Elenco di punti

Ci sono 7 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Redenzione → carità.

Nel dire 'prossimo' — spiega san Leone Magno — non bisogna intendere soltanto coloro che sono legati a noi da vincoli di amicizia o di parentela, ma tutti gli uomini assolutamente, con i quali abbiamo comunanza di natura… Uno solo è infatti l'Autore che ci ha plasmato, uno solo il Creatore che ci ha vivificato, e tutti quanti abbiamo e godiamo lo stesso cielo e la stessa aria, gli stessi giorni e le stesse notti. Benché ci siano buoni e cattivi, giusti ed ingiusti, tuttavia Dio è ugualmente generoso e benigno con tutti (SAN LEONE MAGNO, Sermo XII, 2 [PL 54, 170]).

Noi, figli di Dio, ci forgiamo nella pratica del comandamento nuovo, impariamo nella Chiesa a servire e a non farci servire (cfr Mt 20, 28), e siamo in grado di amare l'umanità in modo nuovo, che tutti scopriranno essere frutto della grazia di Cristo. Il nostro amore non va confuso con il sentimentalismo, neppure con il mero cameratismo, e nemmeno con il desiderio poco chiaro di aiutare gli altri per dimostrare a noi stessi la nostra superiorità. È saper convivere col prossimo, venerare — insisto — l'immagine di Dio insita in ogni uomo, facendo in modo che anche lui la contempli, e così sappia dirigersi a Cristo.

Universalità della carità significa, pertanto, universalità dell'apostolato; capacità nostra di trasformare in opere, e sul serio, il grandioso impegno di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm 2, 4).

Se si devono amare anche i nemici — intendo coloro che ci considerano loro nemici: per quanto mi riguarda, non mi sento nemico di niente e di nessuno — a maggior ragione bisognerà amare coloro che sono semplicemente lontani, coloro che ci sono meno simpatici, coloro che, per motivi di lingua, di cultura, di educazione, sembrano il mio o il tuo opposto.

Di che amore si tratta? La Sacra Scrittura parla di dilectio, per far capire bene che non si riferisce soltanto all'affetto sensibile. Dilectio esprime piuttosto una determinazione forte della volontà. Dilectio, infatti, deriva da electio, scelta. Aggiungerei che amare da cristiani significa volere voler bene, decidersi in Cristo a cercare il bene delle anime senza discriminazioni di sorta, procurando loro, innanzitutto, la cosa migliore: portarli alla conoscenza di Cristo, innamorarli di Lui.

Il Signore ci sprona: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 44). Possiamo non sentirci umanamente attratti dalle persone che ci respingerebbero se li avvicinassimo. Ma Gesù esige da noi che non restituiamo male per male; che non lasciamo cadere le occasioni di servire gli altri di tutto cuore, anche se ci costa; che non cessiamo mai di tenerli presenti nelle nostre preghiere. La dilectio, la carità, acquista sfumature ancora più toccanti quando si riferisce ai nostri fratelli di fede, e specialmente a coloro che, per disposizione divina, lavorano più vicino a noi: i genitori, il marito o la moglie, i figli e i fratelli, gli amici e i colleghi, i vicini. Se non ci fosse questo affetto, questo amore umano nobile e pulito, ordinato a Dio e fondato in Lui, non ci sarebbe carità.

Una delle prime manifestazioni concrete della carità consiste nel dischiudere all'anima i cammini dell'umiltà. Se riteniamo sinceramente di essere nulla; se ci rendiamo conto che, senza l'aiuto divino, la più debole, la più inconsistente delle creature sarebbe migliore di noi; se ci vediamo capaci di tutti gli errori e di tutti gli orrori; se sappiamo di essere peccatori anche se combattiamo con impegno per prendere le distanze da tante infedeltà…, come possiamo pensar male degli altri, come possiamo alimentare nel cuore il fanatismo, l'intolleranza, l'alterigia?

L'umiltà ci conduce quasi per mano a quel modo di trattare il prossimo, che è il migliore di tutti: comprendere tutti, saper convivere con tutti, scusare tutti, non creare divisioni né barriere; comportarsi — sempre! — da strumenti di unità. Non invano in fondo all'uomo esiste un forte anelito alla pace, all'unità con i propri simili, al reciproco rispetto dei diritti della persona, in una prospettiva che conduce alla fraternità. È un riflesso di ciò che vi è di più prezioso nella condizione umana: se tutti siamo figli di Dio, la fraternità non si riduce a luogo comune o a ideale illusorio: risplende come meta difficile, ma reale.

Di fronte ai cinici, agli scettici, ai disamorati, a tutti coloro che hanno fatto della loro viltà un abito mentale, noi cristiani dobbiamo dimostrare che è possibile voler bene. Forse l'amore cristiano dovrà superare molte difficoltà, perché l'uomo è stato creato libero, ed è in suo potere opporsi inutilmente e amaramente a Dio: ma il comportamento cristiano è possibile e reale, perché nasce come conseguenza necessaria dell'amore di Dio per noi, e di noi per Dio. Se tu e io lo vogliamo, anche Gesù lo vuole. Allora capiremo in tutta la loro profondità e in tutta la loro fecondità il dolore, il sacrificio, la dedizione disinteressata nella vita quotidiana.

