Elenco di punti

Ci sono 11 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Chiesa → giustizia e carità.

Fin da bambino — o, come dice la Scrittura (cfr Mt 11, 15), fin da quando ho avuto orecchi per intendere — mi è giunto il clamore della "questione sociale". Non è niente di strano, perché è un argomento antico, di sempre. Forse è sorta nel medesimo istante in cui gli uomini si sono dati un minimo di organizzazione, rendendo più visibili le differenze di età, di intelligenza, di capacità di lavoro, di interessi, di personalità.

Non so se l'esistenza delle classi sociali sia inevitabile: in ogni caso, non è mio compito parlare di questi argomenti, e tanto meno qui, in questo oratorio, dove ci siamo riuniti per parlare di Dio — per tutta la vita non vorrei avere altro argomento di conversazione — e per parlare con Dio.

Pensate come volete in tutto ciò che la Provvidenza ha lasciato alla libera e legittima discussione degli uomini. Ma la mia condizione di sacerdote di Cristo mi impone la necessità di risalire più a monte, e di ricordarvi che, in ogni caso, non possiamo tralasciare di esercitare la giustizia, con eroismo se è necessario.

Siamo obbligati a difendere la libertà personale di tutti, sapendo che è stato Cristo ad acquistarci questa libertà (cfr Gal 4, 3 [Vulg.]); se non facciamo così, con che diritto potremo reclamare la nostra libertà? E dobbiamo anche diffondere la verità, perché veritas liberabit vos (Gv 8, 32), la verità ci libera, mentre l'ignoranza rende schiavi. Dobbiamo sostenere il diritto di tutti gli uomini alla vita e a possedere il necessario per condurre un'esistenza dignitosa, il diritto al lavoro e al riposo, alla scelta del proprio stato, a formarsi una famiglia, a mettere al mondo dei figli nel matrimonio e a educarli, ad affrontare serenamente i periodi di malattia o di vecchiaia, ad accedere alla cultura, ad associarsi con altri cittadini per scopi leciti e, in primo luogo, a conoscere e ad amare Dio con piena libertà, perché la coscienza — se è retta — scoprirà le impronte del Creatore in tutte le cose.

Proprio per questo — non entro in questioni politiche, affermo la dottrina della Chiesa — è urgente ripetere che il marxismo è incompatibile con la fede di Cristo. Che cosa ci può essere di più opposto alla fede, di un sistema il cui fondamento consiste nell'eliminare dall'anima la presenza amorosa di Dio? Gridatelo ben forte, fate sentire chiaramente la vostra voce: per praticare la giustizia non abbiamo affatto bisogno del marxismo. Anzi, questo gravissimo errore, con le sue soluzioni esclusivamente materialiste che ignorano il Dio della pace, fa sorgere ostacoli al raggiungimento della felicità e della concordia fra gli uomini. All'interno del cristianesimo troviamo la luce vera che dà sempre la risposta a tutti i problemi: basta che vi impegniate sul serio ad essere cattolici, non verbo neque lingua, sed opere et veritate (1 Gv 3, 18), non a parole e con la lingua, ma coi fatti e nella verità: ditelo, tutte le volte che si presenta l'occasione — e siate voi a provocarla, se occorre —, senza reticenze, senza paura.

Non odiare il nemico, non rendere male per male, rinunciare alla vendetta, perdonare senza rancore, era considerato a quel tempo — ma anche oggi, non illudiamoci — un comportamento insolito, troppo eroico, fuori dell'ordinario. La meschinità delle creature giunge a tali estremi. Gesù Cristo, che è venuto a salvare tutte le genti e vuole rendere partecipi i cristiani della sua opera di redenzione, ha voluto insegnare ai suoi discepoli — a te e a me — una carità grande, sincera, più nobile e preziosa: dobbiamo amarci reciprocamente come Cristo ama ciascuno di noi. Soltanto così, imitando — per quanto consentito dalla nostra rozzezza personale — il comportamento divino, riusciremo ad aprire il nostro cuore a tutti gli uomini, ad amare in modo più alto, totalmente nuovo.

I primi cristiani hanno saputo mettere in pratica molto bene l'ardore di questa carità, che superava di gran lunga le vette della semplice solidarietà umana, o della benignità di carattere. Si amavano fra di loro, dolcemente e con fortezza, a partire dal Cuore di Cristo. Scrivendo nel secondo secolo, Tertulliano ha riportato che i pagani, commossi nel vedere il comportamento dei cristiani di allora, pieno di attrattive soprannaturali e umane, ripetevano: Guardate come si amano! (TERTULLIANO, Apologeticus, 39 [PL 1, 471]).

Se ti accorgi che tu, adesso o in tante altre occasioni della giornata, non meriti questa lode; che il tuo cuore non corrisponde come dovrebbe alle richieste divine, renditi conto che è giunto il momento di rettificare. Accogli l'invito di san Paolo: Operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede (Gal 6, 10), verso coloro che appartengono alla nostra stessa famiglia, al Corpo Mistico di Cristo.

