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Ci sono 7 punti in «Colloqui con monsignor Escrivá» il cui argomento è Focolare domestico  → il lavoro della donna nel focolare domestico.

Monsignore, la presenza della donna nella vita sociale sta diventando sempre più ampia, anche al di là dell'àmbito famigliare in cui essa si è mossa quasi esclusivamente fino a ora. Che cosa pensa di questa evoluzione? E quali sono, secondo lei, le caratteristiche di base che la donna deve possedere per il compimento della missione che le è assegnata?

Innanzitutto, mi sembra opportuno non contrapporre i due àmbiti a cui ha accennato. Come nella vita dell'uomo, anche in quella della donna, ma con caratteristiche molto peculiari, il focolare e la famiglia occuperanno sempre un posto preminente: è evidente che il dedicarsi ai compiti famigliari costituisce una grande funzione umana e cristiana. Tuttavia questo non esclude la possibilità di svolgere altre attività professionali — anche quella domestica è un'attività professionale — in una qualunque delle mansioni e degli impieghi dignitosi esistenti nella società in cui si vive. È facile capire che cosa si intende impostando così il problema; penso però che se si insiste troppo sulla contrapposizione sistematica tra casa ed attività esterne, e ci si limita a spostare l'accento da un termine all'altro, si potrebbe giungere, da un punto di vista sociale, a un errore maggiore di quello che si cerca di correggere, giacché sarebbe senz'altro più grave che la donna abbandonasse il lavoro di casa.

Nemmeno sul piano personale si può affermare, in modo unilaterale, che la donna può raggiungere la propria perfezione solo al di fuori della famiglia: come se il tempo che essa dedica alla famiglia fosse tempo rubato allo sviluppo ed alla maturità della sua personalità. Il focolare — qualunque esso sia, poiché anche la donna non sposata deve avere un focolare — è un àmbito particolarmente propizio per lo sviluppo della personalità. Il maggior motivo di dignità della donna sarà sempre costituito dalle cure prestate alla famiglia; con la sollecitudine verso il marito e i figli o, per parlare in termini più generali, con il proprio impegno per creare intorno a sé un ambiente accogliente e formativo, la donna realizza l'aspetto più insostituibile della sua missione, e in conseguenza può raggiungere proprio lì la sua personale perfezione.

Come ho già detto, questo non si oppone ad altri aspetti della vita sociale, compresa la politica, per esempio. Anche in questi settori, la donna — come persona, e con le caratteristiche proprie della sua femminilità — può apportare un valido contributo; e ci riesce nella misura in cui è preparata da un punto di vista umano e professionale. Tanto la famiglia, infatti, quanto la società, hanno bisogno del suo speciale contributo, che non è affatto secondario.

Sviluppo, maturità, emancipazione della donna non devono significare una pretesa di uguaglianza — di uniformità — nei riguardi dell'uomo, una "imitazione" dei modelli maschili: ciò per la donna non sarebbe una conquista, ma piuttosto una perdita, e non perché essa valga di più o di meno dell'uomo, ma perché è diversa. Sotto il profilo essenziale — che deve avere un riconoscimento giuridico sia civile che ecclesiastico — si può certamente parlare di "uguaglianza di diritti", perché la donna ha allo stesso modo dell'uomo la dignità di persona e di figlia di Dio. Ma da questa base di uguaglianza fondamentale, ognuno deve mirare a ciò che gli è proprio; l'emancipazione viene quindi a significare per la donna la possibilità reale di sviluppare pienamente le proprie virtualità: quelle che essa possiede nella sua singolarità, e quelle che ha in quanto donna. L'uguaglianza di fronte al diritto, la parità davanti alla legge, non sopprimono ma anzi presuppongono e promuovono tale diversità, che è poi ricchezza per tutti.

La donna è chiamata ad apportare alla famiglia, alla società civile, alla Chiesa, qualche cosa di caratteristico che le è proprio e che solo lei può dare: la sua delicata tenerezza, la sua instancabile generosità, il suo amore per la concretezza, il suo estro, la sua capacità di intuizione, la sua pietà profonda e semplice, la sua tenacia… La femminilità non è autentica se non sa cogliere la bellezza di questo insostituibile apporto e non ne fa vita della propria vita.

