Elenco di punti

Ci sono 6 punti in «Colloqui con monsignor Escrivá» il cui argomento è Matrimonio → vocazione divina, cammino di santità.

Alcuni lettori di Cammino si sorprendono dell'affermazione contenuta nel numero 28 di questo libro, lì dove dice: “Il matrimonio è per i soldati, e non per lo stato maggiore di Cristo”. È giusto vedere in queste parole un certo disprezzo per il matrimonio, e quindi una contraddizione con la preoccupazione dell'Opus Dei di essere presente nelle realtà vive del mondo moderno?

Le consiglio di leggere il numero di Cammino che precede quello da lei citato; lì si dice che il matrimonio è una vocazione divina. Non era davvero frequente sentire un'affermazione del genere negli anni intorno al 1935.

Trarre dalle mie parole le illazioni cui lei accenna vuol dire non aver capito di che cosa parlo. Con quella metafora volevo ricordare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato riguardo alla superiorità e al valore soprannaturale del celibato apostolico. Allo stesso tempo, intendevo rammentare a ogni cristiano che deve sentirsi miles Christi, secondo l'espressione di san Paolo: soldato di Cristo, membro di questo popolo di Dio che combatte sulla terra una battaglia divina di comprensione, di santità e di pace.

Del resto, ci sono dappertutto nel mondo migliaia di persone sposate che appartengono all'Opus Dei, o vivono secondo il suo spirito, e che sanno bene che un soldato può guadagnarsi una decorazione nella stessa battaglia in cui il generale si è dato vergognosamente alla fuga.

Nell'omelia pronunziata a Pamplona lo scorso mese di ottobre, durante la santa Messa celebrata per l'assemblea degli Amici dell'Università di Navarra, lei parlò dell'amore umano con parole commoventi. Molte lettrici ci hanno scritto dell'emozione che provarono nel sentirla parlare così. Ci direbbe ora quali sono i valori più importanti del matrimonio cristiano?

È materia che conosco bene, per mia diretta esperienza sacerdotale di molti anni e in molti Paesi. La maggioranza dei soci dell'Opus Dei vive nello stato matrimoniale; per loro l'amore umano e i doveri coniugali sono parte della vocazione divina. L'Opus Dei ha fatto del matrimonio un cammino divino, una vocazione, e ciò comporta molte conseguenze riguardanti la santificazione personale e l'apostolato.

Da quasi quarant'anni predico il significato vocazionale del matrimonio. Quante volte ho visto illuminarsi il volto di tanti, uomini e donne, che credendo inconciliabili nella loro vita la dedizione a Dio e un amore umano nobile e puro, mi sentivano dire che il matrimonio è una strada divina sulla terra!

Il matrimonio è fatto perché quelli che lo contraggono vi si santifichino e santifichino gli altri per mezzo di esso: perciò i coniugi hanno una grazia speciale, che viene conferita dal sacramento istituito da Gesù Cristo. Chi è chiamato allo stato matrimoniale, trova in esso, con la grazia di Dio, tutti i mezzi necessari per essere santo, per identificarsi ogni giorno di più con Gesù e per condurre verso il Signore le persone con cui vive.

È per questo che penso sempre con speranza e affetto ai focolari cristiani, a tutte le famiglie sbocciate dal sacramento del matrimonio, che sono luminose testimonianze del grande mistero divino — sacramentum magnum (Ef 5, 32), sacramento grande — dell'unione e dell'amore fra Cristo e la sua Chiesa. Dobbiamo adoperarci perché queste cellule cristiane della società nascano e crescano con desiderio di santità, coscienti che il sacramento iniziale — il Battesimo — conferisce già a tutti i cristiani una missione divina, che ciascuno deve portare a compimento lungo il suo cammino.

Gli sposi cristiani devono avere la consapevolezza di essere chiamati a santificarsi santificando, cioè a essere apostoli; e che il loro primo apostolato si deve realizzare nella loro casa. Devono capire l'opera soprannaturale che è insita nella creazione di una famiglia, nell'educazione dei figli, nell'irradiazione cristiana nella società. Dalla consapevolezza della propria missione dipende gran parte dell'efficacia e del successo della loro vita: la loro felicità.

