Elenco di punti

Ci sono 9 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Libertà → libertà e donazione.

Voglio continuare questa conversazione alla presenza del Signore utilizzando un'annotazione raccolta anni addietro e tuttora attualissima. Mi ero trascritto questa considerazione di santa Teresa d'Avila: Niente e meno di niente è tutto ciò che passa e non è a gloria di Dio (SANTA TERESA DI GESÙ, Autobiografía, 20, 26). Capite dunque perché l'anima non ritrova il sapore della pace e della serenità quando si allontana dal suo fine, quando dimentica che Dio l'ha creata per la santità? Sforzatevi di non perdere mai il punto di mira soprannaturale, neppure nei momenti di riposo e di distensione, necessari quanto il lavoro alla vita di ciascuno.

Potete arrivare al vertice della vostra professione, potete ottenere i trionfi più clamorosi, come frutto della vostra liberissima iniziativa nelle attività temporali; ma se perdete il senso soprannaturale che deve presiedere ogni nostra occupazione umana, avete deplorevolmente sbagliato strada.

Consentitemi una breve digressione, che viene a puntino. Non ho mai chiesto a nessuno di coloro che mi sono venuti vicino che cosa pensasse in materia politica: non me ne importa! Vi manifesto, con questa mia regola di condotta, una realtà profondamente innestata nel cuore dell'Opus Dei, a cui con la grazia e la misericordia di Dio mi sono dedicato pienamente, per servire la santa Chiesa. L'argomento non mi interessa perché, in quanto cristiani, voi godete la più completa libertà, con la conseguente responsabilità personale, per intervenire come più vi piaccia nelle questioni di carattere politico, sociale, culturale, eccetera, senza altri limiti oltre quelli indicati dal Magistero della Chiesa. Mi preoccuperei — per il bene delle vostre anime — unicamente nel caso in cui oltrepassaste tali confini, perché a quel punto avreste creato una netta opposizione tra la fede che affermate di professare e le vostre opere, e ve lo farei notare con chiarezza. Questo sacrosanto rispetto delle vostre scelte, purché non vi allontanino dalla legge di Dio, non è capito da coloro che ignorano il vero concetto della libertà che Cristo ci ha guadagnato sulla Croce, qua libertate Christus nos liberavit (Gal 4, 31 [Vulg.]), dalle persone faziose di ogni colore e provenienza: da coloro che pretendono di imporre come dogmi le loro opinioni temporali, o che degradano l'uomo negando il valore della fede, lasciata in balìa degli errori più crassi.

L'amore di Dio è geloso; non lo si soddisfa se ci presentiamo all'appuntamento patteggiando condizioni: Dio attende con impazienza che ci diamo del tutto, senza conservare nel cuore degli angolini bui, ai quali non arrivano il piacere e la gioia della grazia e dei doni soprannaturali. Forse qualcuno può pensare: rispondere affermativamente a un Amore tanto esclusivo, non significa perdere la libertà?

Con l'aiuto del Signore, che presiede a questa nostra orazione, con la sua luce, spero che per voi e per me questo argomento si chiarisca ulteriormente. Ciascuno di noi ha potuto sperimentare che servire Cristo Signore nostro talvolta comporta dolore e fatica.

Disconoscere questa realtà significherebbe non essersi mai incontrati con Dio. Ma l'anima innamorata sa anche che il dolore, quando sopraggiunge, non è che un'impressione fugace; si scopre ben presto che il peso è leggero e il giogo soave, perché è Lui a portarlo sulle sue spalle, come ha portato la croce, abbracciandola, quando era in gioco la nostra eterna felicità (cfr Mt 11, 30). Eppure ci sono persone che non vogliono capire, che si ribellano al Creatore — ed è una ribellione impotente, meschina, triste —, che ripetono ciecamente la sterile invettiva raccolta dal Salmo: Spezziamo le sue catene, gettiamo via i suoi legami! (Sal 2, 3). Si rifiutano di compiere, in eroico silenzio, con naturalezza. senza sfoggio e senza lamenti, il duro dovere quotidiano. Non riescono a capire che la Volontà di Dio, anche quando si presenta con sfumature di dolore, di esigenze costose, coincide esattamente con la libertà, che risiede soltanto in Dio e nei suoi progetti.

Sono anime che costruiscono barricate con la libertà. «La mia libertà, la mia libertà!». Hanno la libertà, e non la seguono; la contemplano, ne fanno un idolo di terracotta nella loro mente ristretta. È questa la libertà? Che frutto ricavano da questa ricchezza senza un impegno serio, che orienti tutta la vita? Un simile modo di fare si oppone alla dignità, alla nobiltà della persona umana. Manca la rotta, la strada sicura che indirizzi il cammino su questa terra: queste anime — ne avrete conosciute anche voi — si lasceranno rapidamente trascinare dalla vanità puerile, dalla boria egoista, dalla sensualità.

