Opus Dei  → carattere soprannaturale .

Parecchie volte, riferendosi agli inizi dell'Opus Dei, lei ha detto che non aveva altro che “gioventù, grazia di Dio e buon umore”. D'altra parte, negli anni Venti, la dottrina sul laicato non aveva raggiunto lo sviluppo che notiamo oggi. Malgrado questo, l'Opus Dei è un fenomeno di rilievo nella vita della Chiesa. Ci potrebbe spiegare come ha potuto, essendo un giovane sacerdote, avere una visione così ampia da permettere un'impresa del genere?

La mia unica preoccupazione è stata ed è sempre quella di compiere la volontà di Dio. Mi consenta di non precisare altri particolari sugli inizi dell'Opera (che l'Amore di Dio mi faceva presentire fin dal 1917), perché formano un tutt'uno con la storia della mia anima e appartengono alla mia vita interiore. La sola cosa che le posso dire è che ho sempre agito con il permesso e l'affettuosa benedizione del carissimo Vescovo di Madrid, la città in cui nacque l'Opus Dei, il 2 ottobre 1928. Poi, in seguito, ho agito sempre con l'approvazione e l'incoraggiamento della Santa Sede, e con quello, per ogni caso, degli Ordinari dei luoghi in cui si svolge il nostro lavoro.

Senza dubbio, lei sa che in alcuni settori dell'opinione pubblica l'Opus Dei ha la fama di essere in un certo modo discussa. Potrebbe darmi il suo parere sul perché di questo fatto, e specialmente su come si risponde all'accusa di "segreto di cospirazione" e di "cospirazione segreta", che spesso si rivolge all'Opera?

Mi dà molto fastidio tutto ciò che può sembrare autoesaltazione. Ma visto che lei introduce il tema, non posso evitare di dirle che mi sembra che l'Opus Dei sia una delle organizzazioni cattoliche che ha più amici in tutto il mondo. Milioni di persone, e molti non cattolici e non cristiani, l'amano e l'aiutano.

D'altra parte, l'Opus Dei è un'organizzazione spirituale e apostolica. Se si dimentica questo dato fondamentale — e se non si vuole credere nella buona fede dei soci dell'Opus Dei che lo affermano — risulta impossibile capire quello che fanno. Di fronte all'impossibilità di comprendere, si inventano versioni complicate e segreti che non sono mai esistiti.

Lei parla di accusa di segreto. È una storia ormai vecchia. Potrei narrarle, punto per punto, l'origine storica di questa accusa calunniosa. Per molti anni, una potente organizzazione, di cui preferisco non parlare — l'amiamo e l'abbiamo sempre amata — si è dedicata a falsificare quello che non conosceva. Si ostinavano a considerarci religiosi e si domandavano: perché non pensano tutti allo stesso modo? perché non portano abito o distintivo? E traevano l'illogica conseguenza che noi costituissimo una società segreta.

Tutto questo è passato, e oggi una persona appena appena informata sa che non c'è alcun segreto. Non portiamo segni distintivi perché non siamo religiosi, ma comuni cristiani. Non pensiamo allo stesso modo, perché ammettiamo il massimo pluralismo in tutte le cose temporali e nelle questioni teologiche di libera discussione. Una migliore conoscenza della realtà, e un superamento di gelosie infondate, hanno permesso di chiudere questa triste e calunniosa vicenda.

Non c'è tuttavia da meravigliarsi che ogni tanto qualcuno voglia risuscitare i vecchi miti: poiché cerchiamo di lavorare per Dio e difendiamo la libertà personale di tutti gli uomini, avremo sempre contro i settari, nemici della libertà, a qualunque schieramento appartengano, tanto più aggressivi se sono persone che non possono sopportare neanche la semplice idea di religione, o peggio, se si appoggiano a un pensiero religioso di tipo fanatico.