Non devono però dimenticare che il segreto della felicità coniugale è racchiuso nelle cose quotidiane, e non in fantasticherie. Consiste nello scoprire la gioia intima del ritorno al focolare, nell'incontro affettuoso coi figli; nel lavoro di ogni giorno a cui collabora tutta la famiglia; nel buon umore dinanzi alle difficoltà, che vanno affrontate con spirito sportivo; e anche nel saper approfittare di tutti i progressi offertici dalla civiltà per rendere la casa accogliente, la vita più semplice, la formazione più efficace.

Ripeto insistentemente a quanti sono stati chiamati da Dio a formare una famiglia di amarsi sempre; di amarsi con l'amore appassionato di quand'erano fidanzati. Ha un povero concetto del matrimonio — che è un sacramento, un ideale e una vocazione — colui che pensa che l'amore finisca quando iniziano le pene e i contrattempi che la vita porta sempre con sé. È proprio allora che il legame d'affetto si rafforza. La piena delle tribolazioni e delle contrarietà non è capace di spegnere il vero amore: il sacrificio generosamente condiviso rafforza l'unione. Come dice la Bibbia, aquae multae — le molte difficoltà, fisiche e morali — non potuerunt extinguere caritatem (Ct 8, 7), non hanno potuto spegnere l'amore.

Sappiamo che la sua dottrina sul matrimonio come cammino di santità non è nuova nella sua predicazione. Già dal 1934, in Consideraciones espirituales, lei insisteva sulla necessità di vedere il matrimonio come una vocazione. Però, sia in questo libro che in Cammino, lei scrisse anche che il matrimonio è per "i soldati" e non per lo "stato maggiore" di Cristo. Ci spiegherebbe come si conciliano i due aspetti?

Nello spirito e nella vita dell'Opus Dei non c'è mai stata nessuna difficoltà per conciliare questi due aspetti. D'altronde, è bene ricordare che la maggiore eccellenza del celibato — quello fondato su motivi spirituali — non è una mia opinione teologica, bensì dottrina di fede della Chiesa.

Quando verso gli anni trenta scrivevo quelle frasi, nell'ambiente cattolico — nella vita pastorale concreta — si tendeva a promuovere la ricerca della perfezione cristiana nella gioventù facendo apprezzare solo il valore soprannaturale della verginità, e lasciando in ombra il valore del matrimonio cristiano come cammino di santità.

Normalmente nelle scuole cattoliche non si era soliti formare i giovani ad apprezzare adeguatamente la dignità del matrimonio. Anche oggi è frequente che negli esercizi spirituali che si danno agli alunni degli ultimi anni, vengano proposti molti più elementi per considerare una possibile vocazione religiosa, piuttosto che quelli dell'altrettanto possibile orientamento al matrimonio. E non mancano coloro — in numero, fortunatamente, sempre minore — che screditano la vita coniugale, presentandola ai giovani come qualcosa che la Chiesa si limita a tollerare, come se la formazione di una famiglia non permettesse di aspirare seriamente alla santità.

Nell'Opus Dei ci siamo sempre comportati in un altro modo, e — mettendo ben in chiaro la ragion d'essere e l'eccellenza del celibato apostolico — abbiamo indicato il matrimonio come un cammino divino sulla terra.

Non mi spaventa l'amore umano, l'amore santo dei miei genitori, di cui il Signore si valse per darmi la vita. Quell'amore io lo benedico con tutte e due le mani. I coniugi sono i ministri e la materia stessa del sacramento del matrimonio, come il pane e il vino sono la materia dell'Eucaristia. Per questo mi piacciono tutte le canzoni che parlano dell'amore puro degli uomini: per me sono canti d'amore umano che innalzano al divino. Allo stesso tempo, dico sempre che quelli che seguono la vocazione al celibato apostolico non sono degli scapoloni che non comprendono e non apprezzano l'amore, tutt'altro: la spiegazione della loro vita sta nella realtà di quell'Amore divino — mi piace scriverlo con la maiuscola — che è l'essenza stessa di ogni vocazione cristiana.