La loro libertà si rivela sterile, o produce frutti irrisori, anche dal punto di vista umano. Chi non sceglie — in piena libertà! — una retta norma di condotta, presto o tardi subirà le manipolazioni altrui, vivrà nell'indolenza — come un parassita — schiavo delle decisioni degli altri. Sarà esposto ad essere sballottato da qualunque vento, e saranno sempre altri a decidere per lui. Sono come nuvole senza pioggia portate via dai venti, o alberi di fine stagione senza frutto, due volte morti, sradicati (Gd, 12), anche se si nascondono dietro a un continuo parlottio, dietro a palliativi con i quali cercano di mascherare la loro mancanza di carattere, di coraggio, di onestà.

«Non mi lascio condizionare da nessuno!», ripetono ostinatamente. Da nessuno? Tutti condizionano e coartano la loro illusoria libertà, che non si arrischia ad accettare responsabilmente le conseguenze di azioni libere, personali. Dove non c'è amore di Dio, si forma un vuoto nell'esercizio individuale e responsabile della libertà: allora — nonostante le apparenze — tutto è coazione. L'indeciso, l'irresoluto, è come materia plasmabile in balìa delle circostanze; chiunque può modellarlo a suo capriccio, e a farlo, innanzitutto, sono le passioni e le tendenze peggiori della natura ferita dal peccato.

Ricordate la parabola dei talenti. Il servo che ne aveva ricevuto uno, poteva — come i suoi compagni — impiegarlo bene, farlo fruttare, applicando le sue capacità. Invece che cosa decide? Ha paura di perderlo, e va bene. Ma poi? Lo sotterra! (cfr Mt 25, 18). Così non dà frutto.

Deve farci riflettere questo esempio di timore malsano di mettere a frutto onestamente le capacità di lavoro, l'intelligenza, la volontà, tutto l'uomo. «Lo sotterro — pensa tra sé quell'infelice — ma la mia libertà è salva!». No. La libertà ha aderito a qualcosa di molto concreto, all'aridità più povera e più sterile. Ha preso una decisione, perché non poteva non scegliere: e ha scelto male.

Niente di più falso che opporre la libertà al dono di sé, perché tale dono è conseguenza della libertà. Ascoltate bene: una madre che si sacrifica per amore dei suoi figli, ha fatto una scelta; e la misura del suo amore esprimerà quella della sua libertà. Se l'amore è grande, la libertà sarà feconda, e il bene dei figli deriva da questa benedetta libertà, che comporta il dono di sé, e deriva da questo benedetto dono, che è appunto libertà.

Ma, mi direte, quando abbiamo raggiunto ciò che amiamo con tutta l'anima, smettiamo di cercare. La libertà, in tal caso, è scomparsa? Vi assicuro che proprio allora la libertà è più operativa che mai, perché l'amore non si accontenta di adempimenti abitudinari, e non è compatibile con il tedio o l'apatia. Amare significa ricominciare ogni giorno a servire, con segni operativi di affetto.

Insisto, vorrei inciderlo a fuoco in tutti: la libertà e il dono di sé non sono contraddittori; si sostengono a vicenda. La libertà si può cedere soltanto per amore; non riesco a concepire altro genere di concessione. Non è un gioco di parole, più o meno felice. Nel dono di sé volontario, in ogni istante della dedicazione, la libertà rinnova l'amore, e rinnovarsi significa essere sempre giovane, generoso, capace di grandi ideali e di grandi sacrifici. Ricordo la gioia che provai quando venni a sapere che in portoghese i giovani sono chiamati os novos. Sono nuovi davvero. E io, che ho compiuto molti anni, posso dirvi che, nel rivolgermi ai piedi dell'altare al Dio che allieta la mia giovinezza (Sal 42, 4), mi sento molto giovane, e so che non mi riterrò mai vecchio; perché, se resto fedele al mio Dio, l'Amore mi vivificherà continuamente; la mia giovinezza si rinnoverà, come quella dell'aquila (cfr Sal 102, 5).

Per amore alla libertà, ci leghiamo. Soltanto la superbia può credere che quei legami siano pesanti come catene. La vera umiltà, insegnataci da Colui che è mite e umile di cuore, ci assicura che il suo giogo è soave e il suo peso leggero (cfr Mt 11, 29-30): il giogo è la libertà, il giogo è l'amore, il giogo è l'unità, il giogo è la Vita che Egli ci ha acquistato sulla Croce.

La temperanza è padronanza di sé. Non tutto ciò che sperimentiamo nel corpo e nell'anima va lasciato senza freno. Non tutto ciò che si può fare si deve fare. È molto agevole lasciarsi trasportare dagli impulsi che vengono chiamati naturali; ma al termine della loro corsa non si trova altro che la tristezza, l'isolamento nella propria miseria.