L'apostolato principale che noi cristiani dobbiamo svolgere nel mondo, la migliore testimonianza di fede, è contribuire a far sì che all'interno della Chiesa si respiri il clima della carità autentica. Se non ci amiamo davvero, se ci sono conflitti, calunnie, discordie, chi si sentirà attratto da coloro che affermano di predicare la Buona Novella del Vangelo?

È molto facile, molto di moda, proclamare a parole il proprio amore per tutti gli uomini, credenti e non credenti. Ma se chi fa queste affermazioni tratta male i suoi fratelli nella fede, temo che le sue parole non siano altro che chiacchiere ipocrite. Invece, quando amiamo nel Cuore di Cristo coloro che con noi sono figli dello stesso Padre, consociati nella stessa fede e coeredi della stessa speranza (MINUCIO FELICE, Octavius, 31 [PL 3, 338]), la nostra anima si dilata e arde del desiderio che tutti si avvicinino al Signore.

Vi sto rammentando le esigenze della carità, e forse qualcuno di voi può aver pensato che nelle mie ultime parole manchi proprio questa virtù. Non è affatto vero. Vi assicuro che, con santo orgoglio e senza falsi ecumenismi, mi sono sentito pieno di gioia quando nel Concilio Vaticano II si delineava con rinnovata intensità la preoccupazione di portare la Verità a coloro che seguono strade diverse dall'unica Via, quella di Cristo, perché l'ansia per la salvezza di tutta l'umanità mi consuma.

Sì, è stata molto grande la mia gioia, anche perché vedevo nuovamente confermato un apostolato tanto amato dall'Opus Dei, l'apostolato ad fidem, che non respinge nessuno, e ammette i non cristiani, gli atei, i pagani, a partecipare, per quanto possibile, dei benefici spirituali della nostra Istituzione: tutto questo ha una lunga storia, di dolore e di lealtà, che vi ho raccontato altre volte. Per questo vi ripeto, senza timore, che ritengo ipocrita, bugiardo, lo zelo che induce a trattar bene i lontani, mentre si calpestano o si disprezzano coloro che vivono la nostra stessa fede. E non credo neppure al tuo interessamento per l'ultimo povero della strada, se maltratti i tuoi famigliari; se resti indifferente alle loro gioie, ai loro affanni e ai loro dolori; se non ti sforzi di capirli e di sorvolare sui loro difetti, purché non siano di offesa al Signore.

Non è commovente che l'apostolo Giovanni, ormai anziano, utilizzi la maggior parte delle sue lettere per raccomandarci di comportarci secondo questa dottrina divina? L'amore che deve unire i cristiani fra di loro nasce da Dio, che è Amore. Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore (1 Gv 4, 7-8). Si sofferma sulla carità fraterna, perché Cristo ci ha resi figli di Dio: Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! (1 Gv 3, 1).

E, mentre scuote con forza le nostre coscienze, per renderle più sensibili alla grazia divina, insiste sulla prova meravigliosa dell'amore del Padre per gli uomini: In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché noi avessimo la vita per lui (1 Gv 4, 9). Il Signore ha preso l'iniziativa, ci è venuto incontro. Ci ha dato questo esempio, affinché con Lui ci applichiamo al servizio del prossimo, affinché — mi piace ripeterlo — stendiamo generosamente il nostro cuore sul pavimento, per consentire agli altri di camminare sul soffice, e risulti loro più gradevole la lotta ascetica. Dobbiamo comportarci così perché siamo stati resi figli del medesimo Padre, di un Padre che non ha esitato a darci il suo Figlio amatissimo.

Di che amore si tratta? La Sacra Scrittura parla di dilectio, per far capire bene che non si riferisce soltanto all'affetto sensibile. Dilectio esprime piuttosto una determinazione forte della volontà. Dilectio, infatti, deriva da electio, scelta. Aggiungerei che amare da cristiani significa volere voler bene, decidersi in Cristo a cercare il bene delle anime senza discriminazioni di sorta, procurando loro, innanzitutto, la cosa migliore: portarli alla conoscenza di Cristo, innamorarli di Lui.

Il Signore ci sprona: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5, 44). Possiamo non sentirci umanamente attratti dalle persone che ci respingerebbero se li avvicinassimo. Ma Gesù esige da noi che non restituiamo male per male; che non lasciamo cadere le occasioni di servire gli altri di tutto cuore, anche se ci costa; che non cessiamo mai di tenerli presenti nelle nostre preghiere. La dilectio, la carità, acquista sfumature ancora più toccanti quando si riferisce ai nostri fratelli di fede, e specialmente a coloro che, per disposizione divina, lavorano più vicino a noi: i genitori, il marito o la moglie, i figli e i fratelli, gli amici e i colleghi, i vicini. Se non ci fosse questo affetto, questo amore umano nobile e pulito, ordinato a Dio e fondato in Lui, non ci sarebbe carità.

Peccherebbe di ingenuità chi pensasse che le esigenze della carità cristiana siano facili da compiere. Ben diverso è il panorama che ci si presenta se consideriamo il comportamento abituale della società e, purtroppo, se guardiamo anche all'interno della Chiesa. Se l'amore non costringesse a tacere, tutti potrebbero fare lunghi elenchi di divisioni, di conflitti, di ingiustizie, di mormorazioni, di insidie. Dobbiamo ammetterlo con semplicità, per cercare di applicare il rimedio opportuno, che deve tradursi nello sforzo personale di non ferire, di non trattar male, di correggere senza stroncare.

