Elenco di punti

Ci sono 5 punti in «Colloqui con monsignor Escrivá» il cui argomento è Cattolico.

L'Opus Dei insiste sulla libertà dei soci di esprimere le loro legittime convinzioni. Riprendendo il discorso da un altro punto di vista, fino a che punto lei pensa che l'Opus Dei sia moralmente obbligato a esprimere opinioni su questioni cruciali secolari e spirituali, pubblicamente o in privato? Ci possono essere situazioni in cui l'Opus Dei ponga la sua influenza e quella dei suoi soci a difesa dei princìpi che considera sacri, come per esempio, recentemente, in appoggio alla legislazione sulla libertà religiosa in Spagna?

Nell'Opus Dei cerchiamo sempre e in tutte le cose di sentire con la Chiesa di Cristo: non abbiamo altra dottrina che quella insegnata dalla Chiesa per tutti i fedeli. L'unica cosa peculiare che abbiamo è una spiritualità propria, caratteristica dell'Opus Dei, vale a dire un modo determinato di vivere il Vangelo, santificandoci nel mondo ed esercitando l'apostolato per mezzo del lavoro professionale.

Ne viene, come conseguenza immediata, che tutti i soci dell'Opera hanno la stessa libertà degli altri cattolici nel formare autonomamente le loro opinioni, e per agire di conseguenza. Pertanto l'Opus Dei come tale non può e non deve esprimere un'opinione propria, né la può avere. Se si tratta di una questione sulla quale c'è una dottrina definita dalla Chiesa, l'opinione di ciascun socio dell'Opera sarà quella dottrina. Se invece si tratta di una questione su cui il Magistero — il Papa e i Vescovi — non si sono pronunciati, ogni socio dell'Opus Dei avrà e sosterrà liberamente l'opinione che gli sembri migliore e agirà di conseguenza.

In altre parole, il principio che regola l'atteggiamento dei dirigenti dell'Opus Dei è il rispetto della libertà di scelta nelle cose temporali. Il che è cosa ben diversa dall'astensionismo, in quanto si tratta di porre ciascun socio davanti alle proprie responsabilità, invitandolo ad assumerle secondo coscienza, e impegnandosi liberamente. Pertanto non ha senso riferirsi all'Opus Dei quando si sta parlando di partiti, di gruppi o tendenze politiche o, in generale, di occupazioni e imprese umane; anzi è cosa ingiusta e al limite della calunnia, perché può indurre all'errore di dedurre falsamente che i soci dell'Opera sostengano collegialmente qualche ideologia, mentalità o interesse temporale.

Certamente i soci sono cattolici, e cattolici che cercano di essere coerenti con la propria fede. È così che li si può qualificare, se si vuole, a condizione di avere ben presente il fatto che essere cattolici non significa formar gruppo, neanche in campo culturale o ideologico né, a maggior ragione, in quello politico. Dall'inizio dell'Opera, e non solo dopo il Concilio, abbiamo cercato di vivere un cattolicesimo aperto, che difende la legittima libertà delle coscienze, spinge a trattare con carità fraterna tutti gli uomini, siano o no cattolici, e a collaborare con tutti facendoci partecipi dei molteplici e nobili ideali che muovono l'umanità.

Facciamo un esempio. Di fronte al problema razziale degli Stati Uniti, ogni socio dell'Opera terrà conto degli insegnamenti chiari della dottrina cristiana sull'uguaglianza di tutti gli uomini e sull'ingiustizia di qualsiasi discriminazione. Conoscerà anche e si sentirà sollecitato dalle direttive concrete dei Vescovi americani su questo tema. Difenderà pertanto i legittimi diritti di tutti i cittadini e si opporrà a qualunque situazione o progetto discriminatorio. Avrà presente, inoltre, che per un cristiano non è sufficiente rispettare i diritti degli altri uomini, ma che bisogna vedere, in tutti, dei fratelli ai quali dobbiamo un amore sincero e un servizio disinteressato.

