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Ci sono poi altri aspetti dello stesso processo di sviluppo ecclesiologico che rappresentano mirabili conquiste dottrinali, alle quali Dio ha voluto, indubbiamente, che contribuisse — e in misura notevole, direi — la testimonianza offerta dalla spiritualità e dalla vita dell'Opus Dei, assieme a quella, non meno benemerita, di altre iniziative e istituzioni apostoliche. Ma queste conquiste dottrinali dovranno forse attendere parecchio tempo prima di diventare parte integrante della vita “totale” del Popolo di Dio. Lei stesso accennava, nelle domande precedenti, ad alcuni di questi aspetti: lo sviluppo di un'autentica spiritualità laicale; la comprensione del peculiare ruolo ecclesiale — non “ecclesiastico” o ufficiale — proprio del laico; la chiarificazione dei diritti e dei doveri che il laico ha in quanto laico; i rapporti fra Gerarchia e laicato; la pari dignità e la complementarità di funzioni dell'uomo e della donna nella Chiesa; il bisogno di un'ordinata opinione pubblica nel Popolo di Dio, e così via.

Tutto ciò rappresenta evidentemente una realtà molto fluida, e talvolta non esente da paradossi. La stessa cosa che, detta quarant'anni fa, faceva scandalizzare tutti o quasi tutti, oggi non fa meraviglia a nessuno: però sono ancora ben pochi a comprenderla a fondo e a praticarla rettamente.

Mi spiegherò meglio con un esempio. Nel 1932, commentando ai miei figli dell'Opus Dei alcuni degli aspetti e delle conseguenze della peculiare dignità e della responsabilità che il Battesimo conferisce alle persone, scrivevo loro in un documento: “Va respinto il pregiudizio secondo cui i comuni fedeli non possono far altro che prestare il proprio aiuto al clero, in attività ecclesiastiche. Non si comprende perché l'apostolato dei laici debba sempre limitarsi a una semplice partecipazione all'apostolato gerarchico. Essi stessi hanno il dovere di esercitare l'apostolato. E non perché ricevano una missione canonica, ma perché sono parte della Chiesa; la loro missione […] la assolvono attraverso la professione, il mestiere, la famiglia, i colleghi e gli amici”.

Oggi, dopo i solenni insegnamenti del Vaticano II, nessuno nella Chiesa metterà in discussione, immagino, l'ortodossia di questa dottrina. Ma quanti hanno abbandonato davvero quell'unico concetto dell'apostolato dei laici come di una attività pastorale “organizzata dall'alto”? Quanti hanno superato la vecchia concezione “monolitica” dell'apostolato laicale e capiscono che esso può e anzi deve realizzarsi anche senza bisogno di rigide strutture centralizzate, di missioni canoniche e di mandati gerarchici? E quanti definiscono il laicato la longa manus Ecclesiae, non stanno forse confondendo il concetto della Chiesa come Popolo di Dio con il concetto più ristretto di Gerarchia? O ancora, quanti laici riescono a capire bene che solo rimanendo in stretta comunione con la Gerarchia hanno diritto a rivendicare il loro legittimo àmbito di autonomia apostolica?

Considerazioni dello stesso genere potrebbero farsi a proposito di altre questioni, perché è davvero molto, anzi moltissimo ciò che resta ancora da fare, sia nella necessaria esposizione dottrinale che nell'educazione delle coscienze e nella stessa riforma della legislazione ecclesiastica. Io prego insistentemente il Signore — la preghiera è sempre stata la mia forza — che lo Spirito Santo assista il suo Popolo, e specialmente la Gerarchia, nella realizzazione di questi compiti. E prego pure perché continui a servirsi dell'Opus Dei, in modo da poter contribuire anche noi, per quanto possiamo, a questo difficile ma meraviglioso processo di sviluppo e di crescita della Chiesa.

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