Elenco di punti

Ci sono 6 punti in «È Gesù che passa» il cui argomento è Regno di Dio.

Sappiamo bene che c'è tanto da fare. Un giorno, forse contemplando l'ondeggiare delle spighe ormai mature, Gesù disse ai suoi discepoli: La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe! (Mt 9, 37-38). Anche oggi, come ieri, mancano i braccianti disposti a sopportare il peso della giornata e il caldo (Mt 20, 12). Se poi noi, che già lavoriamo, non siamo fedeli, accadrà quanto ha scritto il profeta Gioele: Devastata è la campagna, piange la terra, perché il grano è devastato, è venuto a mancare il vino nuovo, è esaurito il succo dell'olivo. Affliggetevi, contadini, alzate lamenti, vignaiuoli, per il grano e per l'orzo, perché il raccolto dei campi è perduto (Gl 1, 10-11).

La messe si perde quando non si vuole accettare generosamente un lavoro intenso, a volte anche lungo e faticoso: preparare la terra, gettare la semente, avere cura dei campi, provvedere alla mietitura e alla trebbiatura… Il Regno di Dio si edifica nella storia, nel tempo. Il Signore ne ha affidato il compito a noi tutti, e nessuno può sentirsene esentato. Oggi, mentre adoriamo e contempliamo Cristo nell'Eucaristia, ricordiamoci che non è ancora giunta l'ora del riposo: la giornata continua.

Nel Libro dei Proverbi leggiamo: Chi coltiva la sua terra si sazia di pane (Pro 12, 11). Cerchiamo di applicare spiritualmente a noi stessi questo passo: chi non lavora il terreno di Dio e non è fedele alla missione divina di servizio agli altri, aiutandoli a conoscere Cristo, difficilmente riuscirà a capire che cos'è il Pane eucaristico. Non si apprezza ciò che non costa sforzo. Per stimare e amare la Sacra Eucaristia, è necessario percorrere lo stesso cammino di Gesù: essere grano di frumento, morire a noi stessi, risorgere pieni di vigore e dare frutto abbondante: il cento per uno! (cfr Mc 4, 8).

Questo cammino si riassume in una sola parola: amare. Amare vuol avere il cuore grande, sentire le preoccupazioni di quelli che ci circondano, saper perdonare e comprendere, sacrificarsi in unione a Gesù Cristo per tutte le anime. Se impariamo ad amare con lo stesso cuore di Cristo, impareremo a servire, a difendere con generosità e chiarezza la verità. Per amare in questo modo, è necessario estirpare dalla propria vita tutto quanto è di ostacolo alla vita di Cristo in noi: l'attaccamento alla comodità, le suggestioni dell'egoismo, la tendenza alla vanagloria… Potremo trasmettere agli altri la vita di Cristo, solo a condizione di riprodurla in noi stessi; potremo lavorare nelle viscere del mondo, trasformandolo dal di dentro, renderlo fecondo, solo a condizione di sperimentare in noi stessi la morte del chicco di frumento.

Si conclude l'anno liturgico e nel Santo Sacrificio dell'altare rinnoviamo l'offerta, al Padre, della Vittima, Cristo, Re di santità e di grazia, Re di giustizia, d'amore e di pace, come leggeremo fra poco nel prefazio (… Regnum sanctitatis et gratiae, regnum iustitae, amoris et pacis [prefazio della solennità di Cristo Re]). Voi tutti, nel considerare la santa Umanità di Nostro Signore, sentite nelle vostre anime una gioia immensa: un Re dal cuore di carne, come il nostro, che pur essendo l'autore dell'universo e di ogni singola creatura, non impone il suo dominio con prepotenza, ma viene come un poverello a chiedere un po' d'amore, mostrandoci, in silenzio, le sue mani piagate.

