Elenco di punti

Ci sono 4 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Lealtà → fedeltà.

Vita interiore: è un'esigenza della chiamata che il Maestro ha acceso nell'anima di tutti. Dobbiamo essere santi — se mi consentite l'espressione — da capo a piedi: cristiani veri, autentici, canonizzabili; altrimenti avremo fallito come discepoli dell'unico Maestro. Badate inoltre che Dio, fissando la sua attenzione su di noi, concedendoci la grazia che ci sostiene nella lotta per raggiungere la santità in mezzo al mondo, ci impone anche l'obbligo dell'apostolato. È facile capire che, anche dal punto di vista umano, come fa osservare un Padre della Chiesa, la preoccupazione per le anime sgorga come logica conseguenza della chiamata: Se ritenete di aver compiuto qualche progresso, attirate anche altri con voi, nel desiderio di aver compagni sulla via di Dio. Se qualcuno di voi, fratelli, si dirige verso la piazza o i bagni, invita a venire con sé chi vede non intento ad occupazione alcuna. Mantenete questa vostra umana consuetudine e se vi orientate verso Dio fate in modo di non giungere soli al Suo cospetto (SAN GREGORIO MAGNO, Homiliæ in Evangelia, 6, 6 [PL 76, 1098]).

Se non vogliamo sprecare inutilmente il tempo — e non valgono le false scuse delle difficoltà dell'ambiente esterno, che non sono mai mancate fin dai primi tempi del cristianesimo —, dobbiamo tenere ben presente che Cristo, in via ordinaria, ha vincolato alla vita interiore l'efficacia della nostra azione per attirare chi ci circonda. Come condizione per l'influsso dell'attività apostolica, Cristo ha posto la santità; o meglio, il nostro sforzo per essere fedeli, dato che santi, finché siamo sulla terra, non lo saremo. Sembra incredibile, ma Dio e gli uomini hanno bisogno, per parte nostra, di una fedeltà senza palliativi, senza eufemismi, che giunga alle estreme conseguenze, senza mediocrità e senza compromessi, nella pienezza di una vocazione cristiana assunta e praticata con grande cura.

C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò (Mt 21, 33). Vorrei che meditassimo l'insegnamento di questa parabola sotto il profilo che ora ci interessa. La tradizione ha visto, in questa narrazione, una figura del destino del popolo eletto da Dio; e ci ha fatto notare innanzitutto che, a tanto amore da parte del Signore, noi uomini corrispondiamo con l'infedeltà, con l'ingratitudine.

Voglio in particolare fermarmi su quel se ne andò. Giungo subito a concludere che noi cristiani non possiamo abbandonare la vigna in cui il Signore ci ha posti.

Dobbiamo spendere le nostre forze in questo compito, all'interno del recinto, lavorando nel frantoio e, compiuto il lavoro di ogni giorno, riposando nella torre. Se ci lasciassimo trascinare dalla comodità, sarebbe come rispondere a Cristo: «I miei anni sono per me non per te; non voglio decidermi ad occuparmi della tua vigna».

Il Signore ci ha regalato la vita, i sensi, le facoltà, innumerevoli grazie: e noi non abbiamo il diritto di dimenticare che siamo degli operai fra i tanti, nel podere in cui Egli ci ha collocati, per collaborare nel compito di procurare alimento agli altri. Il nostro posto è questo, entro questi limiti; qui dobbiamo spendere la vita ogni giorno con Lui, aiutandolo nella sua opera di redenzione (cfr Col 1, 24).

Permettetemi di insistere: il tuo tempo è per te? Il tuo tempo è per Dio! Può darsi che, per misericordia del Signore, l'egoismo non sia penetrato per ora nella tua anima. Ti parlo per l'eventualità che tu debba sentire il tuo cuore vacillare nella fede di Cristo. Perciò ti chiedo — te lo chiede Dio — di essere fedele al tuo impegno, di dominare la superbia, di assoggettare l'immaginazione, di non permetterti la leggerezza di allontanarti, di non disertare.

Quei braccianti che stavano sulla piazza avevano l'intera giornata da sprecare; colui che nascose il suo talento sotto terra voleva ammazzare le ore; l'altro che doveva occuparsi della vigna, se ne va per un'altra strada. Tutti ugualmente insensibili di fronte alla grande missione affidata dal Maestro a ogni cristiano: considerarci e comportarci come suoi strumenti, essere con Lui corredentori; consumare la nostra intera vita nel sacrificio lieto di dare noi stessi per il bene delle anime.

Sono solito affermare che ci sono tre cose che riempiono di contentezza sulla terra e che danno la felicità eterna del cielo; esse esigono una fedeltà ferma, delicata, lieta e indiscussa: la fede, la vocazione che ciascuno ha ricevuto, e la purezza. Chi rimane impigliato nei rovi del cammino — la sensualità, la superbia… —, vi rimarrà per sua volontà e, se non rettifica, sarà un infelice che ha voltato le spalle all'Amore di Cristo.

Torno a dire che tutti abbiamo miserie. Ma le nostre miserie non devono mai allontanarci dall'Amore di Dio, anzi, ci faranno trovare rifugio nell'Amore, ci introdurranno in seno alla bontà divina, come i guerrieri antichi si introducevano nella loro armatura. Quel grido: Ecce ego, quia vocasti me (1 Sam 3, 6 e 8) — mi hai chiamato, eccomi! —, è la nostra difesa. Non dobbiamo allontanarci da Dio quando scopriamo le nostre fragilità; possiamo combattere le nostre miserie, proprio perché Dio confida in noi.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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