Per compiere questa missione la donna deve sviluppare la propria personalità, senza lasciarsi trasportare da un ingenuo spirito di imitazione che finirebbe quasi sempre per collocarla in una situazione di inferiorità e mortificherebbe le sue possibilità più originali. Se si forma bene, con autonomia personale, con autenticità, essa realizzerà efficacemente la sua opera, la missione a cui si sente chiamata, qualunque essa sia: la sua vita, il suo lavoro, saranno veramente costruttivi e fecondi, ricchi di significato, sia che trascorra le proprie giornate dedita al marito e ai figli, sia che, avendo rinunciato al matrimonio per nobili motivi, essa abbia deciso di dedicarsi interamente ad altri compiti. Ciascuna per la propria strada, fedele alla sua vocazione umana e divina, può realizzare, come di fatto avviene, la personalità femminile in tutta la sua pienezza. Non dimentichiamo che la Madonna, Madre di Dio e Madre degli uomini, non solo è un modello, ma anche la prova del valore trascendente che può assumere una vita apparentemente irrilevante.

Talvolta, però, la donna non si sente certa di trovarsi veramente al posto che le spetta, al posto cui è chiamata. Molto spesso, quando lavora fuori, pesano su di lei le esigenze della casa; quando invece si dedica completamente alla famiglia, avverte una limitazione delle proprie possibilità. Lei che cosa direbbe alle donne che provano tali contraddizioni?

Tale sensazione — molto reale — deriva spesso, più che da vere e proprie limitazioni — che tutti abbiamo, perché siamo esseri umani — dalla mancanza di ideali ben determinati, tali da dar senso a una vita intera, o anche da inconsapevole superbia: a volte vorremmo essere i migliori in tutti i campi e a tutti i livelli. E siccome ciò non è possibile, nasce uno stato di ansietà e di disorientamento o addirittura di tedio e di scoraggiamento: non si riesce a badare a tutto; non si sa a che dedicarsi e si finisce per non concludere nulla. In una simile situazione, l'anima rimane esposta all'invidia, l'immaginazione facilmente si sbriglia e cerca rifugio nella fantasticheria, che allontana dalla realtà e finisce con l'addormentare la volontà. È ciò che spesso ho chiamato mistica del magari, fatta di vani sogni e di falsi idealismi: magari non mi fossi sposato, magari avessi un altro lavoro, magari avessi una salute migliore, o meno anni, o più tempo a disposizione!

Il rimedio (costoso, come qualsiasi cosa di valore) sta nel cercare il vero centro della vita umana, ciò che a tutto può dare il giusto posto, un ordine e un senso: il rapporto con Dio attraverso un'autentica vita interiore. Se vivendo in Cristo abbiamo in Lui il nostro centro, scopriamo il senso della missione affidataci, abbiamo un ideale umano che diviene divino, nuovi orizzonti e nuove speranze ci si aprono dinanzi, e arriviamo sino a sacrificare con gioia non già questo o quell'aspetto della nostra attività, ma la vita intera, dandole così, paradossalmente, il compimento più profondo.

Il problema che lei riscontra nella donna, non le è esclusivo: pur con circostanze diverse, molti uomini sperimentano talvolta una situazione analoga. La radice di solito è la stessa: mancanza di un profondo ideale, che si arriva a scoprire solo alla luce di Dio.

Comunque, occorre mettere in pratica anche dei piccoli rimedi, che sembrano banali, ma non lo sono affatto: se si hanno molte cose da fare, bisogna stabilire un ordine, organizzarsi. Molte delle difficoltà nascono dalla mancanza di ordine, dal non aver acquistato questa dote. Ci sono donne che fanno mille cose, e tutte bene, perché hanno saputo organizzarsi, imponendo con energia un ordine all'abbondanza dei compiti. Hanno saputo badare in ogni occasione a ciò che dovevano fare in quel momento, senza frastornarsi col pensiero di ciò che sarebbe venuto poi o di ciò che forse avrebbero potuto fare prima. Altre invece si lasciano opprimere dal molto da fare, e così non fanno nulla.

Certo, ci saranno sempre molte donne che non avranno altra occupazione che quella di portare avanti la propria casa. Ebbene, vi dico che si tratta di una magnifica occupazione, e vale la pena dedicarvisi. Attraverso tale professione — perché lo è: vera e nobile — esercitano un positivo influsso non solo sulla famiglia, ma anche su moltissimi amici e conoscenti, su tante persone con cui in un modo o nell'altro vengono in contatto: esercitano un'influenza a volte molto più estesa di quella di altre professioni. Non parliamo poi di quando pongono la loro esperienza e la loro scienza al servizio di centinaia di persone, in centri destinati alla formazione della donna, del tipo di quelli che dirigono le mie figlie dell'Opus Dei in tutti i Paesi del mondo. Allora diventano maestre della casa, con un'efficacia educativa, direi, superiore, a quella di molti docenti universitari.

