Elenco di punti

Ci sono 5 punti in «Colloqui con monsignor Escrivá» il cui argomento è Sacramenti.

La missione dei laici, secondo il Concilio, si svolge nella Chiesa e nel mondo. Ci sono in proposito degli equivoci, nati dal fatto che spesso ci si dimentica del primo o del secondo dei due termini. Secondo lei, come si potrebbe spiegare il ruolo dei laici nella Chiesa e il loro ruolo nel mondo?

Penso che bisogna evitare assolutamente l'idea di due funzioni diverse. La partecipazione specifica che spetta ai laici nella missione globale della Chiesa è appunto quella di santificare ab intra — in modo immediato e diretto — le realtà secolari, l'ordine temporale, il mondo.

Allo stesso tempo, oltre a questa funzione propria e specifica, i laici hanno anche, come i chierici e i religiosi, una serie di diritti, di doveri e di facoltà fondamentali, che corrispondono alla condizione giuridica di “fedele” e che hanno logicamente un loro àmbito di esercizio in seno alla società ecclesiastica: la partecipazione attiva alla liturgia della Chiesa, la facoltà di cooperare direttamente all'apostolato specifico della Gerarchia o di consigliarla nella sua attività pastorale, quando si è invitati a farlo, ecc.

Ma queste due funzioni — cioè quella specifica che spetta al laico come “laico”, e quella generica che gli spetta come “fedele” — non sono funzioni opposte, ma sovrapposte; e fra esse non vi è contraddizione, bensì complementarità. Sarebbe assurdo pensare solo alla missione specifica dei laici dimenticando che essi sono allo stesso tempo dei fedeli: sarebbe come concepire un ramo frondoso e fiorito che non appartenesse a nessun albero. Viceversa, dimenticare ciò che è specifico, proprio e peculiare dei laici, o non comprendere adeguatamente le caratteristiche del loro lavoro apostolico secolare e il suo valore ecclesiale, sarebbe come immaginare l'albero frondoso della Chiesa ridotto alla figura mostruosa di un semplice tronco.

L'Opus Dei occupa un posto di primo piano nel moderno processo di evoluzione del laicato. Per questo vorremmo chiederle anzitutto quali sono, a suo avviso, le caratteristiche più notevoli di questo processo.

Ho sempre pensato che la caratteristica di base del processo di sviluppo del laicato è la presa di coscienza della dignità della vocazione cristiana. La chiamata di Dio, il carattere battesimale, la grazia, fanno sì che ogni cristiano possa e debba incarnare pienamente la fede. Ogni cristiano deve essere alter Christus, ipse Christus presente fra gli uomini. È una verità che il Santo Padre ha illustrato in termini assai espliciti: “Bisogna ridare al fatto d'aver ricevuto il Battesimo, e cioè di essere stati inseriti, mediante tale sacramento, nel Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, tutta la sua importanza… L'essere cristiani, l'aver ricevuto il santo Battesimo, non deve essere considerato come cosa indifferente o trascurabile, ma deve marcare profondamente e felicemente la coscienza di ogni battezzato” (Paolo VI, Enc. Ecclesiam suam, parte 1).

Nell'omelia pronunziata a Pamplona lo scorso mese di ottobre, durante la santa Messa celebrata per l'assemblea degli Amici dell'Università di Navarra, lei parlò dell'amore umano con parole commoventi. Molte lettrici ci hanno scritto dell'emozione che provarono nel sentirla parlare così. Ci direbbe ora quali sono i valori più importanti del matrimonio cristiano?

È materia che conosco bene, per mia diretta esperienza sacerdotale di molti anni e in molti Paesi. La maggioranza dei soci dell'Opus Dei vive nello stato matrimoniale; per loro l'amore umano e i doveri coniugali sono parte della vocazione divina. L'Opus Dei ha fatto del matrimonio un cammino divino, una vocazione, e ciò comporta molte conseguenze riguardanti la santificazione personale e l'apostolato.