Perché allora tanti lo ignorano? Perché si sente ancora la protesta crudele: Nolumus hunc regnare super nos (Lc 19, 14), non vogliamo che regni su di noi? Vi sono milioni di uomini che si oppongono a Gesù Cristo, o piuttosto alla sua ombra, perché non lo conoscono, non hanno visto la bellezza del suo volto, ignorano le meraviglie della sua dottrina. Dinanzi a questo triste spettacolo mi sento spinto alla riparazione; dinanzi al clamore incessante, fatto di opere ignobili più che di parole, sento il bisogno di gridare: Oportet illum regnare (1 Cor 15, 25), egli deve regnare.

Molti non tollerano che Cristo regni e gli resistono in mille maniere: negli orientamenti di fondo della vita e della convivenza umana, nei costumi, nella scienza, nell'arte. Persino nella vita stessa della Chiesa! Non mi riferisco — scrive sant'Agostino — ai malvagi che bestemmiano Cristo. Sono rari, infatti, quelli che lo bestemmiano con la lingua, ma sono molti quelli che lo bestemmiamo con la propria condotta (SANT'AGOSTINO, In Ioannis Evangelium tractatus, 27, 11 [PL 35, 1621]).

Taluni, per una superficiale questione di parole, si sentono infastiditi anche solo dall'espressione Cristo Re, come se il regno di Cristo potesse essere preso per una formula politica, o piuttosto perché la confessione della regalità di Cristo li condurrebbe anche ad ammettere una legge. E infatti non tollerano la legge, nemmeno quella del precetto amabilissimo della carità, perché non vogliono avvicinarsi all'amore di Dio e preferiscono servire soltanto il proprio egoismo.

Da tanto tempo il Signore mi spinge a ripetere un grido silenzioso: Serviam, servirò. Chiediamogli di accrescere in noi il desiderio di donazione, di fedeltà alla sua chiamata divina, in semplicità, senza spettacolo, senza rumore, in mezzo alle attività quotidiane. Rendiamogli grazie dal profondo del cuore e rivolgiamogli la nostra preghiera di sudditi — di figli! — e la nostra bocca si riempirà di latte e di miele e sarà dolce per noi parlare del Regno di Dio, che è Regno di libertà: la libertà che Egli stesso ci ha conquistato (cfr Gal 4, 31).

Vorrei che considerassimo in che modo il Cristo che abbiamo visto, Bambino adorabile, nascere a Betlemme, è il Signore dell'universo. Da Lui sono stati creati tutti gli esseri del Cielo e della terra; Egli ha riconciliato al Padre tutte le cose, ha ristabilito la pace tra il Cielo e la terra per mezzo del sangue sparso sulla croce (cfr Col 1, 16-20). Oggi Cristo regna alla destra del Padre: lo dicono i due angeli in bianche vesti ai discepoli che, attoniti, guardano le nubi, dopo l'Ascensione del Signore: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo (At 1, 11).

Grazie a Lui regnano i re (cfr Pro 8, 15): ma mentre le autorità umane passano, il regno di Cristo durerà per l'eternità (Es 15, 18), il suo regno è un regno eterno e il suo dominio perdura di generazione in generazione (Dn 3, 100). Il regno di Cristo non è un modo di dire o una figura retorica. Cristo vive, anche come uomo, con lo stesso corpo che, assunto nell’Incarnazione, risuscitò dopo la morte di croce e, unito alla sua anima umana, sussiste glorioso nella persona del Verbo. Cristo, vero Dio e vero Uomo, vive e regna ed è Signore dell'universo. Soltanto per Lui permane in vita tutto ciò che vive.

Perché, allora, non si manifesta a noi in tutta la sua gloria? Perché il suo regno, che pure è nel mondo, non è di questo mondo (Gv 18, 36). Gesù aveva infatti risposto a Pilato: Io sono re; per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (Gv 18, 37). Sbagliavano coloro che si attendevano dal Messia la manifestazione di un potere temporale e visibile, perché il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo (Rm 14, 17).