Non c'è nessuna contraddizione fra apprezzare la vocazione matrimoniale e comprendere la maggior eccellenza della vocazione al celibato propter regnum coelorum (Mt 19, 12). Sono convinto che qualsiasi cristiano capisce perfettamente che queste due cose sono compatibili, se fa in modo di conoscere, accettare e amare l'insegnamento della Chiesa, e se cerca anche di conoscere, accettare e amare la propria vocazione personale. Vale a dire: se ha fede e vive di fede.

Quando scrivevo che il matrimonio è per i soldati non facevo altro che descrivere ciò che è sempre stato nella Chiesa. Sapete che i Vescovi — che formano il Collegio Episcopale, che hanno il Papa come capo e governano con lui tutta la Chiesa — sono scelti fra coloro che vivono il celibato; questo vale anche per le Chiese orientali, dove sono ammessi i presbiteri sposati. Inoltre è facile capire e verificare che i celibi godono di fatto una maggior libertà di cuore e di movimento per dedicarsi stabilmente a dirigere e sostenere attività apostoliche, e questo è vero anche nell'apostolato dei laici. Ciò non vuol dire che gli altri laici non possano svolgere o non svolgano di fatto un apostolato meraviglioso e di primaria importanza: vuole solo dire che esistono diverse funzioni, diversi compiti in posti di diversa responsabilità.

In battaglia — il mio paragone voleva significare solo questo — i soldati non sono meno necessari dello stato maggiore, e possono essere più eroici e meritare più gloria. Insomma: ci sono compiti diversi, e tutti sono importanti e nobili. Quello che importa è soprattutto la corrispondenza di ciascuno alla propria vocazione: per ognuno ciò che è più perfetto è — sempre e solo — compiere la volontà di Dio.

Quindi, un cristiano che si impegna per santificarsi nello stato matrimoniale ed è consapevole della grandezza della propria vocazione, sente spontaneamente una particolare venerazione e un profondo affetto verso quanti sono chiamati al celibato apostolico; e quando, per grazia di Dio, qualcuno dei suoi figli intraprende questo cammino, egli ne prova sincera gioia. E giunge ad amare ancora di più la propria vocazione matrimoniale, che gli ha permesso di offrire a Cristo — il grande Amore di tutti, celibi o sposati — i frutti dell'amore umano.

Molti coniugi si sentono disorientati dai consigli che ricevono, perfino da alcuni sacerdoti, in rapporto al numero dei figli. Che cosa consiglierebbe lei a questi sposi, di fronte a tanta confusione?

Quanti confondono in questo modo le coscienze, dimenticano che la vita è sacra, e si rendono meritevoli dei duri rimproveri del Signore contro i ciechi che guidano altri ciechi, contro quelli che non vogliono entrare nel Regno dei cieli e non vi lasciano entrare nemmeno gli altri. Non giudico le loro intenzioni; anzi, sono convinto che molti danno simili consigli spinti dalla compassione e dal desiderio di risolvere situazioni difficili: ma non posso nascondere che mi causa profondo dolore l'opera distruttrice — diabolica, in molti casi — di quanti non solo non trasmettono la buona dottrina, ma addirittura la corrompono.

Gli sposi, quando ricevono consigli e raccomandazioni in materia, non dimentichino che l'importante è di conoscere quello che vuole Dio.

Quando vi è sincerità — rettitudine — e un minimo di formazione cristiana, la coscienza sa scoprire la volontà di Dio, qui come in tutte le altre cose. Può infatti succedere che si stia cercando un consiglio che favorisca il proprio egoismo, che metta a tacere, con la forza di una presunta autorità, la voce della propria anima; e addirittura che si vada passando da un consigliere all'altro fino a trovare il più "benevolo". Questo, fra l'altro, è un atteggiamento farisaico indegno di un figlio di Dio.

Il consiglio di un altro cristiano e in particolare nei problemi di morale o di fede, il consiglio del sacerdote, sono un valido aiuto per riconoscere quello che Dio ci chiede in una determinata circostanza; ma il consiglio non elimina la responsabilità personale: siamo noi, singolarmente, a dover decidere, e dovremo rendere personalmente conto a Dio delle nostre decisioni.