Non sono cose nuove. Pochi anni dopo l'Ascensione di Cristo in Cielo, quando quasi tutti gli Apostoli percorrevano ancora le vie del mondo e dappertutto regnava uno splendido fervore di fede e di speranza, già allora molti incominciavano a deviare, a non vivere la carità del Maestro.

Dal momento che c'è tra voi invidia e discordia — scrive san Paolo ai Corinzi — non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana? Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini (1 Cor 3, 3-4) che non capiscono che Cristo è venuto per superare tutte queste divisioni? Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso (1 Cor 3, 4-5).

L'Apostolo non respinge la diversità: ciascuno ha ricevuto da Dio il suo proprio dono, chi in un modo, chi nell'altro (cfr 1 Cor 7, 7). Ma queste differenze devono essere poste al servizio del bene della Chiesa. In questo istante mi sento spinto a chiedere al Signore — unitevi, se volete, a questa mia preghiera — di non permettere che nella sua Chiesa la mancanza d'amore sparga zizzania nelle anime. La carità è il sale dell'apostolato dei cristiani: se diventa insipido, come potremo presentarci al cospetto del mondo e spiegare, a testa alta, che qui c'è Cristo?

Pertanto, vi ripeto con san Paolo: Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova (1 Cor 13, 1-3).

Di fronte a queste parole dell'Apostolo delle genti, non manca chi fa come quei discepoli di Cristo i quali, dopo che il Signore aveva annunciato loro il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, commentavano: Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? (Gv 6, 60). Sì, è duro. Perché la carità descritta dall'Apostolo non si limita alla filantropia, all'umanitarismo, alla naturale commiserazione delle sofferenze altrui: esige l'esercizio della virtù teologale dell'amore verso Dio e dell'amore, per Dio, verso il prossimo. Per questo, la carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà… Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità (1 Cor 13, 8-13).

Ci siamo convinti che la carità non ha niente a che vedere con la caricatura che talvolta si è preteso di fare della virtù centrale della vita del cristiano. E allora, perché è necessario predicarla continuamente? È forse un tema obbligato, ma con poche possibilità di tradursi in fatti concreti?

Se ci guardiamo intorno, forse avremmo motivo di ritenere che la carità sia una virtù illusoria. Ma, se consideri le cose con senso soprannaturale, scoprirai la radice di tanta sterilità: la mancanza di un rapporto intenso e continuo: a tu per Tu, con Gesù Cristo, nostro Signore; e il misconoscimento dell'opera dello Spirito Santo nell'anima, il cui primo frutto è appunto la carità.

Accogliendo un'esortazione dell'Apostolo — Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2) —, un Padre della Chiesa aggiunge: Amando Cristo sopporteremo con facilità la debolezza degli altri, anche di chi ancora non amiamo perché non ha opere buone (SANT'AGOSTINO, De diversis questionibus, LXXXIII, 71, 7 [PL 40, 83]).

Da qui si inerpica il sentiero che ci fa crescere nella carità. Se pensassimo che la prima cosa da fare sia esercitarci in attività umanitarie, in lavori di assistenza, escludendo l'amore di Dio, saremmo in errore. Non trascuriamo Cristo per preoccuparci della malattia del nostro prossimo, giacché dobbiamo amare il malato a motivo di Cristo (SANT'AGOSTINO, ibidem).

Mantenete sempre lo sguardo su Gesù che, senza lasciare di essere Dio, umiliò se stesso prendendo la forma di servo (cfr Fil 2, 6-7), per poterci servire, perché soltanto in questa direzione si dischiudono gli ideali che vale la pena alimentare. L'amore cerca l'unione, I'identificazione con la persona amata: e, unendoci a Cristo, saremo attratti dall'anelito di imitare la sua vita di dedizione, di amore incommensurabile, di sacrificio fino alla morte. Cristo ci mette davanti al dilemma definitivo: o consumare la propria esistenza in modo egoistico e solitario, o dedicarsi con tutte le forze a un compito di servizio.

Chiediamo adesso al Signore, a conclusione di questa conversazione con Lui, di concederci di poter ripetere con san Paolo: Noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù nostro Signore (Rm 8, 37-39).

A questo amore la Scrittura innalza un canto con parole ardenti: Le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo (Ct 8, 7). Questo amore ha sempre ricolmato il Cuore della Madonna, tanto da arricchirla di viscere di maternità per l'umanità tutta. Nella Vergine, l'amore a Dio si confonde con la sollecitudine per tutti i suoi figli. Molto dovette soffrire il suo Cuore dolcissimo, attento ai più piccoli dettagli — non hanno vino (Gv 2, 3) — nell'assistere alla crudeltà collettiva, all'accanimento dei carnefici, nella Passione e Morte di Gesù. Maria non parla. Come suo Figlio, ama, tace e perdona. Questa è la forza dell'amore.