Elenco di punti

Ci sono 4 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Pietà → pietà e filiazione divina.

La Domenica in albis mi riporta alla memoria un'antica e pia tradizione della mia terra. Nel giorno in cui la liturgia invita a desiderare l'alimento spirituale — razionabile, sine dolo lac concupiscite (1 Pt 2, 2 [Introito della Messa]), bramate il puro latte spirituale —, un tempo c'era l'usanza di portare la santa Comunione ai malati — non soltanto ai più gravi —, perché potessero compiere il precetto pasquale.

Nelle città più grandi, ogni parrocchia organizzava una processione eucaristica. Ero allora studente universitario, e ricordo che era normale che si incrociassero, in una piazza del centro di Saragozza, anche tre di quei cortei, tutti formati di soli uomini — migliaia di uomini — con grandi ceri accesi. Gente forte, che accompagnava Gesù Sacramentato con una fede più grande ancora di quei grossi ceri che pesavano vari chili.

La notte scorsa, le varie volte che mi sono svegliato, ho ripetuto, come giaculatoria: quasi modo geniti infantes (1 Pt 2, 2), come bambini appena nati… Pensavo che questo invito della Chiesa si adatta molto bene a tutti noi che sentiamo la realtà della filiazione divina. Perché, se conviene essere molto forti, tenaci e ben temprati per potere influire nell'ambiente in cui ci troviamo, tuttavia è cosa davvero buona che, davanti a Dio, ci consideriamo sempre alla stregua di figli neonati.

Quasi modo geniti infantes, razionabile, sine dolo lac concupiscite (1 Pt 2, 2), come bambini appena venuti al mondo, bramate il latte limpido e puro dello spirito. È stupendo questo versetto di san Pietro, e capisco bene perché la liturgia abbia aggiunto subito dopo: exsultate Deo adiutori nostro, iubilate Deo Iacob (Sal 80, 2 [Introito della Messa]); esultate in Dio nostra forza, acclamate al Dio di Giacobbe, che è anche nostro Signore e nostro Padre. Preferisco pertanto che oggi voi e io meditiamo, più che sul santo Sacramento dell'Altare, che strappa al nostro cuore le lodi più elevate per Gesù, sulla certezza della filiazione divina, fermandoci a considerare anche alcune delle sue conseguenze per coloro che vogliono vivere con nobile impegno la fede cristiana.

Per motivi che non occorre ricordare — ma che ben conosce Gesù, che ci presiede dal Tabernacolo —, la vita mi ha condotto a sapere in modo tutto particolare di essere figlio di Dio, e ad assaporare la gioia di mettermi nel cuore di mio Padre, per rettificare, per purificarmi, per servirlo, per comprendere e scusare tutti, sul fondamento del suo amore e della mia umiliazione.

Per questo desidero ora insistere sulla necessità per voi e per me di scuoterci, di ridestarci dal sonno molle che tanto facilmente ci intorpidisce, per tornare a percepire in modo più profondo e più immediato la nostra condizione di figli di Dio.

L'esempio di Gesù e il suo peregrinare lungo le strade di Palestina ci aiutano a farci compenetrare da codesta verità. Se accettiamo la testimonianza degli uomini — leggiamo nell'Epistola —, la testimonianza di Dio è maggiore (1 Gv 5, 9). In che consiste la testimonianza di Dio? La risposta è ancora in san Giovanni: Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! (…) Carissimi, noi fin da ora siamo figli di Dio (1 Gv 3, 1-2).

Nel corso degli anni, ho cercato senza cedimenti di fondarmi su questa gioiosa realtà. La mia orazione, in ogni circostanza, è stata la stessa, pur con toni differenti. Gli ho detto: «Signore, Tu mi hai messo qui; Tu mi hai confidato questa o quella cosa e io confido in Te. So che sei mio Padre e ho sempre visto i piccoli fidarsi pienamente dei loro genitori». L'esperienza sacerdotale mi conferma che l'abbandono nelle mani di Dio spinge le anime ad acquistare una pietà forte, profonda e serena che incoraggia a lavorare sempre con rettitudine di intenzione.

