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Non tutto, però, dipende dai genitori. Anche i figli devono contribuire con qualche cosa. I giovani hanno sempre avuto una grande capacità di entusiasmo per le cose nobili, per gli ideali più alti, per tutto ciò che è autentico. È bene aiutarli a capire la bellezza semplice — a volte molto silenziosa, e sempre rivestita di naturalezza — che c'è nella vita dei loro genitori. Bisogna aiutarli a rendersi conto (senza farglielo pesare) dei sacrifici compiuti per loro, dell'abnegazione — spesso eroica — con cui hanno tirato avanti la famiglia. È bene che anche i figli imparino a non drammatizzare, a non fare la parte degli incompresi. Non dimentichino che saranno sempre in debito verso i genitori, e che la loro corrispondenza — non potranno mai pagare quello che devono — deve essere fatta di venerazione, di affetto grato, filiale.

D'altronde, siamo sinceri: la famiglia unita è la cosa normale. Ci sono screzi, differenze, ma sono cose scontate e che, in un certo senso, contribuiscono a dare sapore alle nostre giornate. Sono cose senza importanza, che il tempo fa superare; rimane, invece, solo ciò che è stabile, cioè l'amore, l'amore vero, fatto di sacrificio, non di finzione, che porta a preoccuparsi gli uni degli altri, a intuire i piccoli problemi trovando con delicatezza la soluzione. E siccome è normale che le cose vadano così, la stragrande maggioranza delle persone mi ha capito molto bene quando, sin dagli anni venti, mi ha sentito chiamare "dolcissimo precetto" il quarto comandamento del Decalogo.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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