Al di sopra dei consigli privati c'è la legge di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura, e che il Magistero della Chiesa custodisce e propone con l'assistenza dello Spirito Santo. Quando i consigli di una persona contraddicono la Parola di Dio, quale viene insegnata nel Magistero, bisogna scostarsi con decisione da quei pareri erronei. Dio aiuterà con la sua grazia colui che agisce con una simile rettitudine, ispirandogli quello che deve fare e, qualora ne abbia bisogno, facendogli trovare un sacerdote capace di condurre la sua anima attraverso sentieri retti e puliti, anche se spesso difficili.

Non bisogna impostare la direzione spirituale dedicandosi a fabbricare delle creature prive del proprio giudizio e che si limitano a eseguire materialmente ciò che un altro dice loro; la direzione spirituale invece deve tendere a formare persone di criterio. E il criterio implica maturità, fermezza nelle proprie convinzioni, sufficiente conoscenza della dottrina, delicatezza di spirito, educazione della volontà.

È importante che gli sposi acquistino un chiaro senso della dignità della loro vocazione; che sappiano di esser stati chiamati da Dio a raggiungere l'amore divino attraverso l'amore umano; che sono stati scelti, fin dall'eternità, per cooperare con il potere creatore di Dio nella procreazione e poi nell'educazione dei figli; che il Signore chiede che facciano della loro casa e della loro vita di famiglia una testimonianza di tutte le virtù cristiane.

Il matrimonio — non mi stancherò mai di ripeterlo — è un cammino divino, grande e meraviglioso; e come tutto ciò che abbiamo di divino in noi, ha manifestazioni concrete di corrispondenza alla grazia, di generosità, di donazione, di servizio. L'egoismo, in ciascuna delle sue forme, si oppone all'amore di Dio che deve dominare nella nostra vita. Questo è un punto fondamentale, che dev'essere tenuto ben presente a proposito del matrimonio e del numero dei figli.

Nel corso dell'intervista, lei ci ha commentato vari e importanti aspetti della vita umana e in particolare della vita della donna, e ci ha fatto notare in che modo li valuta lo spirito dell'Opus Dei. Potrebbe dirci, per terminare, come pensa che si debba promuovere il ruolo della donna nella vita della Chiesa?

Non nascondo che di fronte a una domanda di questo tipo, sento, contrariamente alla mia abitudine, la tentazione di rispondere in modo polemico, perché ci sono persone che adoperano questa terminologia in maniera clericale, usando la parola Chiesa come sinonimo di qualcosa che appartiene al clero, alla Gerarchia ecclesiastica. Così, per partecipazione alla vita della Chiesa intendono solo o principalmente l'aiuto prestato alla vita parrocchiale, la collaborazione ad associazioni "con mandato" della Gerarchia, l'assistenza attiva alle funzioni liturgiche, e cose del genere.

Coloro che pensano così dimenticano all'atto pratico — anche se forse lo proclamano in teoria — che la Chiesa è la totalità del popolo di Dio, l'assieme di tutti i cristiani; e che pertanto, ovunque un cristiano si sforza di vivere in nome di Gesù Cristo, là è presente la Chiesa.

Con ciò non intendo minimizzare l'importanza della collaborazione che la donna può prestare alla vita della struttura ecclesiastica. La considero anzi imprescindibile. Ho dedicato tutta la vita a difendere la pienezza della vocazione cristiana dei laici (cioè degli uomini e delle donne comuni, che vivono in mezzo al mondo) e a promuovere, pertanto, il pieno riconoscimento teologico e giuridico della loro missione nella Chiesa e nel mondo.

Voglio solo far notare che c'è chi vorrebbe imporre una riduzione ingiustificata di tale collaborazione; e mi preme rilevare che il comune cristiano, sia uomo o donna, può svolgere la propria missione specifica, anche quella che gli spetta all'interno della struttura ecclesiale, solo a condizione di non clericalizzarsi, di continuare cioè ad essere secolare, ad essere persona che con normalità vive nel mondo e partecipa alle vicende del mondo.