Ciò nonostante, sono maggioranza — grazie a Dio — le pubblicazioni che non si accontentano di ripetere cose vecchie e false, e che sanno bene che essere imparziali non vuol dire diffondere una notizia che sta a metà strada tra realtà e calunnia, ma sforzarsi di rispecchiare la verità oggettiva. Personalmente penso che fa notizia anche dire la verità, specialmente quando si tratta di informare sull'attività di tante persone che, appartenendo all'Opus Dei o collaborando con essa, si sforzano, nonostante i loro difetti — ne ho io e non mi meraviglio che ne abbiano anche gli altri —, di realizzare un compito di servizio per il bene di tutti gli uomini. Smontare un falso mito è sempre interessante. Ritengo che sia un grave obbligo del giornalista documentarsi bene, e aggiornare le sue informazioni, anche se ciò richiede a volte di modificare i giudizi emessi in precedenza. È poi così difficile ammettere che una cosa sia pulita, nobile e buona, senza mescolarvi assurde, vecchie e screditate menzogne?

Informarsi sull'Opera è molto semplice. In tutti i Paesi essa lavora alla luce del sole, con il riconoscimento giuridico delle autorità civili ed ecclesiastiche. Sono perfettamente conosciuti i nomi dei suoi dirigenti e delle sue opere apostoliche. Chiunque desideri informazioni sulla nostra Opera, può ottenerle senza difficoltà, mettendosi in contatto con i dirigenti o rivolgendosi a qualche nostra opera apostolica. Lei stesso può essere testimone del fatto che nessuno dei dirigenti dell'Opus Dei o delle persone che curano i rapporti con i giornalisti ha mai trascurato di facilitarne il compito informativo, rispondendo alle loro domande o fornendo la documentazione adeguata.

Né io né alcuno dei soci dell'Opus Dei pretendiamo che tutti ci comprendano o condividano i nostri ideali spirituali. Sono molto amico della libertà e mi piace che ciascuno segua la sua strada. Ma è evidente che abbiamo il diritto elementare di essere rispettati.

Vorrebbe descrivere come e perché fondò l'Opus Dei, e gli avvenimenti che considera pietre miliari del suo sviluppo?

Perché ho fondato l'Opera? Le opere che nascono dalla volontà di Dio non hanno altra spiegazione che il desiderio divino di utilizzarle come espressione della sua volontà salvifica universale. Già dal primo momento l'Opera era universale, cattolica. Non nasceva per risolvere determinati problemi dell'Europa degli anni venti, ma per dire agli uomini e alle donne di tutti i Paesi, di qualsiasi condizione, razza, lingua, o ambiente — e di qualsiasi stato: celibi, sposati, vedovi, sacerdoti —, che potevano amare e servire Dio, senza smettere di vivere nel loro lavoro ordinario, con la propria famiglia, nelle più svariate e comuni relazioni sociali.

Come fu fondata? Senza alcun mezzo umano. Io avevo solo 26 anni, grazia di Dio e buon umore. L'Opera nacque piccola: non era altro che l'aspirazione di un giovane sacerdote che si sforzava di fare ciò che Dio gli chiedeva.

Lei mi domanda quali sono state le pietre miliari dello sviluppo dell'Opera. Per me, è una tappa fondamentale qualsiasi momento, qualsiasi istante in cui un'anima per mezzo dell'Opus Dei si avvicina a Dio, facendosi più fratello degli uomini suoi fratelli.

Forse vorrebbe che parlassi dei momenti cruciali in ordine cronologico. Le dirò a memoria alcune date approssimative, anche se non vi annetto una particolare importanza. Già nei primi mesi del 1935 era tutto pronto per iniziare il lavoro in Francia, concretamente a Parigi. Ma vennero prima la guerra civile spagnola e poi la seconda guerra mondiale, e si dovette rimandare l'espansione dell'Opera. Poiché questo sviluppo era necessario, il ritardo fu minimo. Già nel 1940 si cominciò l'attività in Portogallo. Quasi in coincidenza con la fine delle ostilità, anche se c'erano stati alcuni viaggi negli anni precedenti, si cominciò in Inghilterra, in Francia, in Italia, negli Stati Uniti, in Messico. In seguito, l'espansione ha assunto un'accelerazione progressiva: dal 1949—1950 in Germania, Olanda, Svizzera, Argentina, Canada, Venezuela e negli altri Paesi europei e americani. Allo stesso tempo il lavoro si è esteso ad altri continenti: Nord Africa, Giappone, Kenia e altri Paesi del l'East Africa, Australia, Filippine, Nigeria, ecc.