Verità e giustizia; pace e gioia nello Spirito Santo. Questo è il regno di Cristo, è l'azione divina che salva gli uomini e che avrà compimento quando la storia terminerà e il Signore, seduto sul suo trono eccelso, verrà a giudicare definitivamente gli uomini.

Quando Gesù intraprende la sua predicazione sulla terra, non offre un programma politico, ma dice: Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino (Mt 3, 2; 4, 17); affida ai suoi discepoli la missione di dare l'annuncio della buona novella (cfr Lc 10, 9), e insegna loro a pregare per l'avvento del Regno (cfr Mt 6, 10). Ecco il Regno di Dio e la sua giustizia, una vita santa: ciò che dobbiamo cercare prima di ogni altra cosa (cfr Mt 6, 33) e la sola cosa veramente necessaria (cfr Lc 10, 42).

La salvezza che Gesù Cristo Nostro Signore predicava è un invito rivolto a tutti: Il Regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze (Mt 22, 2-3). Ecco perché il Signore rivela: Il Regno di Dio è in mezzo a voi (Lc 17, 21). Nessuno è escluso dalla salvezza, purché si arrenda liberamente alle esigenze d'amore di Cristo: nascere di nuovo (cfr Gv 3,5), farsi come i bambini nella semplicità dello spirito (cfr Mc 10, 15; Mt 18, 3; 5, 3), allontanare il cuore da tutto ciò che separa da Dio(In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli [Mt 19, 23]). Gesù chiede opere, e non soltanto parole (cfr Mt 7, 21). Chiede uno sforzo tenace, perché soltanto chi lotta meriterà l'eredità eterna(Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono [Mt 11, 12]). La pienezza del regno — il giudizio definitivo di salvezza o di condanna — non è data quaggiù, sulla terra. Ora il regno è come una semina (cfr Mt 13, 24), come la crescita del granello di senape (cfr Mt 13, 31-32); alla fine sarà come la rete del pescatore dalla quale, trascinata a riva, saranno estratti e separati, per una sorte diversa, gli operatori di giustizia e quelli di iniquità (cfr Mt 13, 47-48). Intanto, finché siamo quaggiù, il regno è simile al lievito che una donna prese e mescolò con tre misure di farina, finché tutta la massa ne fu fermentata (cfr Mt 13, 33).

Chi comprende il regno che Cristo propone, sente che vale la pena dare tutto per ottenerlo: è la perla che il mercante acquista vendendo tutto ciò che possiede; è il tesoro trovato nel campo (cfr Mt 13, 44-46). Il regno dei Cieli è una conquista difficile, e nessuno è sicuro di raggiungerlo (cfr Mt 21, 43; 8, 12); ma la supplica umile di un uomo pentito spalanca le sue porte. Uno dei ladroni crocifissi assieme a Gesù gli rivolge la preghiera: Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. E Gesù gli rispose: « In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso » (Lc 23, 42-43).

Quanto sei grande, Signore e Dio nostro! Tu dai alla nostra vita il senso soprannaturale e l'efficacia divina. Tu ci fai ripetere, per l'amore a tuo Figlio, con tutte le forze del nostro essere, anima e corpo: Oportet illum regnare!, anche se intanto risuona il motivo della nostra fragilità, perché, lo sai bene, siamo creature — povere creature! — fatte di fango, non solo ai piedi (cfr Dn 2, 33), ma nel cuore e nella mente. Forti però della tua divina efficacia, vibreremo soltanto per te.

Cristo deve regnare innanzitutto nella nostra anima. Ma come risponderemmo se ci domandasse: tu, mi lasci regnare dentro di te? Io gli risponderei che per farlo regnare in me ho un grande bisogno della sua grazia: soltanto così anche il palpito più nascosto, il sospiro impercettibile, lo sguardo più insignificante e la parola più banale, perfino la sensazione più elementare, tutto potrà tradursi in un osanna a Cristo, il mio Re.