Nella formazione che l'Opus Dei dà ai suoi soci si insisterà su queste idee più in America che in altri Paesi in cui questo problema particolare non si presenta o si presenta con minore urgenza. Quello che l'Opus Dei non farà mai, è proporre, o anche soltanto suggerire, una soluzione concreta del problema. La convenienza di appoggiare un progetto di legge o un altro, di iscriversi a un'associazione o a un'altra — o di non iscriversi a nessuna —, di partecipare o di non partecipare a una determinata manifestazione, è cosa che deciderà ciascun socio. E di fatto, si vede ovunque che i soci non agiscono in blocco, ma secondo un logico pluralismo.

Questi stessi criteri spiegano il fatto che tanti spagnoli soci dell'Opus Dei siano favorevoli al progetto di legge sulla libertà religiosa nel loro paese, così come è stato presentato recentemente. Si tratta ovviamente di una scelta personale, come altrettanto personale è l'opinione di coloro che criticano questo progetto. Ma tutti hanno imparato dallo spirito dell'Opera ad amare la libertà e a comprendere gli uomini di tutte le credenze. L'Opus Dei è la prima istituzione cattolica che, fin dal 1950, con l'autorizzazione della Santa Sede, ammette come cooperatori i non cattolici e i non cristiani, senza alcuna discriminazione, con amore per tutti

Io ho avuto occasione di ascoltare le risposte che ella diede alle domande rivoltele da un pubblico di più di duemila persone riunite circa un anno e mezzo fa a Pamplona. In quella occasione lei ha sottolineato in modo particolare l'esigenza che i cattolici si comportino come cittadini liberi, responsabili, e che "non vivano sfruttando il fatto di essere cattolici". Che importanza attribuisce a questa idea e quale ne è, a suo giudizio, l'esatta portata?

Mi ha sempre infastidito il contegno di coloro che si servono del nome di cattolici per farne una qualifica professionale; come pure il contegno di coloro che negano la responsabilità personale, che è il principio su cui si basa tutta la morale cristiana. Lo spirito dell'Opera e quello dei suoi soci è questo: servire la Chiesa e tutti gli uomini, senza servirsi della Chiesa. A me piace che il cattolico porti Cristo non nel titolo ma nella condotta, e offra una testimonianza reale di vita cristiana. Detesto il clericalismo e comprendo che, accanto a un anticlericalismo inaccettabile, ci sia anche un sano anticlericalismo, che nasce dall'amore per il sacerdozio e che non consente che il semplice fedele o il sacerdote si serva di una missione sacra per ottenere vantaggi temporali.

Non intendo con questo dichiararmi contro nessuno. Nell'Opera non c'è nessuna preoccupazione esclusivista; c'è solo il desiderio di collaborare con tutti coloro che lavorano per Cristo, e con tutti coloro che, siano o no cristiani, fanno della loro vita una luminosa realtà di servizio.

Del resto, quel che conta non è tanto la portata che ho assegnato a queste idee, specialmente dal 1928, quanto quella che viene loro attribuita dal Magistero della Chiesa. Or non è molto, e suscitando in questo povero sacerdote un'emozione difficile da esprimere, l'ultimo Concilio ha ricordato a tutti i cristiani, nella Costituzione dogmatica De Ecclesia, che devono sentirsi pienamente cittadini della città terrena, lavorando a tutte le attività umane con competenza professionale e con amore per tutti gli uomini, e tendere così alla santità cristiana cui sono chiamati per il semplice fatto di aver ricevuto il Battesimo.

L'Opus Dei occupa un posto di primo piano nel moderno processo di evoluzione del laicato. Per questo vorremmo chiederle anzitutto quali sono, a suo avviso, le caratteristiche più notevoli di questo processo.

Ho sempre pensato che la caratteristica di base del processo di sviluppo del laicato è la presa di coscienza della dignità della vocazione cristiana. La chiamata di Dio, il carattere battesimale, la grazia, fanno sì che ogni cristiano possa e debba incarnare pienamente la fede. Ogni cristiano deve essere alter Christus, ipse Christus presente fra gli uomini. È una verità che il Santo Padre ha illustrato in termini assai espliciti: “Bisogna ridare al fatto d'aver ricevuto il Battesimo, e cioè di essere stati inseriti, mediante tale sacramento, nel Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa, tutta la sua importanza… L'essere cristiani, l'aver ricevuto il santo Battesimo, non deve essere considerato come cosa indifferente o trascurabile, ma deve marcare profondamente e felicemente la coscienza di ogni battezzato” (Paolo VI, Enc. Ecclesiam suam, parte 1).