Mi fa anche piacere ricordare, come date capitali, le molteplici occasioni in cui si è mostrato in modo tangibile l'affetto dei Sommi Pontefici per la nostra Opera. Risiedo stabilmente a Roma dal 1946, e ho avuto quindi occasione di conoscere e di frequentare Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI. In tutti ho sempre trovato l'affetto di un padre.

Sarebbe d'accordo con l'affermazione, che qualche volta è stata fatta, secondo cui l'ambiente peculiare della Spagna degli ultimi trent'anni abbia facilitato la crescita dell'Opera in questo Paese?

In pochi Paesi abbiamo trovato meno agevolazioni che in Spagna. Mi dispiace dirlo, perché amo profondamente la mia patria, ma si tratta del Paese in cui è costato più lavoro e più sacrificio far attecchire l'Opera. Appena nata, essa già trovò l'opposizione dei nemici della libertà individuale e di persone così attaccate alle idee tradizionali da non poter capire che la vita dei soci dell'Opera è quella di cittadini comuni che si sforzano di vivere pienamente la loro vocazione cristiana senza lasciare il mondo.

Neppure le opere collettive di apostolato hanno incontrato particolari facilitazioni in Spagna. Governi di Paesi in cui la maggioranza dei cittadini non è cattolica hanno aiutato le attività educative e benefiche promosse dai soci dell'Opera con molta più generosità di quanto non abbia fatto lo Stato spagnolo. Beninteso, gli aiuti che quei governi concedono o possono concedere alle opere dell'Opus Dei (così come vengono sovvenzionate normalmente altre opere simili) non comportano un privilegio, ma semplicemente il riconoscimento della loro funzione sociale, tanto più che consentono delle economie al bilancio dello Stato.

Nella sua espansione internazionale, lo spirito dell'Opus Dei ha trovato immediata eco e cordiale accoglienza in tutti i Paesi. Se vi sono state delle difficoltà, ciò è avvenuto a motivo di falsità che venivano proprio dalla Spagna e inventate dagli spagnoli, voglio dire da alcuni settori della società spagnola. In primo luogo, dall'organizzazione internazionale di cui le parlavo; ma sembra ormai certo che sia cosa passata, e io non porto rancore a nessuno. Poi da parte di alcune persone che non comprendono il pluralismo, che adottano atteggiamenti di gruppo, quando non cadono in una visione ristretta o totalitaria, e che si servono della qualifica di cattolici per fare politica. Alcuni di loro, non mi spiego perché — forse per false ragioni umane —, sembrano trovare un gusto speciale ad attaccare l'Opus Dei, e poiché dispongono di grandi mezzi economici — il denaro dei contribuenti spagnoli — i loro attacchi possono essere raccolti da certa stampa.

Mi rendo perfettamente conto che lei sta aspettando nomi precisi di persone e di istituzioni. Non glieli darò, e spero che ne capisca la ragione. Né la mia missione, né quella dell'Opera sono politiche: il mio compito è pregare. E non voglio dir nulla che possa in qualche modo venire interpretato come un'ingerenza nella politica. Più ancora, mi spiace molto parlare di queste cose. Ho taciuto per quasi quarant'anni, e se adesso dico qualcosa è perché ho l'obbligo di denunciare come assolutamente false le interpretazioni distorte che alcuni cercano di dare di un lavoro esclusivamente spirituale. Pertanto, sebbene finora abbia taciuto, d'ora innanzi dovrò parlare e, se necessario, con sempre maggiore chiarezza.

Ma tornando al tema centrale della sua domanda, se molte persone di tutti i ceti sociali, in Spagna e dovunque, hanno cercato di seguire Cristo con l'aiuto dell'Opera e secondo il suo spirito, la spiegazione non si può trovare nell'ambiente o in altri motivi estrinseci. Prova di ciò è che quanti affermano il contrario con tanta leggerezza, vedono decrescere i loro gruppi; e le cause esterne sono le stesse per tutti. Forse sarà anche, umanamente parlando, perché essi formano gruppo, mentre noi non togliamo la libertà personale a nessuno.