Ai milioni di cristiani, uomini e donne, che riempiono la terra, spetta il compito di condurre a Cristo tutte le attività umane, annunciando con la propria vita che Dio ama tutti e tutti vuole salvare. Pertanto, il modo migliore di partecipare alla vita della Chiesa — il più importante, e quello che in ogni caso dev'essere il fondamento di tutti gli altri — è essere integralmente cristiani nel posto assegnato dalla vita, nel posto in cui la vocazione umana ci ha condotti.

Mi commuove pensare a tanti cristiani e a tante cristiane che, forse senza proporselo in modo esplicito, vivono con semplicità la vita ordinaria, cercando di incarnare in essa la Volontà di Dio. Renderli consapevoli di quanto sia eccelsa la loro vita; rivelare loro che ciò che sembra privo di importanza ha un valore di eternità; insegnare ad ascoltare più attentamente la voce di Dio che parla loro attraverso fatti e situazioni, è qualcosa di cui oggi ha urgente necessità la Chiesa, perché a questo la sta spingendo Dio.

Cristianizzare dal di dentro il mondo intero, dimostrando che Gesù ha redento tutta l'umanità: ecco la missione del cristiano. E la donna vi parteciperà nel modo che le è proprio, sia nella casa che nelle varie occupazioni ove realizza le sue capacità peculiari.

La cosa essenziale è dunque che si viva, come Maria Santissima — donna, Vergine e Madre —, al cospetto di Dio, pronunciando quel fiat mihi secundum verbum tuum (Lc 1, 38) da cui dipende la fedeltà alla vocazione personale, sempre unica e intrasferibile, e che ci rende cooperatori dell'opera di salvezza che Dio realizza in noi e nel mondo intero.

E adesso, figlie e figli miei, permettetemi di soffermarmi su di un altro aspetto — particolarmente toccante — della vita di tutti i giorni. Mi riferisco all'amore umano, l'amore autentico e puro fra un uomo e una donna, il fidanzamento, il matrimonio. Mi preme di dire una volta ancora che questo santo amore umano non è qualcosa di semplicemente consentito o tollerato, accanto alle vere attività dello spirito, come potrebbe sottintendersi in quei falsi spiritualismi cui alludevo dianzi. Sono quarant'anni che sto predicando a viva voce e per iscritto tutto il contrario, e finalmente cominciano a comprenderlo quelli che non lo capivano.

L'amore che conduce al matrimonio e alla famiglia può essere anch'esso un cammino divino, vocazionale, meraviglioso, una strada per la completa dedicazione al nostro Dio. Fate le cose con perfezione, vi ricordavo, mettete amore nelle piccole attività della giornata, scoprite — insisto ancora — quel "qualcosa di divino" nascosto nei particolari: tutta questa dottrina ha speciale applicazione nello spazio vitale in cui si muove l'amore umano.

Lo sapete bene, professori, alunni e tutti voi che dedicate la vostra opera all'Università di Navarra: io ho affidato i vostri affetti più cari a Santa Maria, Madre del Bell'Amore. L'edicola con la sua statua, l'avete qui: l'abbiamo costruita con devozione, in mezzo al campus universitario, perché accolga le vostre preghiere e l'offerta di questo meraviglioso e puro amore, che Lei benedice.

“Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che avete ricevuto da Dio, e che non appartenete quindi a voi stessi?” (1 Cor 6, 19). Quante volte, davanti alla statua della Vergine Santa, Madre del Bell'Amore, voi risponderete con un'affermazione gioiosa a questa domanda dell'Apostolo! Si — direte —, lo sappiamo, Vergine Madre di Dio, e col tuo efficace aiuto vogliamo anche viverlo.

La preghiera contemplativa sgorgherà dal vostro cuore ogni volta che mediterete questa grandiosa verità: una cosa così materiale come il mio corpo è stata prescelta dallo Spirito Santo per stabilirvi la sua dimora, io non appartengo più a me stesso…, il mio corpo e la mia anima — tutt'intero il mio essere — sono di Dio… E questa preghiera sarà feconda di risultati pratici, derivanti dalla grande conseguenza che lo stesso Apostolo suggerisce: “Glorificate Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6, 20).