Tutto ciò comporta una visione più profonda della Chiesa, vista come comunità formata da tutti i fedeli, per cui siamo tutti solidalmente responsabili di una stessa missione, che va compiuta da ciascuno d'accordo con le circostanze personali. I laici, grazie agli impulsi dello Spirito Santo, sono sempre più consapevoli di "essere Chiesa", e di avere quindi una missione specifica, sublime e necessaria perché voluta da Dio. E sanno che questa missione deriva dalla loro stessa condizione di cristiani, e non necessariamente da un mandato della Gerarchia; anche se evidentemente dovranno compiere questa missione in unione con la Gerarchia ecclesiastica e d'accordo con gli insegnamenti del Magistero: perché senza unione con il Corpo Episcopale e con il suo Capo, il Romano Pontefice, non ci può essere, per un cattolico, unione con Cristo.

Il modo specifico che hanno i laici di contribuire alla santità e all'apostolato della Chiesa è la loro libera e responsabile azione all'interno delle strutture temporali, nelle quali essi infondono il lievito del messaggio cristiano. La testimonianza di vita cristiana, la parola che illumina nel nome di Dio, l'azione responsabile per servire gli altri contribuendo a risolvere i comuni problemi: ecco come si manifesta questa presenza, attraverso la quale il comune cristiano compie la sua missione divina.

Da tanti anni a questa parte, fin dalla stessa fondazione dell'Opus Dei, io ho meditato e ho fatto meditare quelle parole di Cristo riportate da san Giovanni: Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum (Gv 12, 32). Cristo, morendo sulla Croce, attrae a Sé l'intera creazione; e, nel suo nome, i cristiani, lavorando in mezzo al mondo, devono riconciliare tutte le cose con Dio, situando Cristo sulla vetta di tutte le attività umane.

Vorrei aggiungere che, accanto a questa presa di coscienza dei laici, si sta producendo un'analoga sensibilizzazione dei pastori. Essi si rendono conto di quanto sia "specifica" la vocazione dei laici, che va suscitata e favorita con una pastorale che porta a scoprire in mezzo al Popolo di Dio il carisma della santità e dell'apostolato, nelle infinite e svariatissime forme in cui Dio lo concede.

Questa nuova pastorale è molto impegnativa, ma, a mio avviso, assolutamente necessaria. Richiede il dono soprannaturale del discernimento degli spiriti, la sensibilità per le cose di Dio, l'umiltà di non voler imporre le proprie scelte e di servire ciò che Dio suscita nelle anime. In poche parole, l'amore per la legittima libertà dei figli di Dio, che trovano Cristo e sono resi portatori di Cristo, percorrendo strade diverse, ma tutte ugualmente divine.

Uno dei maggiori pericoli che minacciano oggi la Chiesa potrebbe essere proprio questo: non riconoscere le istanze divine della libertà cristiana, e sotto la spinta di falsi criteri di efficacia, pretendere di imporre ai cristiani un'azione uniforme. Alla radice di questi atteggiamenti c'è qualcosa di legittimo, anzi di lodevole: il desiderio che la Chiesa offra una testimonianza capace di scuotere il mondo moderno. Ma temo proprio che questa non sia la strada giusta, perché da una parte induce a compromettere la Gerarchia nelle questioni temporali, cadendo in un clericalismo diverso da quello dei secoli scorsi, ma non meno funesto; e d'altra parte induce a isolare i laici, i comuni cristiani, dal mondo in cui vivono, per farli diventare portavoce di decisioni o di idee concepite all'esterno di questo loro mondo.