Se l'Opus Dei è ben sviluppato in Spagna — come in molte altre nazioni — lo si deve anche al fatto che il nostro lavoro spirituale nacque lì, quarant'anni fa, e — come le spiegavo prima — la guerra civile spagnola e poi la guerra mondiale resero necessario rimandare l'inizio in altri Paesi. Voglio far osservare, tuttavia, che ormai da anni gli spagnoli sono soltanto una minoranza in seno all'Opera.

Non pensi, ripeto, che io non ami il mio Paese, o che non mi dia gioia profonda il lavoro che l'Opera vi realizza; ma è triste che vi sia chi propaga equivoci sull'Opus Dei e sulla Spagna.

Ma lei non crede che in Spagna, tenuto conto anche del particolarismo che caratterizza la stirpe iberica, un certo settore dell'Opera potrebbe essere tentato di servirsi della propria forza per appoggiare interessi di gruppo?

Non esito a garantire che l'ipotesi da lei prospettata non si verificherà mai nell'Opera. E dico questo non solo perché noi ci associamo esclusivamente per fini soprannaturali, ma anche perché, di fatto, qualora un socio dell'Opus Dei cercasse di imporre (direttamente o indirettamente) una scelta temporale agli altri soci, oppure tentasse di servirsi di loro per conseguire degli interessi umani, verrebbe espulso senza indugi; tale infatti sarebbe la reazione giusta, santa, degli altri soci.

In Spagna l'Opus Dei si vanta di essere in contatto con tutti gli strati sociali. Questa affermazione vale anche per gli altri Paesi, oppure lì l'Opus Dei riunisce soprattutto persone di ambienti qualificati, come dirigenti d'industria, funzionari dell'amministrazione pubblica, uomini politici, liberi professionisti?

Sia in Spagna che nel resto del mondo appartengono di fatto all'Opus Dei persone di tutte le condizioni sociali: uomini e donne, vecchi e giovani, operai, industriali, impiegati, contadini, liberi professionisti… La vocazione è cosa che dà Dio, e Dio non fa distinzione di persone. Comunque, l'Opus Dei non si vanta di nulla: le opere d'apostolato non crescono con le forze umane, ma con il soffio dello Spirito Santo. É logico che un'organizzazione con finalità temporali si dedichi a pubblicare statistiche brillanti sul numero, la condizione e i pregi dei suoi aderenti: e così fanno, effettivamente, tutti i gruppi che cercano il prestigio mondano. Ma questo modo di agire, quando il fine che si cerca è la santificazione delle anime, non farebbe che favorire l'orgoglio di gruppo: Cristo vuole invece l'umiltà dei cristiani, tutti e singoli.

Secondo lei, perché sono maldisposti verso l'Opus Dei numerosi ordini religiosi, per esempio la Compagnia di Gesù?

Conosco tantissimi religiosi che sanno bene che noi non siamo religiosi, e che ci ricambiano l'affetto che portiamo loro e offrono a Dio preghiere e sacrifici per l'apostolato dell'Opus Dei. Quanto alla Compagnia di Gesù, conosco il suo Generale, il padre Arrupe, e ho buoni rapporti con lui. Posso assicurarle che le nostre relazioni sono di stima e di affetto reciproco.

Forse le è capitato di trovare qualche religioso che non comprende la nostra Opera. Sarà a motivo di qualche equivoco o per ignoranza sulla realtà del nostro lavoro, che è specificamente laicale e secolare e non sconfina mai nel terreno proprio dei religiosi. Noi abbiamo venerazione e affetto per tutti i religiosi, e preghiamo il Signore che renda ogni giorno più efficace il loro servizio alla Chiesa e all'umanità intera. Non ci saranno mai contese tra l'Opus Dei e i religiosi, perché per disputare bisogna essere in due, e noi non vogliamo lottare contro nessuno.

Talvolta alcuni hanno parlato dell'Opus Dei come di un'organizzazione di aristocrazia intellettuale, che mira a penetrare negli ambienti politici, economici e culturali più elevati, per controllarli dal di dentro, sia pure a fin di bene. È vero?

