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Cristo ci ha insegnato in modo definitivo il cammino dell'amore a Dio: l'apostolato è amor di Dio che trabocca nel dono di se stessi agli altri. La vita interiore porta a crescere nell'unione con Cristo per mezzo del Pane e della Parola; e la sollecitudine apostolica è la manifestazione esatta, adeguata, necessaria, della vita interiore. Quando si assapora l'amore di Dio, si sente il peso delle anime. Non è possibile scindere vita interiore e apostolato, come non è possibile scindere in Cristo la sua condizione di Dio-Uomo e la sua missione di Redentore. Il Verbo volle incarnarsi per salvare gli uomini, per farli una cosa sola con Lui. La ragione della sua venuta nel mondo, come recitiamo nel Credo, sta qui: Per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo.

Per il cristiano, l'apostolato è un fatto connaturale alla sua condizione; non è qualcosa di aggiunto, di sovrapposto, di estrinseco alla sua attività quotidiana, al suo lavoro professionale. L'ho ripetuto incessantemente, da quando il Signore volle che nascesse l'Opus Dei: bisogna santificare il lavoro ordinario, santificarsi in esso e santificare gli altri attraverso l'esercizio della propria professione, vivendo ciascuno nel proprio stato.

L'apostolato è come il respiro del cristiano; un figlio di Dio non può vivere senza questo palpito spirituale. La festa odierna ci ricorda che lo zelo per le anime è un comandamento dell'amore del Signore che, nell'ascendere alla gloria, ci invia come suoi testimoni al mondo intero. È grande la nostra responsabilità, perché essere testimoni di Cristo presuppone innanzitutto un comportamento degno della sua dottrina e quindi anche la lotta necessaria affinché la nostra condotta ricordi Gesù, evocando la sua figura amabilissima. La nostra condotta deve essere tale che gli altri possano dire, vedendoci: ecco un cristiano, perché non odia, perché sa comprendere, perché non è animato da zelo fanatico, perché domina i suoi istinti, perché si sacrifica, perché manifesta sentimenti di pace, perché ama.

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