Mi scusi, ma vorrei insistere sullo stesso tema. Da lettere che ci arrivano in redazione, sappiamo che alcune madri di famiglia numerose si lamentano di vedersi ridotte al compito di mettere figli al mondo, e sentono un'insoddisfazione molto grande perché non possono dedicarsi nella loro vita ad altre cose: lavoro professionale, cultura, impegno sociale. Che cosa consiglierebbe a queste persone?

Vediamo un po'. Che cosa è la dimensione sociale se non darsi agli altri, con senso di dedizione e di servizio, per contribuire con efficacia al bene di tutti? Il lavoro della donna nella propria casa non solo è di per sé una funzione sociale, ma può essere addirittura la funzione sociale di maggior rilievo.

Pensate a una famiglia numerosa: in essa l'importanza del lavoro di una madre può essere ben paragonata a quella degli educatori di professione, e sovente il confronto è a vantaggio delle donne. Un insegnante, durante una vita intera, riesce a formare così così un certo numero di ragazzi o di ragazze. Una madre invece può formare i suoi figli in profondità, negli aspetti più basilari, e può farli diventare, a loro volta, educatori, in modo da creare un'ininterrotta catena di responsabilità e di virtù.

Anche in questi temi è facile lasciarsi sedurre da un criterio meramente quantitativo, fino a pensare che è preferibile il lavoro dell'insegnante, per le cui aule passano migliaia di persone, o quello dello scrittore che si dirige a migliaia di lettori. In realtà, quello scrittore o quell'insegnante, quante persone formano realmente? Una madre si cura di tre, cinque, dieci o più figli; e può fare di loro una vera e propria opera d'arte, una meraviglia di educazione, di equilibrio, di comprensione, di senso cristiano della vita, in modo che siano felici e possano essere realmente utili agli altri.

D'altronde trovo naturale che i figli e le figlie aiutino nei lavori della casa: una madre che sappia preparare bene i figli, riesce a farsi aiutare, e così potrà disporre di più occasioni e di più tempo per coltivare — se ben utilizzato — interessi e talenti personali e arricchire la propria cultura. Per fortuna oggi — come ben sapete — non mancano mezzi tecnici che risparmiano molto lavoro, se sono bene impiegati e si sa ricavarne il miglior profitto. Qui, come in tutte le cose, sono determinanti le condizioni personali: ci sono donne che hanno una lavatrice ultimo modello, eppure a lavare impiegano più tempo e lo fanno peggio di quando lo facevano a mano. Gli strumenti sono utili quando si sa adoperarli.

So di molte donne sposate e con parecchi figli, che governano ottimamente il loro focolare, e in più trovano il tempo per collaborare ad altre attività apostoliche, come quella coppia di sposi della cristianità primitiva, Aquila e Priscilla, che lavoravano sia in casa che nel loro mestiere, e furono inoltre degli splendidi collaboratori di san Paolo; con la loro parola e con l'esempio attrassero Apollo alla fede di Cristo, ed egli divenne poi un grande predicatore della Chiesa nascente. Come ho già detto, buona parte dei limiti si possono superare senza trascurare nessun dovere, se davvero si vuole. In fondo c'è tempo per fare molte cose: per governare la casa con senso professionale, per dedicarsi costantemente agli altri, per elevare la propria cultura e arricchire quella altrui, per svolgere tanti compiti pieni di efficacia.

Ci sono casi in cui la moglie — per una ragione o per l'altra — è separata dal marito, in situazioni degradanti ed insostenibili. Sono casi in cui è difficile accettare l'indissolubilità del vincolo coniugale. Queste donne separate dal marito si lamentano che si neghi loro la possibilità di costruirsi un nuovo focolare. Qual è la sua risposta in casi del genere?

Direi loro, con piena comprensione della loro sofferenza, che anche in questa situazione esse possono vedere la volontà di Dio, che non è mai crudele, perché Dio è un Padre amoroso. Può darsi che per un certo tempo la situazione sia particolarmente dura, ma, se ricorrono al Signore e alla sua Madre benedetta, non mancherà l'aiuto della grazia.