Quasi tutte le istituzioni che hanno portato un messaggio nuovo o che si sono impegnate per servire seriamente l'umanità vivendo pienamente il cristianesimo, hanno sofferto l'incomprensione, soprattutto agli inizi. Ecco come si spiega che, al principio, alcuni non comprendessero la dottrina sull'apostolato dei laici che l'Opus Dei viveva e proclamava.

Devo aggiungere — anche se non mi piace affatto parlare di queste cose — che nel nostro caso c'è stata oltretutto una campagna di diffamazione organizzata e pertinace: ci furono alcuni che dissero che agivamo in segreto — magari erano proprio loro che facevano così —, che volevamo occupare posti di rilievo, ecc. Posso anche precisare che questa campagna ebbe inizio circa trent'anni fa, ad opera di un religioso spagnolo che in seguito abbandonò il suo Ordine e la Chiesa, si sposò civilmente e ora è pastore protestante. Una volta lanciata, la calunnia continua a vivere per inerzia durante un certo tempo, perché c'è chi scrive senza informarsi, e perché non tutti fanno come i giornalisti seri, che non si credono infallibili e hanno la lealtà di rettificare quando costatano la verità. E così è successo, anche se queste calunnie erano smentite da una realtà che tutti hanno potuto verificare; a parte il fatto che già a prima vista risultavano incredibili. Basti dire che le dicerie cui lei si è riferito riguardano solo la Spagna; e, evidentemente, pensare che un'istituzione internazionale come l'Opus Dei graviti attorno ai problemi di un solo Paese, è una dimostrazione di miopia, di provincialismo. D'altra parte, la maggioranza dei soci dell'Opus Dei — in Spagna e in tutti gli altri Paesi — sono casalinghe, operai, piccoli commercianti, impiegati, contadini, ecc. Sono persone, cioè, che fanno un lavoro che non ha uno speciale peso politico o sociale. Il fatto che ci sia un gran numero di operai fra i soci dell'Opera non fa scalpore; che ci sia qualche uomo politico, invece sì. In realtà per me la vocazione all'Opus Dei di un facchino è tanto importante come quella di un dirigente di azienda. La vocazione è Dio che la dà, e nelle opere di Dio non c'è posto per le discriminazioni; e meno che mai per quelle di tipo demagogico.

Coloro che, vedendo i soci dell'Opus Dei impegnati nei più diversi campi del lavoro umano, non pensano ad altro che a pretese influenze e controlli, dimostrano di avere un concetto assai meschino della vita cristiana. L'Opus Dei non domina né pretende di dominare nessuna attività temporale. Desidera soltanto diffondere un messaggio evangelico, cioè che Dio vuole che tutti gli uomini che vivono nel mondo lo amino e lo servano prendendo occasione proprio dalle loro attività terrene. Di conseguenza, i soci dell'Opera, che sono comuni cristiani, lavorano dove credono meglio e come credono meglio; l'opera si occupa solo di aiutarli dal punto di vista spirituale, in modo che agiscano sempre con coscienza cristiana.

Ma parliamo in concreto della Spagna. I pochi soci dell'Opus Dei che, in questo Paese, lavorano in posti di rilievo sociale o che intervengono nella vita pubblica, lo fanno — esattamente come in tutti gli altri Paesi — con libertà e responsabilità personali: ciascuno agisce secondo la propria coscienza. Così si spiega che nella pratica essi abbiano adottato posizioni diverse e, in parecchie occasioni, addirittura contrapposte.

Vorrei far notare che il discorso sulla presenza di persone appartenenti all'Opus Dei nella politica spagnola non deve indurre a credere che si tratti di un fenomeno speciale, altrimenti si arriva a una deformazione della realtà ai limiti della calunnia. I soci dell'Opus Dei che agiscono nel settore pubblico sono una minoranza rispetto al totale dei cattolici che vi intervengono direttamente. La quasi totalità della popolazione spagnola è cattolica, e quindi è statisticamente logico che siano cattolici gli uomini che partecipano alla vita pubblica. Anzi, a tutti i livelli dell'amministrazione pubblica spagnola — dai ministri ai sindaci — sono moltissimi i cattolici provenienti dalle più svariate associazioni di fedeli: alcuni rami dell'Azione Cattolica, l'associazione Cattolica Nazionale di Propagandisti (il cui primo presidente fu colui che è oggi il cardinale Herrera), le Congregazioni Mariane, ecc.