Se vogliamo che Cristo regni, dobbiamo essere coerenti: donargli per prima cosa il cuore. Altrimenti, parlare del regno di Cristo sarebbe suono vano, senza sostanza cristiana, manifestazione esteriore di una fede inesistente, utilizzazione fraudolenta del nome di Dio per accomodamenti umani.

Se Gesù, per regnare nella mia, nella tua anima, ponesse come condizione di trovare in noi un luogo perfetto, avremmo buon motivo per disperarci. E invece, non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo Re viene, seduto sopra un puledro d'asina (Gv 12, 15). Vedete? Gesù accetta di avere per trono un povero animale. Non so se capita anche a voi, ma io non mi sento umiliato nel riconoscermi dinanzi al Signore come un somarello: Sono come un somarello di fronte a te, ma sono sempre con te, perché tu mi hai preso con la tua destra (cfr Sal 72, 22-23), tu mi conduci per la cavezza.

Pensate un po’ alle caratteristiche di un somaro, ora che ne restano così pochi. Non pensate all'animale vecchio e cocciuto, che sfoga i suoi rancori tirando calci a tradimento, ma all'asinello giovane, dalle orecchie tese come antenne, austero nel cibo, tenace nel lavoro, che trotta lieto e sicuro. Vi sono centinaia di animali più belli, più abili, più crudeli. Ma Cristo, per presentarsi come re al popolo che lo acclamava, ha scelto lui. Perché Gesù non sa che farsene dell'astuzia calcolatrice, della crudeltà dei cuori aridi, della bellezza appariscente ma vuota. Il Signore apprezza la gioia di un cuore giovane, il passo semplice, la voce non manierata, gli occhi limpidi, l'orecchio attento alla sua parola d'amore. Così regna nell'anima.

Se lasciamo che Cristo regni nella nostra anima, non saremo mai dei dominatori, ma servitori di tutti gli uomini. Servizio: come mi piace questa parola! Servire il mio Re e, per Lui, tutti coloro che sono stati redenti dal suo sangue. Se noi cristiani sapessimo servire! Andiamo dal Signore e confidiamogli la nostra decisione di voler imparare a servire, perché soltanto così potremo non solo conoscere e amare Cristo, ma farlo conoscere e farlo amare dagli altri.

Come lo faremo conoscere alle anime? Con l'esempio, come suoi testimoni, offrendoci a Lui in volontaria servitù in tutte le nostre opere, perché Egli è il Signore di tutta la nostra vita, perché è l'unica e definitiva ragione della nostra esistenza. Poi, dopo aver offerto la testimonianza dell'esempio, saremo idonei a istruire con la parola, con la dottrina. Gesù fece così: Coepit facere et docere (At 1, 1), prima insegnò con le opere, poi con la sua predicazione divina.

Per servire gli altri nel nome di Cristo, è necessario essere molto umani. Se la nostra vita fosse disumana, Dio non vi edificherebbe nulla, perché di solito non costruisce sul disordine, sull'egoismo, sulla prepotenza. È necessario comprendere tutti, convivere con tutti, scusare tutti, perdonare tutti. Non si tratta di dire che è giusto ciò che non lo è, o che l'offesa a Dio non è offesa a Dio, o che il male è bene. Però, non risponderemo al male con il male, ma con dottrina chiara e buone opere, affogando il male nell'abbondanza di bene (cfr Rm 12, 21). Cristo allora regnerà nella nostra anima e in quelle di coloro che ci sono vicini.

C'è chi cerca di costruire la pace nel mondo senza mettere nel suo cuore l'amore di Dio, senza servire le creature per amore di Dio. Come è possibile realizzare una simile missione di pace? La pace di Cristo è quella del suo regno; e il regno di Nostro Signore si fonda sul desiderio di santità, sull'umile disponibilità a ricevere la grazia, su una vigorosa opera di giustizia, su una divina effusione d'amore.