Da quasi quarant'anni predico il significato vocazionale del matrimonio. Quante volte ho visto illuminarsi il volto di tanti, uomini e donne, che credendo inconciliabili nella loro vita la dedizione a Dio e un amore umano nobile e puro, mi sentivano dire che il matrimonio è una strada divina sulla terra!

Il matrimonio è fatto perché quelli che lo contraggono vi si santifichino e santifichino gli altri per mezzo di esso: perciò i coniugi hanno una grazia speciale, che viene conferita dal sacramento istituito da Gesù Cristo. Chi è chiamato allo stato matrimoniale, trova in esso, con la grazia di Dio, tutti i mezzi necessari per essere santo, per identificarsi ogni giorno di più con Gesù e per condurre verso il Signore le persone con cui vive.

È per questo che penso sempre con speranza e affetto ai focolari cristiani, a tutte le famiglie sbocciate dal sacramento del matrimonio, che sono luminose testimonianze del grande mistero divino — sacramentum magnum (Ef 5, 32), sacramento grande — dell'unione e dell'amore fra Cristo e la sua Chiesa. Dobbiamo adoperarci perché queste cellule cristiane della società nascano e crescano con desiderio di santità, coscienti che il sacramento iniziale — il Battesimo — conferisce già a tutti i cristiani una missione divina, che ciascuno deve portare a compimento lungo il suo cammino.

Gli sposi cristiani devono avere la consapevolezza di essere chiamati a santificarsi santificando, cioè a essere apostoli; e che il loro primo apostolato si deve realizzare nella loro casa. Devono capire l'opera soprannaturale che è insita nella creazione di una famiglia, nell'educazione dei figli, nell'irradiazione cristiana nella società. Dalla consapevolezza della propria missione dipende gran parte dell'efficacia e del successo della loro vita: la loro felicità.

Non devono però dimenticare che il segreto della felicità coniugale è racchiuso nelle cose quotidiane, e non in fantasticherie. Consiste nello scoprire la gioia intima del ritorno al focolare, nell'incontro affettuoso coi figli; nel lavoro di ogni giorno a cui collabora tutta la famiglia; nel buon umore dinanzi alle difficoltà, che vanno affrontate con spirito sportivo; e anche nel saper approfittare di tutti i progressi offertici dalla civiltà per rendere la casa accogliente, la vita più semplice, la formazione più efficace.

Ripeto insistentemente a quanti sono stati chiamati da Dio a formare una famiglia di amarsi sempre; di amarsi con l'amore appassionato di quand'erano fidanzati. Ha un povero concetto del matrimonio — che è un sacramento, un ideale e una vocazione — colui che pensa che l'amore finisca quando iniziano le pene e i contrattempi che la vita porta sempre con sé. È proprio allora che il legame d'affetto si rafforza. La piena delle tribolazioni e delle contrarietà non è capace di spegnere il vero amore: il sacrificio generosamente condiviso rafforza l'unione. Come dice la Bibbia, aquae multae — le molte difficoltà, fisiche e morali — non potuerunt extinguere caritatem (Ct 8, 7), non hanno potuto spegnere l'amore.

Avete or ora ascoltato la lettura solenne dei due brani della Sacra Scrittura corrispondenti alla Messa della domenica XXI dopo Pentecoste. Il fatto di aver ascoltato la parola di Dio vi colloca di già nell'ambito in cui vogliono situarsi le parole che ora vi rivolgo: parole di sacerdote, pronunciate di fronte a una grande famiglia di figli di Dio nella sua Santa Chiesa. Parole, quindi, che vogliono essere soprannaturali, e proclamare la grandezza di Dio e le sue misericordie verso gli uomini: parole che vi preparino a questa impressionante Eucaristia che oggi celebriamo nel campus dell'Università di Navarra.