Non voglio insistere troppo sull'argomento, ma colgo l'occasione per dichiarare ancora una volta che l'Opus Dei non è vincolato a nessun Paese, a nessun regime, a nessuna tendenza politica, a nessuna ideologia; e che i suoi soci agiscono sempre, nelle questioni temporali, con piena libertà, sapendosi assumere le proprie responsabilità, e rifuggono da qualsiasi tentativo di servirsi della religione per favorire posizioni politiche e interessi di partito.

Le cose semplici risultano a volte difficili da spiegare: per questo mi sono dilungato un po' per rispondere alla sua domanda. Va rilevato, ad ogni modo, che le dicerie di cui parlavamo sono ormai acqua passata. Queste calunnie sono da tempo del tutto screditate: non ci crede più nessuno. Noi, sin dal primo momento, abbiamo sempre agito alla luce del sole —non c'era motivo per fare diversamente—, spiegando con chiarezza la natura e i fini del nostro apostolato; tutti quelli che hanno voluto, hanno potuto conoscere la realtà. E, in effetti, sono moltissime le persone che hanno stima e affetto per le nostre attività e vi collaborano: non solo cattolici, ma anche non cattolici e non cristiani.

Il progresso della storia della Chiesa, del resto, ha condotto al superamento di un certo clericalismo che tende a deformare tutto quanto si riferisce ai laici, attribuendo loro dei secondi fini; con questo progresso è diventato ora più facile capire che il messaggio che l'Opus Dei viveva e proclamava era semplicemente questo: la vocazione divina del cristiano comune, con un preciso impegno soprannaturale.

Spero proprio che venga il giorno in cui la frase "i cattolici penetrano nei diversi ambienti sociali" non sia più in circolazione, e che tutti si rendano conto che si tratta di un'espressione clericale. E comunque non c'entra affatto con l'apostolato dell'Opus Dei. I soci dell'Opus Dei non hanno bisogno di "penetrare" nelle strutture temporali per il semplice fatto che sono dei cittadini comuni, uguali agli altri, e perciò in queste strutture essi c'erano già.

Se Dio chiama all'Opus Dei una persona che lavora in una fabbrica, o in un ospedale, o al parlamento, vuol dire che d'ora in poi costui si deciderà a usare i mezzi necessari per santificare, con la grazia di Dio, la propria professione. Non è altro che la presa di coscienza delle esigenze radicali del messaggio evangelico, secondo la vocazione specifica che ognuno ha ricevuto.

Pensare che questa presa di coscienza significhi l'abbandono della vita normale, è un'idea legittima solo per coloro che ricevono da Dio la vocazione religiosa, che comporta il contemptus mundi, il disprezzo o la svalutazione delle cose del mondo; ma voler fare di questa rinuncia e di questo abbandono l'essenza o la vetta del cristianesimo è evidentemente una cosa assurda. Non è dunque l'Opus Dei a introdurre i suoi soci in determinati ambienti; essi ci stavano già — come ho detto — e non v'è motivo per cui debbano uscirne. Inoltre, le vocazioni all'Opus Dei — che scaturiscono dalla grazia di Dio e da quell'apostolato di amicizia e di confidenza di cui parlavo prima — nascono in tutti gli ambienti.

Forse proprio questa semplicità della natura e del modo di agire dell'Opus Dei costituisce una difficoltà per certe persone piene di complicazioni, che si direbbero incapaci di comprendere una cosa genuina e retta.

Certo, ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a captare l'essenza dell'Opus Dei, e questo non ci sorprende, perché il Signore ha già avvertito i suoi di queste difficoltà, commentando che non est discipulus super Magistrum (Mt 10, 24). Nessuno può pretendere che tutti lo apprezzino, anche se però ha il diritto di essere rispettato come persona e come figlio di Dio. Purtroppo non si può evitare che vi siano dei fanatici che vorrebbero imporre le loro idee con sistemi totalitari; e questa gente non arriverà mai a capire l'amore che hanno i soci dell'Opus Dei per la libertà personale degli altri, e poi anche per la propria libertà personale, sempre con personale responsabilità.