Mi pare che a noi sacerdoti venga chiesta l'umiltà di imparare a non essere di moda; dobbiamo essere veramente servi dei servi di Dio — ricordando il grido di Giovanni Battista: Illum oportet crescere, me autem minui (Gv 3, 30), bisogna che Cristo cresca e che io diminuisca —, per far sì che i comuni cristiani, i laici, rendano presente Cristo in tutti gli ambienti della società. La missione di addottrinare, di aiutare a scoprire sempre meglio le esigenze personali e sociali del Vangelo, di indurre a riconoscere i segni dei tempi, è e sarà sempre uno dei compiti fondamentali del sacerdote. Ma ogni funzione sacerdotale deve compiersi nel massimo rispetto della legittima libertà delle coscienze: chi deve rispondere liberamente a Dio è la singola persona. Del resto, qualsiasi cattolico, oltre all'aiuto da parte del sacerdote, ha anche delle ispirazioni personali che riceve da Dio, una grazia di stato che gli consente di portare a compimento la sua missione specifica di uomo e di cristiano. Chi ritiene che, per far sentire la voce di Cristo nel mondo di oggi, sia necessario che il clero parli o intervenga sempre, non ha ancora capito bene la dignità della vocazione divina di tutti e di ciascuno dei fedeli.

Avete or ora ascoltato la lettura solenne dei due brani della Sacra Scrittura corrispondenti alla Messa della domenica XXI dopo Pentecoste. Il fatto di aver ascoltato la parola di Dio vi colloca di già nell'ambito in cui vogliono situarsi le parole che ora vi rivolgo: parole di sacerdote, pronunciate di fronte a una grande famiglia di figli di Dio nella sua Santa Chiesa. Parole, quindi, che vogliono essere soprannaturali, e proclamare la grandezza di Dio e le sue misericordie verso gli uomini: parole che vi preparino a questa impressionante Eucaristia che oggi celebriamo nel campus dell'Università di Navarra.

Considerate un momento la circostanza cui accennavo. Celebriamo la Sacra Eucaristia, il sacrificio sacramentale del Corpo e del Sangue del Signore, il mistero di fede che riassume in sé tutti i misteri del cristianesimo. Celebriamo, pertanto, l'azione più sacra e trascendente che noi uomini possiamo realizzare, per grazia di Dio, in questa vita: unirci in comunione con il Corpo e il Sangue del Signore, viene ad essere per noi, in un certo senso, come scioglierci dai legami di terra e di tempo per trovarci di già con Dio nel Cielo, là dove Cristo stesso asciugherà le lacrime dei nostri occhi e dove non ci sarà morte, né pianto, né gemiti di fatica, perché il mondo vecchio sarà ormai passato (cfr Ap 21, 4).

Questa verità così consolante e profonda, questo significato escatologico dell'Eucaristia, come usano dire i teologi, potrebbe però essere frainteso: e lo è stato ogniqualvolta si è voluto presentare la vita cristiana come qualcosa di esclusivamente "spirituale" — spiritualista, voglio dire —, riservato a gente "pura", eccezionale, che non si mescola alle cose spregevoli di questo mondo, o tutt'al più le tollera come una cosa a cui lo spirito è necessariamente giustapposto, finché viviamo sulla terra.

Quando si ha questa visione delle cose, il tempio diventa il luogo per antonomasia della vita cristiana; essere cristiano vuol dire allora andare nel tempio, partecipare alle cerimonie sacre, abbarbicarsi a una sociologia ecclesiastica, in una specie di "mondo" a parte, che si spaccia per l'anticamera del Cielo, mentre il mondo comune va per la sua strada. La dottrina del cristianesimo, la vita della grazia, passerebbero, dunque, appena sfiorando l'agitato procedere della storia umana, senza entrare in contatto con esso.

In questa mattina di ottobre, nel momento in cui ci disponiamo ad addentrarci nel memoriale della Pasqua del Signore, rispondiamo con un semplice "no" a questa visione distorta del cristianesimo. Pensate un momento alla cornice della nostra Eucaristia, della nostra Azione di Grazie: ci troviamo in un tempio singolare; si potrebbe dire che la navata è il campus universitario, la pala d'altare è la biblioteca dell'Università; attorno ci sono le gru per la costruzione dei nuovi edifici; e, sopra di noi, il cielo di Navarra…

Non è forse vero che questo sguardo a ciò che abbiamo intorno vi conferma — con un'immagine viva e indimenticabile — che è la vita ordinaria il vero "luogo" della vostra esistenza cristiana? Figli miei, lì dove sono gli uomini vostri fratelli, lì dove sono le vostre aspirazioni, il vostro lavoro, lì dove si riversa il vostro amore, quello è il posto del vostro quotidiano incontro con Cristo. È in mezzo alle cose più materiali della terra che ci dobbiamo santificare, servendo Dio e tutti gli uomini.