Elenco di punti

Ci sono 4 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Lotta ascetica  → cominciare e ricominciare.

Partiremo dalle letture di questo martedì di Passione per parlare di divinizzazione, della possibilità, cioè, di vivere la vita stessa di Dio, ma imparando a distinguere la 'divinizzazione buona' dalla 'divinizzazione cattiva'. Parleremo pertanto di umiltà, perché è la virtù che ci aiuta a comprendere, ad un tempo, la nostra miseria e la nostra grandezza.

La nostra miseria risalta in modo anche troppo evidente. Non mi riferisco ai limiti di natura, alle tante aspirazioni illusorie che portano l'uomo a fare dei progetti che non realizzerà mai, non fosse altro perché gliene mancherà il tempo. Penso a ciò che facciamo male, alle cadute, agli errori che, potendo essere evitati, evitati non vengono.

Di continuo sperimentiamo la nostra personale inefficacia. Ma a volte sembra che tutte queste cose si sommino insieme e si manifestino con maggiore evidenza; allora ci rendiamo conto più che mai di essere ben poca cosa. Che fare? Expecta Dominum (Sal 26, 14), spera nel Signore; vivi di speranza, ci suggerisce la Chiesa, con amore e con fede. Viriliter age (Sal 26, 24), comportati virilmente. Che cosa importa essere creature di fango, se la nostra speranza è riposta in Dio? Se in qualche momento un'anima sperimenta la caduta, o fa un passo falso — non è necessario che succeda —, gli si dà il rimedio opportuno, come si fa abitualmente quando è in pericolo la salute fisica; poi, di nuovo in marcia!

Non avete mai visto, nelle famiglie, quando si possiede un fragile oggetto di valore — un vaso, per esempio —, quanta attenzione si pone perché non si rompa? Finché un giorno, il bambino, giocando, lo fa cadere a terra e il prezioso ricordo va in frantumi. Il dispiacere è grande, ma subito si provvede a riparare il danno: il vaso viene ricomposto, incollato con cura, e alla fine l'oggetto appare più bello di prima.

Ma se l'oggetto è di minor valore, o semplicemente di terracotta, bastano alcuni punti di fil di ferro o di altro metallo per tenere insieme i pezzi. Il vaso, così riparato, acquista un incanto particolare.

Cerchiamo di applicare tutto ciò alla vita interiore. Di fronte alle nostre miserie e ai nostri peccati, di fronte ai nostri errori — anche se, per grazia di Dio, sono di poca importanza —, ricorriamo alla preghiera e diciamo a Dio nostro Padre: «Signore, alla mia povertà, alla mia fragilità, ai cocci di questo vaso rotto, metti qualche punto, e io — con il mio dolore e con il tuo perdono — sarò più forte e più bello di prima». È una preghiera consolante, da ripetere ogni volta che si rompe la povera terracotta di cui siamo fatti.

Non possiamo meravigliarci d'esser fragili, non possiamo rimanere stupiti vedendo che la nostra condotta si svia per un nonnulla; confidiamo nel Signore che ci offre sempre il suo aiuto: Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? (Sal 26, 1). Di nessuno. Parlando in questo modo con il Padre celeste, non avremo paura di niente e di nessuno.

Vi ricordo che se siete sinceri, se vi mostrate quali siete, se vi divinizzate sul fondamento dell'umiltà e non della superbia, voi e io ci sentiremo sicuri in ogni ambiente; potremo chiamarci vincitori e parlare soltanto di vittorie: vittorie interiori dell'amore di Dio, che danno la serenità, la felicità dell'anima, la comprensione.

L'umiltà ci spingerà a compiere grandi lavori, ma a condizione di non perdere la consapevolezza della nostra pochezza, la convinzione della nostra perenne indigenza. Ammetti senza esitazioni di essere un servitore che deve compiere numerosi servizi. Non ti vantare di essere chiamato figlio di Dio — riconosciamo la grazia, ma non dimentichiamo la nostra natura —; non ti inorgoglire se hai servito bene, perché hai fatto quello che dovevi fare. Il sole compie il suo corso, la luna obbedisce, gli angeli eseguono le loro missioni. Lo strumento eletto dal Signore per i Gentili dice: «Sono l'infimo degli Apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (…) Tanto meno noi pretendiamo d'esser elogiati per noi stessi (SANT'AMBROGIO, Expositio Evangelii secundum Lucam, 8, 32 [PL 15, 1774]), e cioè per i nostri miseri meriti.

Che importa inciampare, se nel dolore della caduta ritroviamo l'energia che ci raddrizza di nuovo e ci spinge a proseguire con slancio rinnovato? Non dimenticate che santo non è chi non cade, ma chi si rialza sempre, con umiltà, con santa ostinazione. Se nel libro dei Proverbi si legge che il giusto cade sette volte al giorno (cfr Pro 24, 16), tu e io — povere creature come siamo — non dobbiamo né meravigliarci né scoraggiarci di fronte alle nostre miserie personali, ai nostri inciampi, perché potremo sempre proseguire se cerchiamo la forza in Colui che ci ha promesso: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò (Mt 11, 28). Grazie, Signore, quia tu es, Deus, fortitudo mea (Sal 42, 2), perché sei sempre stato Tu, e soltanto Tu, Dio mio, la mia fortezza, il mio rifugio, il mio sostegno.

Se davvero vuoi progredire nella vita interiore, sii umile. Ricorri con costanza, con fiducia, all'aiuto del Signore e della sua Madre benedetta, che è anche tua Madre. Con serenità, tranquillamente, per quanto possa farti male la ferita ancora non rimarginata del tuo ultimo scivolone, abbraccia di nuovo la croce e ripeti: «Signore, con il tuo aiuto, lotterò per non fermarmi, risponderò fedelmente ai tuoi inviti, senza paura dei ripidi pendii, né dell'apparente monotonia del lavoro abituale, né dei cardi e dei rovi del sentiero. Sono certo che la tua misericordia mi assiste, e che al termine del cammino troverò la felicità eterna, la gioia e l'amore per l'infinità dei secoli».

Poi, sempre in quel sogno, lo scrittore scopriva un terzo itinerario: angusto, anch'esso costellato di asperità e di dure salite come il secondo. Era percorso da alcune persone che procedevano fra mille sofferenze, ma con aria solenne e maestosa. Eppure, finivano nello stesso orribile precipizio al quale conduceva il primo sentiero. È il cammino degli ipocriti, di coloro che sono privi di rettitudine di intenzione, che sono mossi da un falso zelo, e pervertono le opere divine mescolandole con egoismi temporali. È stolto intraprendere un'impresa difficile per essere ammirati; osservare i comandamenti di Dio con molto sforzo, ma aspirare a una ricompensa terrena. Chi si ripromette benefici umani dall'esercizio delle virtù è come chi svende un oggetto prezioso per pochi spiccioli: poteva conquistare il Cielo, e invece si accontenta di un'effimera lode… Per questo si dice che le speranze degli ipocriti sono come una ragnatela: tanta fatica per tesserla, e alla fine il vento della morte se la prende in un soffio (SAN GREGORIO MAGNO, Moralia, 2, 8, 43-44 [PL 75, 844-845]).

Riferimenti alla Sacra Scrittura
Riferimenti alla Sacra Scrittura