Tutto ciò non è un sogno inutile, e può diventare realtà. Se noi uomini ci decidessimo a ospitare nel nostro cuore l'amore di Dio! Cristo, Nostro Signore, fu crocifisso, e dall'alto della croce ha redento il mondo, ristabilendo la pace tra Dio e gli uomini. Gesù stesso ricorda a tutti: Et ego si exaltatus fuero a terra omnia traham ad meipsum (Gv 12, 32), quando mi collocherete al vertice di tutte le attività della terra, compiendo il dovere di ogni momento ed essendo miei testimoni nelle cose grandi e piccole, allora omnia traham ad meipsum, attrarrò tutto a me, e il mio regno in mezzo a voi sarà una realtà. Cristo, Nostro Signore, continua a operare la sua semina per la salvezza degli uomini e di tutto il creato: del mondo, dunque, che è buono, perché è uscito buono dalle mani di Dio. Fu la caduta di Adamo, il peccato della superbia umana, a rompere l'armonia divina della creazione.

Ma Dio Padre, quando giunse la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio Unigenito, che si incarnò per opera dello Spirito Santo nel seno di Maria sempre Vergine, per ristabilire la pace, e perché noi, redenti dal peccato, adoptionem filiorum reciperemus (Gal 4, 5), fossimo costituiti figli di Dio e capaci di partecipare all'intimità divina, affinché all'uomo nuovo, alla nuova stirpe dei figli di Dio (cfr Rm 6, 4-5), fosse concesso di liberare tutto l'universo dal disordine, restaurando tutte le cose in Cristo (cfr Ef 1, 9-10), in colui che le ha riconciliate con Dio (cfr Col 1, 20).

A tutto ciò siamo stati chiamati noi cristiani, questo è il nostro compito apostolico e l'ansia che deve consumarci interiormente: far sì che il regno di Cristo divenga realtà, che non ci sia più odio né crudeltà, e che si estenda per tutta la terra il balsamo forte e pacifico dell'amore. Chiediamo in questo giorno al nostro Re che faccia di noi degli umili e ferventi collaboratori al disegno divino di unire ciò che è spezzato, di salvare ciò che è perduto, di riordinare quello che l'uomo ha sconvolto, di condurre alla meta ciò che devia, di ricostruire l'armonia di tutto il creato.

Abbracciare la fede cristiana significa impegnarsi a proseguire in mezzo alle creature la missione di Gesù. Ognuno di noi dev'essere alter Christus, ipse Christus, un altro Cristo, lo stesso Cristo. Allora potremo intraprendere l'impresa grande, immensa, illimitata, di santificare dal di dentro tutte le strutture temporali portando in esse il fermento della Redenzione.

Io non parlo mai di politica. Quando penso al compito dei cristiani sulla terra non lo vedo come lo scaturire di un movimento politico-religioso: considero questa pretesa una pazzia, anche quando la si rivesta del buon proposito di infondere lo spirito di Cristo in tutte le attività umane. Si tratta piuttosto di aiutare ciascuno, chiunque esso sia, a mettere il proprio cuore in Dio. Cerchiamo dunque di parlare a ogni singolo cristiano, affinché là dove si trova — nelle circostanze che non dipendono soltanto dalla sua posizione nella Chiesa o nella vita civile, ma anche dalle mutevoli situazioni storiche — sappia dare testimonianza, con l'esempio e la parola, della fede che professa.

Come uomo, il cristiano ha pieno diritto di cittadinanza nel mondo. Se poi accetta che Cristo viva e regni nel suo cuore, l'efficacia salvifica del Signore si manifesterà in tutte le sue opere: poco importa che esse siano rilevanti o modeste, perché agli occhi di Dio una vetta umana può essere bassezza, e quel che chiamiamo umile o modesto può essere un vertice cristiano di santità e di servizio.