L'indissolubilità del matrimonio non è un capriccio della Chiesa, e neppure una semplice legge ecclesiastica positiva: è un precetto della legge naturale e del diritto divino, e risponde perfettamente alla nostra natura e all'ordine soprannaturale della grazia. Per questo, nella stragrande maggioranza dei casi, l'indissolubilità è condizione indispensabile per la felicità dei coniugi e per la sicurezza anche spirituale dei figli. In ogni caso — pure quando si diano le circostanze dolorose di cui parliamo —, la docile accettazione della Volontà di Dio porta con sé una soddisfazione profonda, insostituibile. Non si tratta di una specie di ripiego, di una ricerca di consolazione: è la stessa essenza della vita cristiana.

Se queste donne hanno dei figli a loro carico, devono vedere in questo fatto una continua richiesta di amorosa e materna dedizione, più che mai necessaria per sopperire in queste creature alle deficienze di un focolare diviso. Devono anche capire, con generosità, che quella stessa indissolubilità che per loro comporta un sacrificio, è per la maggior parte delle famiglie la salvaguardia della loro integrità, un qualcosa che nobilita l'amore degli sposi e impedisce che i figli si trovino nell'abbandono.

Lo stupore di fronte all'apparente durezza del precetto cristiano dell'indissolubilità non è una novità: gli stessi Apostoli si meravigliarono quando Gesù ne diede loro conferma. Può apparire un peso, un giogo; ma proprio Cristo ha detto che il suo giogo è soave e il suo peso è leggero.

D'altronde, pur riconoscendo l'inevitabile durezza di parecchie situazioni — che in non pochi casi si sarebbero potute e dovute evitare —, non bisogna drammatizzare eccessivamente. La vita di una donna in queste condizioni è veramente più dura di quella di una donna maltrattata, o di quella di chi deve sopportare qualcuna delle grandi sofferenze fisiche o morali che la vita comporta?

Ciò che veramente rende infelice una persona — o un'intera società — è l'affannosa ricerca del benessere, la pretesa di eliminare a ogni costo qualsiasi contrarietà. La vita presenta mille aspetti diversi, situazioni svariatissime, difficili alcune, altre facili forse solo in apparenza. Ciascuna di esse porta con sé un seme di grazia, una chiamata di Dio unica: sono occasioni irripetibili di operare e di offrire la testimonianza divina della carità. A chi sente il peso di una situazione difficile, io consiglierei anche di provare a dimenticare un po' i suoi problemi e preoccuparsi di quelli degli altri: così facendo avrà più pace e, soprattutto, si santificherà.

Le domande precedenti riguardavano il fidanzamento; ora vorrei che ci soffermassimo sul matrimonio: che consigli darebbe alla donna sposata affinché, con il passare degli anni, la sua vita matrimoniale continui a essere felice senza cadere nella monotonia? Forse la cosa può sembrare poco importante, ma a noi scrivono molte lettrici interessate all'argomento.

A me sembra senz'altro una questione importante; ritengo quindi importanti anche le possibili soluzioni, benché possano avere un'apparenza modesta.

Perché il matrimonio conservi sempre lo slancio e la freschezza iniziali, la moglie deve cercare di conquistare il marito ogni giorno; e lo stesso si dovrebbe dire del marito rispetto alla moglie. L'amore va recuperato ogni giorno; e l'amore si conquista con il sacrificio, con il sorriso e anche con un po' di furbizia. Se il marito torna a casa dal lavoro stanco e la moglie si mette a parlare senza misura, raccontando tutto quello che secondo lei va male, è forse strano che il marito finisca per perdere la pazienza? Gli argomenti meno gradevoli si possono lasciare per un momento più opportuno, quando lui sia più disteso e meglio disposto.

Un altro particolare: la cura della propria persona. Se un altro sacerdote vi dicesse il contrario, penso che sarebbe un cattivo consigliere. Una persona che deve vivere nel mondo, quanti più anni ha, tanto più è necessario che si sforzi di migliorare non solo la vita interiore, ma — appunto per questo — anche l'impegno per "essere presentabile", d'accordo, naturalmente, con l'età e le circostanze. Spesso, scherzando, dico che le vecchie facciate sono quelle che hanno più bisogno di un buon restauro. È un consiglio di sacerdote. C'è un vecchio proverbio che dice: “Quando la moglie non si trascura, il marito non cerca l'avventura”.

Proprio per questo oserei dire che l'ottanta per cento della colpa delle infedeltà dei mariti è delle mogli, che non sanno riconquistarli ogni giorno, non sanno essere premurose, affettuose, delicate. L'attenzione della donna sposata deve concentrarsi sul marito e sui figli. E quella del marito deve concentrarsi sulla moglie e sui figli. Ciò richiede tempo e impegno, per sapere quello che va fatto e farlo bene. Tutto ciò che rende impossibile il compimento di questo dovere, non è cosa buona e non va bene.