Peccherebbe di ingenuità chi pensasse che le esigenze della carità cristiana siano facili da compiere. Ben diverso è il panorama che ci si presenta se consideriamo il comportamento abituale della società e, purtroppo, se guardiamo anche all'interno della Chiesa. Se l'amore non costringesse a tacere, tutti potrebbero fare lunghi elenchi di divisioni, di conflitti, di ingiustizie, di mormorazioni, di insidie. Dobbiamo ammetterlo con semplicità, per cercare di applicare il rimedio opportuno, che deve tradursi nello sforzo personale di non ferire, di non trattar male, di correggere senza stroncare.

Non sono cose nuove. Pochi anni dopo l'Ascensione di Cristo in Cielo, quando quasi tutti gli Apostoli percorrevano ancora le vie del mondo e dappertutto regnava uno splendido fervore di fede e di speranza, già allora molti incominciavano a deviare, a non vivere la carità del Maestro.

Dal momento che c'è tra voi invidia e discordia — scrive san Paolo ai Corinzi — non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana? Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini (1 Cor 3, 3-4) che non capiscono che Cristo è venuto per superare tutte queste divisioni? Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso (1 Cor 3, 4-5).

L'Apostolo non respinge la diversità: ciascuno ha ricevuto da Dio il suo proprio dono, chi in un modo, chi nell'altro (cfr 1 Cor 7, 7). Ma queste differenze devono essere poste al servizio del bene della Chiesa. In questo istante mi sento spinto a chiedere al Signore — unitevi, se volete, a questa mia preghiera — di non permettere che nella sua Chiesa la mancanza d'amore sparga zizzania nelle anime. La carità è il sale dell'apostolato dei cristiani: se diventa insipido, come potremo presentarci al cospetto del mondo e spiegare, a testa alta, che qui c'è Cristo?

Pertanto, vi ripeto con san Paolo: Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova (1 Cor 13, 1-3).

Di fronte a queste parole dell'Apostolo delle genti, non manca chi fa come quei discepoli di Cristo i quali, dopo che il Signore aveva annunciato loro il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, commentavano: Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? (Gv 6, 60). Sì, è duro. Perché la carità descritta dall'Apostolo non si limita alla filantropia, all'umanitarismo, alla naturale commiserazione delle sofferenze altrui: esige l'esercizio della virtù teologale dell'amore verso Dio e dell'amore, per Dio, verso il prossimo. Per questo, la carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà… Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità (1 Cor 13, 8-13).

Ci siamo convinti che la carità non ha niente a che vedere con la caricatura che talvolta si è preteso di fare della virtù centrale della vita del cristiano. E allora, perché è necessario predicarla continuamente? È forse un tema obbligato, ma con poche possibilità di tradursi in fatti concreti?

Se ci guardiamo intorno, forse avremmo motivo di ritenere che la carità sia una virtù illusoria. Ma, se consideri le cose con senso soprannaturale, scoprirai la radice di tanta sterilità: la mancanza di un rapporto intenso e continuo: a tu per Tu, con Gesù Cristo, nostro Signore; e il misconoscimento dell'opera dello Spirito Santo nell'anima, il cui primo frutto è appunto la carità.

Accogliendo un'esortazione dell'Apostolo — Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2) —, un Padre della Chiesa aggiunge: Amando Cristo sopporteremo con facilità la debolezza degli altri, anche di chi ancora non amiamo perché non ha opere buone (SANT'AGOSTINO, De diversis questionibus, LXXXIII, 71, 7 [PL 40, 83]).

Da qui si inerpica il sentiero che ci fa crescere nella carità. Se pensassimo che la prima cosa da fare sia esercitarci in attività umanitarie, in lavori di assistenza, escludendo l'amore di Dio, saremmo in errore. Non trascuriamo Cristo per preoccuparci della malattia del nostro prossimo, giacché dobbiamo amare il malato a motivo di Cristo (SANT'AGOSTINO, ibidem).

Mantenete sempre lo sguardo su Gesù che, senza lasciare di essere Dio, umiliò se stesso prendendo la forma di servo (cfr Fil 2, 6-7), per poterci servire, perché soltanto in questa direzione si dischiudono gli ideali che vale la pena alimentare. L'amore cerca l'unione, I'identificazione con la persona amata: e, unendoci a Cristo, saremo attratti dall'anelito di imitare la sua vita di dedizione, di amore incommensurabile, di sacrificio fino alla morte. Cristo ci mette davanti al dilemma definitivo: o consumare la propria esistenza in modo egoistico e solitario, o dedicarsi con tutte le forze a un compito di servizio.

Chiediamo adesso al Signore, a conclusione di questa conversazione con Lui, di concederci di poter ripetere con san Paolo: Noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore (Rm 8, 37-39).

A questo amore la Scrittura innalza un canto con parole ardenti: Le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo (Ct 8, 7). Questo amore ha sempre ricolmato il Cuore della Madonna, tanto da arricchirla di viscere di maternità per l'umanità tutta. Nella Vergine, l'amore a Dio si confonde con la sollecitudine per tutti i suoi figli. Molto dovette soffrire il suo Cuore dolcissimo, attento ai più piccoli dettagli — non hanno vino (Gv 2, 3) — nell'assistere alla crudeltà collettiva, all'accanimento dei carnefici, nella Passione e Morte di Gesù. Maria non parla. Come suo Figlio, ama, tace e perdona. Questa è la forza dell'amore.