Ricordo un episodio piuttosto significativo. In una città di cui non sarebbe delicato fare il nome, il Comune stava deliberando la concessione di un contributo finanziario a un centro educativo diretto da soci dell'Opus Dei, che come tutte le iniziative apostoliche proprie dell'Opera aveva una funzione di evidente interesse sociale. La maggioranza dei consiglieri era favorevole alla concessione del contributo. Uno di loro, un socialista, spiegando i motivi per cui era favorevole, disse che aveva visto di persona l'attività che si svolgeva presso questo centro: “È un'attività caratterizzata dal fatto che i dirigenti sono amici sinceri della libertà personale. Nella residenza sono ospitati studenti di ogni religione e di ogni ideologia”. I comunisti votarono contro. Uno di loro, commentando il proprio voto negativo, diceva al socialista: “Mi sono opposto, perché se le cose stanno così, questa è una propaganda efficace per i cattolici”.

Chi non rispetta la libertà degli altri o vuol lottare contro la Chiesa non può apprezzare un'attività di apostolato. Ma anche in questi casi, io, come uomo, sono tenuto a rispettare queste persone e a trovare il modo di avviarle verso la verità; e, come cristiano, sono tenuto ad amarle e a pregare per loro.

Chiarito questo punto, vorrei però chiederle: quali sono le caratteristiche della formazione spirituale dei soci che escludono la presenza di qualsiasi interesse mondano nell' aspirare ad appartenere all'Opus Dei?

Gli interessi non puramente spirituali sono esclusi alla radice, perché l'Opera chiede molto — distacco, sacrificio, abnegazione, lavoro senza soste al servizio delle anime — e non dà nulla. Voglio dire che non dà nulla sul piano degli interessi temporali; perché sul piano della vita spirituale dà molto: dà i mezzi per combattere e vincere nella lotta ascetica, avvia sulla strada della preghiera e insegna a trattare Gesù come un fratello, a scorgere Iddio in tutte le circostanze della vita, a sentirsi figli di Dio e per questo impegnati a diffondere la sua dottrina.

Una persona che non avanza sulla strada della vita interiore, fino a capire che vale la pena di donare tutto se stesso e tutta la propria vita al servizio del Signore, non può perseverare nell'Opus Dei, perché la santità non è un'etichetta ma una profonda esigenza.

D'altra parte, l'Opus Dei non ha alcun tipo di attività a scopi politici, economici, ideologici: nessuna azione temporale. Le sue uniche attività sono la formazione spirituale dei soci e le opere di apostolato: cioè la continua cura spirituale di ciascuno dei soci e le iniziative associate di apostolato, con scopi di assistenza, di beneficenza, di educazione, ecc.

Le persone dell'Opus Dei si associano solo per seguire una strada di santità ben definita, e per collaborare a determinate opere d'apostolato. Il loro impegno reciproco esclude qualsiasi interesse temporale, per il semplice fatto che in questo campo tutti i soci dell'Opera sono liberi, e pertanto ognuno va per conto suo, con intendimenti e interessi diversi, anzi spesso divergenti.

Come conseguenza del fine dell'Opera, che si cura esclusivamente di Dio, il suo spirito è uno spirito di libertà, di amore per la libertà personale di tutti gli uomini. E siccome questo amore per la libertà è sincero e non è solo un enunciato teorico, noi amiamo anche la conseguenza necessaria della libertà, cioè il pluralismo. Nell'Opus Dei, il pluralismo è voluto e amato, non semplicemente tollerato e meno che mai osteggiato. Quando vedo nei soci dell'Opus Dei tante idee diverse, tanti atteggiamenti contrastanti — riguardo alle questioni politiche, sociali, economiche, artistiche, ecc. — questo spettacolo mi conforta, perché è segno che tutto il lavoro si svolge con la mente rivolta a Dio, come deve essere.