Considerate un momento la circostanza cui accennavo. Celebriamo la Sacra Eucaristia, il sacrificio sacramentale del Corpo e del Sangue del Signore, il mistero di fede che riassume in sé tutti i misteri del cristianesimo. Celebriamo, pertanto, l'azione più sacra e trascendente che noi uomini possiamo realizzare, per grazia di Dio, in questa vita: unirci in comunione con il Corpo e il Sangue del Signore, viene ad essere per noi, in un certo senso, come scioglierci dai legami di terra e di tempo per trovarci di già con Dio nel Cielo, là dove Cristo stesso asciugherà le lacrime dei nostri occhi e dove non ci sarà morte, né pianto, né gemiti di fatica, perché il mondo vecchio sarà ormai passato (cfr Ap 21, 4).

Questa verità così consolante e profonda, questo significato escatologico dell'Eucaristia, come usano dire i teologi, potrebbe però essere frainteso: e lo è stato ogniqualvolta si è voluto presentare la vita cristiana come qualcosa di esclusivamente "spirituale" — spiritualista, voglio dire —, riservato a gente "pura", eccezionale, che non si mescola alle cose spregevoli di questo mondo, o tutt'al più le tollera come una cosa a cui lo spirito è necessariamente giustapposto, finché viviamo sulla terra.

Quando si ha questa visione delle cose, il tempio diventa il luogo per antonomasia della vita cristiana; essere cristiano vuol dire allora andare nel tempio, partecipare alle cerimonie sacre, abbarbicarsi a una sociologia ecclesiastica, in una specie di "mondo" a parte, che si spaccia per l'anticamera del Cielo, mentre il mondo comune va per la sua strada. La dottrina del cristianesimo, la vita della grazia, passerebbero, dunque, appena sfiorando l'agitato procedere della storia umana, senza entrare in contatto con esso.

In questa mattina di ottobre, nel momento in cui ci disponiamo ad addentrarci nel memoriale della Pasqua del Signore, rispondiamo con un semplice "no" a questa visione distorta del cristianesimo. Pensate un momento alla cornice della nostra Eucaristia, della nostra Azione di Grazie: ci troviamo in un tempio singolare; si potrebbe dire che la navata è il campus universitario, la pala d'altare è la biblioteca dell'Università; attorno ci sono le gru per la costruzione dei nuovi edifici; e, sopra di noi, il cielo di Navarra…

Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma — con un'immagine viva e indimenticabile — che è la vita ordinaria il vero "luogo" della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini.

Il senso cristiano autentico — che professa la risurrezione della carne — si è sempre opposto, come è logico, alla "disincarnazione", senza tema di essere tacciato di materialismo. È consentito, pertanto, parlare di un "materialismo cristiano", che si oppone audacemente ai materialismi chiusi allo spirito.

Che cosa sono i sacramenti — orme dell'Incarnazione del Verbo, come dissero gli antichi — se non la manifestazione più evidente di questa strada che Dio ha scelto per santificarci e condurci al Cielo? Non vedete che ogni sacramento è l'amore di Dio, con tutta la sua forza creatrice e redentrice, che si dona a noi servendosi di mezzi materiali? Che cos'è questa Eucaristia — ormai imminente — se non il Corpo e il Sangue adorabili del nostro Redentore, che si offre a noi attraverso l'umile materia di questo mondo — vino e pane —, attraverso gli "elementi della natura, coltivati dall'uomo", come l'ultimo Concilio ecumenico ha voluto ricordare? (cfr Gaudium et spes, n. 31).

Si comprende bene, figli miei, perché l'apostolo poteva scrivere: “Tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 22—23). Si tratta di un moto ascensionale che lo Spirito Santo, diffuso nei nostri cuori, vuole provocare nel mondo: dalla terra, fino alla gloria del Signore. E perché non ci fosse dubbio che in questo moto si includeva pure ciò che sembra più prosaico, san Paolo scriveva anche: “ Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto per la gloria di Dio ” (1 Cor 10, 31).