Non ci sono scuse per non compiere questo amabile dovere. Non è certo una scusa il lavoro extradomestico, e neppure le pratiche religiose che, se non sono compatibili con i doveri di tutti i giorni, non sono buone, e Dio non le accetta. La donna sposata si deve occupare prima di tutto della casa. C'è un canto popolare della mia terra che dice: La mujer que, por la iglesia, / deja el puchero quemar / tiene la mitad de angel / de diablo la otra mitad (La donna che, per stare in chiesa, / lascia bruciare il pranzo, / è per metà angelo, / e diavolo per l'altra metà). Io direi che è diavolo del tutto.

Oltre alle difficoltà che possono esserci tra genitori e figli, non sono rari i litigi tra marito e moglie, che talvolta arrivano sul serio a compromettere la pace famigliare. Che cosa consiglierebbe agli sposi?

Di volersi bene. E di rendersi conto che durante la vita ci saranno screzi e difficoltà, che però, se risolti con naturalezza, contribuiranno a render ancor più profondo l'affetto.

Ciascuno di noi ha il suo temperamento, i suoi gusti personali, il suo carattere — un caratteraccio, a volte —, i suoi difetti. Ognuno ha anche i lati piacevoli della sua personalità, e per questo — e per molte altre ragioni — gli si può voler bene. La convivenza è possibile quando tutti si sforzano di correggere i propri difetti e cercano di passar sopra alle manchevolezza degli altri; quando cioè vi è amore, che supera e annulla tutto quanto potrebbe falsamente sembrare motivo di separazione e di divergenza. Se invece si drammatizzano i piccoli contrasti e ci si comincia a rinfacciare mutuamente i difetti e gli sbagli, la pace è finita e si corre il pericolo di far morire l'affetto.

Gli sposi hanno grazia di stato — la grazia del sacramento — per praticare tutte le virtù umane e cristiane della convivenza: la comprensione, il buon umore, la pazienza, il perdono, la delicatezza nel rapporto reciproco. L'importante è non lasciarsi andare, non lasciarsi dominare dal nervosismo, dall'orgoglio o dalle manie personali. Per riuscirci, marito e moglie devono sviluppare la propria vita interiore e apprendere dalla Sacra Famiglia a vivere con finezza — per un motivo che è allo stesso tempo umano e soprannaturale — le virtù del focolare cristiano. Lo ripeto ancora: la grazia di Dio ce l'hanno.

Quando uno dice che non può sopportare questo o quello e che gli è impossibile tacere, sta esagerando per giustificare sé stesso. Bisogna chiedere a Dio la forza di dominare il proprio umore, la grazia per conservare il dominio di sé. Perché i pericoli di un'arrabbiatura sono proprio questi: si perde il controllo, le parole si riempiono di amarezza, arrivano a offendere e, forse involontariamente, a ferire, a far male.

Occorre imparare a tacere, ad attendere, a dire le cose in modo positivo, con ottimismo. Quando è lui a perdere la calma, è il momento in cui lei deve essere particolarmente paziente, finché la serenità torna di nuovo; e viceversa. Quando l'affetto è sincero e ci si sforza di farlo crescere è ben difficile che tutti e due si lascino dominare dal malumore nello stesso momento…

Un'altra cosa molto importante: abituarsi a pensare che non abbiamo mai tutta la ragione. Si può addirittura dire che, in questioni di solito tanto discutibili quanto più siamo sicuri di avere tutta la ragione, tanto più è certo che abbiamo torto. Se si ragiona in questo modo, riesce semplice alla fine rettificare e, se occorre, chiedere scusa, che è il modo migliore di concludere un'arrabbiatura; e così si assicurano la pace e l'affetto. Non voglio incoraggiare a bisticciare; ma è comprensibile che bisticciamo qualche volta con quelli che amiamo di più, perché sono quelli che vivono abitualmente assieme a noi. Non si bisticcia di certo con lo zio d'America! Pertanto, queste piccole tempeste fra gli sposi, se non sono frequenti — e bisogna fare in modo che non lo siano —, non sono indice di poco amore, anzi, possono contribuire ad aumentarlo.