Unità spirituale e varietà nelle cose temporali sono perfettamente compatibili là dove non regnano il fanatismo e l'intolleranza; là soprattutto dove si vive di fede e si sa che noi uomini siamo uniti non da eventuali legami di simpatia o di interesse, ma dall'azione di uno stesso Spirito, che ci rende fratelli di Cristo e ci conduce verso Dio Padre.

Un vero cristiano non pensa mai che l'unità della fede, la fedeltà al Magistero e alla Tradizione della Chiesa, l'ansia di far giungere agli altri il messaggio di salvezza portato da Cristo… siano in contrasto con la diversità di atteggiamenti in quelle cose che, come si suol dire, Dio ha lasciato alla libera discussione degli uomini; anzi è pienamente cosciente che questa varietà fa parte del progetto divino, è voluta da Dio il quale distribuisce i suoi doni e la sua luce come vuole. Il cristiano deve amare gli altri, e deve perciò rispettare le opinioni contrarie alla sua convivendo in piena fraternità con coloro che la pensano in modo diverso.

E siccome i soci dell'Opus Dei sono stati formati a questo spirito è impossibile che uno pensi di approfittare del fatto che appartiene all'Opera per ottenere vantaggi e cercare di imporre agli altri determinate scelte politiche o culturali; gli altri, infatti, non sarebbero disposti a tollerare quest'abuso, e indurrebbero costui a cambiare idea o a lasciare l'Opus Dei. Questo è un punto sul quale nessuno nell'Opus Dei potrà mai permettere la benché minima deviazione, perché ognuno deve difendere non solo la propria libertà personale, ma anche il carattere soprannaturale dell'attività a cui si è dedicato. Ritengo perciò che la libertà e la responsabilità personali siano la migliore garanzia degli scopi soprannaturali dell'Opera di Dio.

Qualcuno potrebbe pensare che finora l'Opus Dei può essere stato favorito dall'entusiasmo dei primi aderenti (anche se sono parecchie migliaia). Contro il rischio, connaturato in ogni istituzione, di un possibile intiepidimento di fervore e di slancio iniziale, esiste una garanzia per la continuità dell'Opera?

L'Opera si basa non sull'entusiasmo ma sulla fede. Gli anni dei primi sviluppi — lunghi anni — furono molto duri, e non si scorgevano altro che difficoltà. L'Opus Dei riuscì ad andare avanti grazie all'aiuto di Dio, e alla preghiera e al sacrificio dei primi aderenti, privi di ogni mezzo umano; non c'era altro che gioventù, buon umore e il desiderio di fare la volontà di Dio. Fin dal principio l'arma dell'Opus Dei è stata sempre la preghiera, la vita di dedizione, la rinuncia silenziosa a ogni forma di egoismo per servire le anime. Come le dicevo prima, chi si avvicina all'Opus Dei viene a ricevere uno spirito che lo spinge appunto a offrire tutto, ma continuando a lavorare professionalmente per amore di Dio, e, per Lui, delle Sue creature.

La garanzia che non si produrrà un intiepidimento sarà che i miei figli non perdano mai questo spirito. So bene che le opere umane soffrono l'usura del tempo; ma questo non succede con le opere divine, a meno che gli uomini non le facciano decadere. Solo quando si perde l'impulso divino, giunge la corruzione, la decadenza. Nel nostro caso si scorge chiaramente la Provvidenza del Signore, che ha fatto in modo che in così poco tempo — quarant'anni — questa vocazione divina specifica fosse ricevuta e realizzata da comuni cittadini, uguali agli altri, di tante nazioni diverse.

Il fine dell'Opus Dei, ripeto ancora, è la santità di ognuno dei soci, uomini e donne che permangono nel luogo che occupavano nel mondo. Se qualcuno non venisse all'Opus Dei deciso a santificarsi malgrado tutto — voglio dire, malgrado le proprie miserie e i propri errori personali — se ne andrebbe subito. Penso che da santità nasce sempre santità, e supplico Iddio affinché nell'Opus Dei non manchi mai questa profonda convinzione, questa vita di fede. Come vede, noi non basiamo la nostra fiducia su garanzie meramente umane o giuridiche. Le opere ispirate da Dio si muovono al ritmo segnato dalla grazia. La mia unica ricetta è questa: essere santi, voler essere santi, con santità personale.