Alcuni non vogliono negare nulla allo stomaco, o agli occhi, o alle mani; non ascoltano il consiglio di vivere una vita pulita. Usano la facoltà di generare — una realtà nobile, partecipazione al potere creatore di Dio — in modo disordinato, come uno strumento al servizio dell'egoismo.

Non mi è mai piaciuto parlare di impurità. Preferisco esaminare i frutti della temperanza e considerare l'uomo come un vero uomo, non legato alle cose che luccicano, ma che non hanno valore, come le cianfrusaglie raccolte dalle gazze. Un vero uomo sa prescindere da ciò che produce danno alla sua anima e capisce che il sacrificio è solo apparente: vivendo in questo modo — accettando il sacrificio —, si libera di molte servitù e può assaporare per intero l'amore di Dio nell'intimo del cuore.

La vita riacquista così le tinte che l'intemperanza sfuma; si è capaci di prendersi cura degli altri, di ammetterli a partecipare di ciò che è nostro, di dedicarsi a cose grandi. La temperanza rende l'anima sobria, moderata, comprensiva; le dà un naturale riserbo, pieno di attrattiva, perché nella condotta si nota il dominio dell'intelligenza. La temperanza non è limitazione, ma grandezza. C'è molta più limitazione nell'intemperanza, dove il cuore abdica a se stesso, per porsi al servizio del primo che offre il misero richiamo di un sonaglio di latta.

Una delle prime manifestazioni concrete della carità consiste nel dischiudere all'anima i cammini dell'umiltà. Se riteniamo sinceramente di essere nulla; se ci rendiamo conto che, senza l'aiuto divino, la più debole, la più inconsistente delle creature sarebbe migliore di noi; se ci vediamo capaci di tutti gli errori e di tutti gli orrori; se sappiamo di essere peccatori anche se combattiamo con impegno per prendere le distanze da tante infedeltà…, come possiamo pensar male degli altri, come possiamo alimentare nel cuore il fanatismo, l'intolleranza, l'alterigia?

L'umiltà ci conduce quasi per mano a quel modo di trattare il prossimo, che è il migliore di tutti: comprendere tutti, saper convivere con tutti, scusare tutti, non creare divisioni né barriere; comportarsi — sempre! — da strumenti di unità. Non invano in fondo all'uomo esiste un forte anelito alla pace, all'unità con i propri simili, al reciproco rispetto dei diritti della persona, in una prospettiva che conduce alla fraternità. È un riflesso di ciò che vi è di più prezioso nella condizione umana: se tutti siamo figli di Dio, la fraternità non si riduce a luogo comune o a ideale illusorio: risplende come meta difficile, ma reale.

Di fronte ai cinici, agli scettici, ai disamorati, a tutti coloro che hanno fatto della loro viltà un abito mentale, noi cristiani dobbiamo dimostrare che è possibile voler bene. Forse l'amore cristiano dovrà superare molte difficoltà, perché l'uomo è stato creato libero, ed è in suo potere opporsi inutilmente e amaramente a Dio: ma il comportamento cristiano è possibile e reale, perché nasce come conseguenza necessaria dell'amore di Dio per noi, e di noi per Dio. Se tu e io lo vogliamo, anche Gesù lo vuole. Allora capiremo in tutta la loro profondità e in tutta la loro fecondità il dolore, il sacrificio, la dedizione disinteressata nella vita quotidiana.

Vi libererò dalla schiavitù, in qualunque luogo siate dispersi (Ger 29, 14). Ci liberiamo dalla schiavitù, per mezzo dell'orazione: siamo e ci sentiamo liberi, sulle ali di un cantico d'anima innamorata, un canto d'amore che ci sprona a desiderare di non separarci da Dio. È un modo nuovo di camminare sulla terra, un modo soprannaturale, divino, meraviglioso.

Ricordando tanti scrittori castigliani del Cinquecento, forse anche noi vorremmo assaporarne l'esperienza: vivo perché non vivo, è Cristo che vive in me (cfr Gal 2, 20).

Si accoglie allora con gioia il dovere di lavorare in questo mondo, e per molti anni, perché Gesù ha pochi amici sulla terra. Non ricusiamo il dovere di vivere, di spenderci — spremuti ben bene — al servizio di Dio e della Chiesa. Così: in libertà, in libertatem gloriae filiorum Dei (Rm 8, 21), qua libertate Christus nos liberavit (Gal 4, 31 [Vulg.]); con la libertà dei figli di Dio, che Cristo ci ha guadagnato morendo sul legno della Croce.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
Riferimenti alla Sacra Scrittura
Riferimenti alla Sacra Scrittura
Riferimenti alla Sacra Scrittura
Riferimenti alla Sacra Scrittura