Elenco di punti

Ci sono 4 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Filiazione divina  → ricorrere a Dio davanti alle fragilità .

Non date credito a coloro che presentano la virtù dell'umiltà come una menomazione dell'uomo o come una perpetua condanna alla tristezza. Sentirsi di terracotta, riparata con dei punti, è fonte di continua gioia; significa riconoscersi poca cosa di fronte a Dio: bambino, figlio. C'è felicità più grande di quella di colui che, povero e debole, sa però di essere figlio di Dio? Perché invece gli uomini sono tristi? Perché la vita sulla terra non si svolge come essi personalmente sperano, perché sorgono ostacoli che impediscono o rendono difficile la soddisfazione delle loro pretese.

Nulla di tutto questo avviene quando l'anima vive la realtà soprannaturale della filiazione divina: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8, 31). Sono tristi — ripeto da sempre — coloro che si ostinano a non riconoscersi figli di Dio.

Per concludere, facciamoci suggerire dalla liturgia odierna due suppliche che devono prorompere ardenti dalla nostra bocca e dal nostro cuore: Dio Onnipotente, la partecipazione a questi divini misteri ci dia la grazia di meritare i doni celesti (Orazione post communionem della Messa]; e ancora: Ti preghiamo, Signore, di concederci di servirti costantemente secondo la tua volontà (Orazione super populum). Servire, figli miei, servire è il nostro compito; essere servitori di tutti perché si accresca in numero e in virtù il popolo fedele (Orazione super populum).

La devozione che nasce dalla filiazione divina è un atteggiamento profondo dell'anima, che finisce per informare tutta l'esistenza: è presente in tutti i pensieri, in tutti i desideri, in tutti gli affetti. Non avete visto che in famiglia i figli, pur senza rendersene conto, imitano i genitori, ne ripetono i gesti, le abitudini, e concordano con loro in tanti atteggiamenti?

Lo stesso succede nel comportamento di un buon figlio di Dio: si arriva — senza sapere come, né per quale via — a un meraviglioso deificarsi, che ci permette di inquadrare gli avvenimenti col rilievo soprannaturale della fede; si arriva ad amare tutti gli uomini come li ama il nostro Padre del Cielo e — cosa ancora più importante — si acquista nuovo brio nel nostro sforzo quotidiano di avvicinarci al Signore. Non contano le miserie — ripeto — perché ci sono le braccia amorose di Dio nostro Padre per rialzarci.

Se ci pensate, è cosa ben diversa che cada un bambino o che cada un adulto. Per i bambini, la caduta generalmente è senza conseguenze: vanno in terra tanto spesso! E se poi sono lacrime, il padre dice: «Gli uomini non piangono». Così si chiude l'incidente, perché il piccolo s'impegna a fare contento suo padre.

Guardate, invece, che cosa avviene quando perde l'equilibrio un adulto e cade lungo disteso per terra. Se non fosse la compassione a impedirlo, ci sarebbe da ridere. La caduta, inoltre, può avere conseguenze gravi e in un anziano può produrre una frattura fatale. Nella vita interiore è assai vantaggioso per noi tutti essere quasi modo geniti infantes, come quei piccoli che sembrano fatti di gomma, che sanno godere persino dei loro capitomboli, perché si rimettono subito in piedi per continuare le loro scorribande e perché hanno anche, se è necessario, il conforto dei genitori.

Se ci comportiamo come loro, gli inciampi e gli insuccessi — peraltro inevitabili — della vita interiore non sboccheranno mai nell'amarezza. Reagiremo col pentimento, ma senza sconforto, e col sorriso che sgorga, come acqua limpida, dalla gioia della nostra condizione di figli di Dio, figli del suo Amore di Padre, della sua grandezza, della sua sapienza infinita, della sua misericordia. Ho imparato, nei miei anni di servizio al Signore, ad essere figlio piccino di Dio. È ciò che chiedo a voi: siate quasi modo geniti infantes, bambini che desiderano la parola di Dio, il pane di Dio, l'alimento di Dio, la fortezza di Dio, per comportarvi d'ora innanzi come veri cristiani.

