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Qualche giorno fa, durante la celebrazione della santa Messa, mi sono soffermato un istante sulle parole del salmo che la liturgia proponeva come antifona di Comunione: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla (Sal 22, 1. Antifona alla Comunione del sabato della IV settimana di Quaresima). Questa invocazione mi aveva riportato alla memoria il versetto di un altro salmo che si recitava un tempo nella cerimonia della prima tonsura: Il Signore è la parte della mia eredità (Sal 15, 5). Cristo stesso si mette infatti nelle mani dei sacerdoti, che diventano così dispensatori dei misteri — dei portenti — del Signore (1 Cor 4, 1).

La prossima estate riceveranno gli Ordini Sacri una cinquantina di membri dell'Opus Dei. È già dal 1944 che — come evento di grazia e di servizio alla Chiesa — si avvicendano queste leve sacerdotali che riguardano ogni anno un piccolo gruppo di membri dell'Opera. E tuttavia, ogni anno, ci sono persone che se ne stupiscono. Com'è possibile — si domandano — che trenta, quaranta, cinquanta uomini la cui vita è piena di successo e di promesse siano disposti a divenire sacerdoti? Vorrei fare, al riguardo, alcune considerazioni, con il rischio, magari, di accrescere le perplessità di tali persone.

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