Quasi modo geniti infantes… Con molta gioia ho diffuso ovunque quella mentalità di figli piccoli di Dio che ci fa gustare queste parole, accolte anch'esse nella liturgia della Messa: Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo (1 Gv 5, 4), supera le difficoltà, raggiunge la vittoria nella grande battaglia per la pace delle anime e della società.

La nostra saggezza e la nostra forza si fondano proprio sulla convinzione della nostra piccolezza, del nostro nulla davanti a Dio; tuttavia è Lui che ci spinge, al tempo stesso, a muoverci con fiduciosa sicurezza e a predicare Gesù Cristo, il suo Figlio Unigenito, nonostante i nostri errori e le nostre miserie, purché non manchi mai, accanto alla debolezza, la lotta per superarla.

Mi avete sentito ripetere spesso il consiglio della Sacra Scrittura: discite benefacere (Is 1, 17), imparate a fare il bene, perché non c'è dubbio che dobbiamo imparare e insegnare a fare il bene. Dobbiamo cominciare da noi stessi, impegnandoci a scoprire qual è il bene da desiderare per ciascuno di noi, per ciascuno dei nostri amici, per ogni persona. Non conosco via migliore per considerare la grandezza di Dio: imparare a servire avendo sempre presente il fatto ineffabile e semplice che Egli è nostro Padre e noi siamo suoi figli.

La devozione che nasce dalla filiazione divina è un atteggiamento profondo dell'anima, che finisce per informare tutta l'esistenza: è presente in tutti i pensieri, in tutti i desideri, in tutti gli affetti. Non avete visto che in famiglia i figli, pur senza rendersene conto, imitano i genitori, ne ripetono i gesti, le abitudini, e concordano con loro in tanti atteggiamenti?

Lo stesso succede nel comportamento di un buon figlio di Dio: si arriva — senza sapere come, né per quale via — a un meraviglioso deificarsi, che ci permette di inquadrare gli avvenimenti col rilievo soprannaturale della fede; si arriva ad amare tutti gli uomini come li ama il nostro Padre del Cielo e — cosa ancora più importante — si acquista nuovo brio nel nostro sforzo quotidiano di avvicinarci al Signore. Non contano le miserie — ripeto — perché ci sono le braccia amorose di Dio nostro Padre per rialzarci.

Se ci pensate, è cosa ben diversa che cada un bambino o che cada un adulto. Per i bambini, la caduta generalmente è senza conseguenze: vanno in terra tanto spesso! E se poi sono lacrime, il padre dice: «Gli uomini non piangono». Così si chiude l'incidente, perché il piccolo s'impegna a fare contento suo padre.

Guardate, invece, che cosa avviene quando perde l'equilibrio un adulto e cade lungo disteso per terra. Se non fosse la compassione a impedirlo, ci sarebbe da ridere. La caduta, inoltre, può avere conseguenze gravi e in un anziano può produrre una frattura fatale. Nella vita interiore è assai vantaggioso per noi tutti essere quasi modo geniti infantes, come quei piccoli che sembrano fatti di gomma, che sanno godere persino dei loro capitomboli, perché si rimettono subito in piedi per continuare le loro scorribande e perché hanno anche, se è necessario, il conforto dei genitori.

Se ci comportiamo come loro, gli inciampi e gli insuccessi — peraltro inevitabili — della vita interiore non sboccheranno mai nell'amarezza. Reagiremo col pentimento, ma senza sconforto, e col sorriso che sgorga, come acqua limpida, dalla gioia della nostra condizione di figli di Dio, figli del suo Amore di Padre, della sua grandezza, della sua sapienza infinita, della sua misericordia. Ho imparato, nei miei anni di servizio al Signore, ad essere figlio piccino di Dio. È ciò che chiedo a voi: siate quasi modo geniti infantes, bambini che desiderano la parola di Dio, il pane di Dio, l'alimento di Dio, la fortezza di Dio, per comportarvi d'ora innanzi come veri cristiani.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
Riferimenti alla Sacra Scrittura