Siate molto bambini! Quanto più piccoli, tanto meglio. Ve lo dice l'esperienza di questo sacerdote, che ha dovuto rialzarsi molte volte nel corso di questi trentasei anni — mi sembrano tanto brevi e tanto lunghi! — vissuti cercando di compiere un'esplicita Volontà di Dio. Una cosa mi ha sempre aiutato: essere rimasto bambino, continuare a rifugiarmi nel grembo di mia Madre e nel Cuore di Cristo, mio Signore.

Le grandi cadute, quelle che causano gravi devastazioni nell'anima, talvolta con effetti quasi irrimediabili, procedono sempre dalla superbia, dal credersi adulti, autosufficienti. In tali casi, prevale nella persona una sorta di incapacità di chiedere aiuto a chi lo può dare: non solo a Dio, ma anche all'amico, al sacerdote. E quella povera anima, isolata nella sua disgrazia, cade nel disorientamento, nel traviamento.

Preghiamo in questo momento Dio perché non voglia mai permettere che ci sentiamo soddisfatti, perché accresca in noi il desiderio del suo aiuto, della sua parola, del suo Pane, della sua consolazione, della sua fortezza: razionabile, sine dolo lac concupiscite; alimentate l'ansia, la bramosia di essere come bambini. Convincetevi che è il modo migliore di vincere la superbia. Persuadetevi che è l'unico rimedio perché il nostro modo di operare sia buono, grande, divino. In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18, 3).

Mi ritorna ancora alla memoria quel ricordo di gioventù. Che grande manifestazione di fede! Mi sembra di udire ancora il canto liturgico, di respirare l'aroma dell'incenso, di vedere migliaia e migliaia di uomini, ciascuno col suo grande cero — che è come il simbolo della loro miseria —, ma con cuore di bambini, di creature che forse non osano alzare gli occhi al volto del loro padre. Riconosci e vedi quanto è cosa cattiva e amara l'avere abbandonato il Signore tuo Dio (Ger 2, 19). Rinnoviamo la ferma decisione di non allontanarci mai dal Signore per correre dietro alle cose della terra. Aumentiamo, con propositi concreti per la nostra condotta, la sete di Dio: come creature che riconoscono la propria indigenza e cercano, chiamano, incessantemente il Padre.

Ma ripeto: bisogna imparare a essere come bambini, bisogna imparare a essere figli di Dio. E, allo stesso tempo, bisogna comunicare agli altri questo atteggiamento che, in mezzo alle naturali debolezze, ci farà forti nella fede (1 Pt 5, 9), fecondi nelle opere e sicuri nel cammino; così, qualunque sia l'errore che possiamo commettere, anche il più disgustoso, non esiteremo a reagire, a ritornare sulla via maestra della filiazione divina che si conclude nelle braccia aperte, accoglienti, di Dio nostro Padre.

Chi di voi non ricorda le braccia del proprio padre? Forse non erano tanto indulgenti, dolci e delicate come quelle della madre. Ma quelle braccia robuste, forti, ci davano calore e sicurezza. Signore, grazie per quelle braccia rudi; grazie per quelle mani forti; grazie per quel cuore tenero e schietto. Stavo per dirti: grazie anche per i miei errori! No, perché Tu non li vuoi! Ma li comprendi, li scusi, li perdoni.

È questa la sapienza che Dio si attende da noi nel nostro rapporto con Lui; quasi una manifestazione di scienza matematica: riconoscere che siamo uno zero… Ma Dio nostro Padre ama ciascuno di noi così com'è. Io — che non sono altro che un povero uomo — amo ciascuno di voi così com'è; immaginatevi allora quale sarà l'Amore di Dio! A condizione di lottare, a condizione di impegnarci a dare alla vita l'orientamento dettato da una coscienza ben formata.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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