Infine un ultimo consiglio: non litigare mai davanti ai figli. Per evitarlo, basterà che marito e moglie si intendano con una parola, con uno sguardo, con un gesto. Litigheranno dopo, con più serenità, se proprio non sono capaci di farne a meno. La pace coniugale dev'essere l'ambiente della famiglia, perché è la condizione indispensabile per un'educazione profonda ed efficace. I piccoli devono vedere nei genitori un esempio di dedizione, di amore sincero, di mutuo aiuto, di comprensione; le piccole difficoltà di ogni giorno non devono nascondere la realtà di un affetto capace di superare tutto.

A volte ci prendiamo troppo sul serio. Tutti ci arrabbiamo di quando in quando, a volte perché è necessario, altre volte perché ci manca spirito di mortificazione. L'importante è dimostrare che queste arrabbiature non incrinano l'affetto, sapendo ristabilire l'intimità famigliare con un sorriso. Insomma, marito e moglie devono vivere amandosi l'un l'altra e amando i propri figli, perché è così che amano Dio.

Mi riferisco ora a un fatto più concreto: recentemente è stata annunciata a Madrid l'apertura di una Scuola diretta da socie dell'Opus Dei, con il fine di creare un clima di famiglia e di dare alle lavoratrici domestiche una formazione completa e una qualificazione professionale. Che incidenza crede che possa avere nella società questo tipo di attività?

Quest'opera apostolica — ce ne sono molte altre del genere dirette da socie dell'Opus Dei, che vi lavorano insieme ad altre persone che non appartengono alla nostra istituzione — ha come fine principale quello di nobilitare il mestiere delle impiegate domestiche in modo che possano realizzare il proprio lavoro con competenza tecnica. Dico competenza tecnica perché bisogna che il lavoro domestico venga condotto per quello che è: una vera professione.

Non dimentichiamo che si è preteso di presentare questo lavoro come una cosa umiliante. Ma non è vero; umilianti erano senza dubbio le condizioni in cui molte volte si svolgeva questo lavoro. E umilianti continuano a esserlo in vari casi anche oggi: quando chi vi si dedica deve adattarsi ai capricci di persone irriguardose e deve lavorare senza garanzie legali, con scarsa retribuzione, senza affetto. Bisogna esigere il rispetto di un contratto di lavoro adeguato, che dia garanzie chiare e precise, e stabilisca bene i diritti e i doveri di ciascuna delle parti.

Oltre a queste garanzie legali, occorre che la persona che presta il servizio sia qualificata, professionalmente preparata. Ho detto servizio — anche se oggi la parola non piace — perché ogni attività sociale ben compiuta è appunto questo, un bellissimo servizio: e lo è tanto l'attività di una lavoratrice domestica quanto quella di un docente o di un giudice. L'unica attività che non è servizio è quella di chi subordina tutto al proprio interesse.

Il lavoro domestico è una cosa di primaria importanza. Del resto, tutti i lavori possono avere la stessa qualità soprannaturale: non ci sono compiti grandi o piccoli; tutti sono grandi se si fanno per amore. Le funzioni che tutti ritengono elevate, diventano meschine appena si perde il senso cristiano della vita. Invece ci sono cose piccole all'apparenza, che possono essere molto grandi per le effettive conseguenze che hanno.

Per me, il lavoro di una figlia mia dell'Opus Dei che è collaboratrice domestica, ha la stessa importanza di quello di un'altra mia figlia che abbia un titolo nobiliare. In entrambi i casi, a me interessa solo che il loro lavoro sia mezzo e occasione di santificazione propria e altrui: e sarà alla fine più importante il lavoro della persona che nella propria occupazione e nel proprio stato cresce di più in santità e compie con più amore la missione ricevuta da Dio.

Dinanzi a Dio, una docente universitaria non è più importante di una commessa di negozio, o di una segretaria, di un'operaia, o di una contadina: tutte le anime sono uguali. Solo che spesso sono più belle le anime delle persone più semplici; e, in ogni caso, sono più accette al Signore quelle che entrano più intimamente in rapporto con Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo.

Con la scuola aperta a Madrid si può fare molto: si può dare un autentico ed efficace aiuto alla società in un'importante funzione, e al tempo stesso svolgere un lavoro cristiano nelle famiglie, portando nelle case la gioia, la pace, la comprensione. Parlerei per ore intere su questo argomento; ma quanto ho detto è sufficiente per capire che vedo il lavoro domestico come un mestiere di particolare importanza, perché con esso si può fare molto bene — o molto male — nel cuore stesso delle famiglie. Speriamo che sia molto il bene: non mancheranno persone di buona stoffa umana, competenti e con slancio apostolico, che faranno di questa professione un lavoro pieno di gioia e di incalcolabile efficacia in tante famiglie del mondo.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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