Elenco di punti

Ci sono 12 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Vangelo → insegnamenti, parabole e allegorie.

Nel meditare queste parole di Cristo: Pro eis ego sanctifico me ipsum, ut sint et ipsi sanctificati in veritate, per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità (Gv 17, 19), percepiamo con chiarezza il nostro unico fine: la santificazione, cioè il dovere di essere santi per santificare. Nel contempo, come una sottile tentazione, può venirci in mente che solo in pochi siamo decisi a rispondere alla chiamata divina, e per di più ci riconosciamo strumenti con ben scarse attitudini. È vero, siamo in pochi in confronto al resto dell'umanità, e personalmente non valiamo nulla; ma l'affermazione del Maestro risuona con tutta la sua autorità: il cristiano è luce, sale, lievito del mondo, e un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta (Gal 5, 9). Proprio per questo ho sempre predicato che ci interessano tutte le anime — cento su cento —, senza discriminazione alcuna, con la certezza che Cristo ci ha redenti tutti e vuole servirsi di noi pochi, nonostante la nostra personale nullità, per diffondere la salvezza.

Un discepolo di Cristo non tratterà mai male nessuno: chiamerà errore l'errore, ma correggerà con affetto chi sta sbagliando: altrimenti, non potrà aiutare, non potrà santificare. Bisogna saper vivere con gli altri, bisogna capire, bisogna scusare, bisogna esercitare la fraternità; e, secondo il consiglio di san Giovanni della Croce, in ogni istante bisogna mettere amore dove non c'è amore, per raccogliere amore (cfr SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Lettera a Maria de la Encarnación, 6-VII-1591), anche nelle circostanze apparentemente insignificanti offerte dal lavoro professionale e dalle relazioni famigliari e sociali. Pertanto, tu e io metteremo a frutto anche le occasioni più banali che ci si presentano, per santificarle, per santificarci e per santificare coloro che condividono i nostri stessi impegni quotidiani, sentendo nella nostra vita il peso dolce e attraente della corredenzione.

Ricorriamo ancora al Vangelo, specchiandoci in Gesù, nostro modello.

Giacomo e Giovanni, per mezzo della loro madre, hanno chiesto a Gesù di sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Gli altri discepoli ne sono indignati. Che cosa risponde il Signore? «Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10, 43-45).

In un'altra occasione i discepoli erano diretti a Cafarnao, e forse Gesù, come altre volte, li precedeva. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9, 33-37).

Non vi entusiasma questo modo di agire di Gesù? Perché capiscano la sua dottrina, propone un esempio vivente. Chiama un bambino che correva per la casa e se lo stringe al petto. È il silenzio eloquente di Gesù nostro Signore. Ha già detto tutto: Egli ama coloro che si fanno come bambini. Poi aggiunge che il frutto della semplicità, dell'umiltà di spirito, è di poter abbracciare Lui e il Padre che sta nei cieli.

In questa prospettiva, convincetevi che se davvero vogliamo seguire il Signore da vicino e prestare un servizio autentico a Dio e a tutta l'umanità, dobbiamo sul serio essere distaccati da noi stessi: dai doni dell'intelligenza, dalla salute, dall'onore, dalle nobili ambizioni, dai trionfi, dai successi.

Alludo anche — perché la tua determinazione deve arrivare a questo punto — alla bella aspirazione di cercare esclusivamente di dare a Dio tutta la gloria e di rendergli lode. La nostra volontà deve seguire questa regola chiara e precisa: «Signore, voglio questo o quest'altro soltanto se a Te piace; altrimenti, che me ne faccio?». In questo modo assestiamo un colpo mortale all'egoismo e alla vanità che serpeggiano in ogni coscienza, e nel contempo raggiungiamo la vera pace dell'anima, con un distacco che conduce al possesso di Dio, sempre più intimo e intenso.

Per imitare Gesù Cristo, il cuore deve essere interamente libero da ogni attaccamento. Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Quale vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? (Mt 16, 24-26). E san Gregorio Magno commenta: Non basta abbandonare ciò che si possiede se poi non ci stacchiamo da noi stessi. Che significa questo distacco da sé? Se abbandoniamo noi stessi dove andremo al di fuori di noi? Chi può andare se già ha abbandonato se stesso? Teniamo però presente che diverso è lo stato della natura incorrotta da quello in cui siamo caduti a motivo del peccato, come diversa è la condizione di ciò che abbiamo fatto, da quella in cui siamo stati posti alla creazione. Dobbiamo abbandonare noi stessi come ci siamo ridotti a motivo del peccato e restare quali si- amo stati costituiti dall'opera della grazia. Se infatti un superbo diventa umile dopo la conversione a Cristo, abbandona se stesso; se un lussurioso muta vita e diviene casto, opera certo un distacco da sé; se un avaro smette di bramare ricchezze e impara a donare del suo mentre prima rubava agli altri, senza dubbio abbandona se stesso (SAN GREGORIO MAGNO, Homiliae in Evangelia, 32, 2 [PL 76, 1233]).

Si può ben dire che il Signore, nel compiere la missione ricevuta dal Padre, vive alla giornata, secondo il consiglio contenuto in uno dei più suggestivi insegnamenti pronunciati dalle sue divine labbra: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete!… Guardate i gigli come crescono: non filano, non tessono; eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, quanto più voi, gente di poca fede? (Lc 12, 22-24, 27-28).

Se vivessimo con maggior fiducia nella Provvidenza divina, sicuri — con fede robusta — della protezione quotidiana che non viene mai meno, quante inquietudini e preoccupazioni ci risparmieremmo! Scomparirebbero tanti grattacapi che, come diceva Gesù, sono tipici dei pagani, della gente mondana (cfr Lc 12, 30), delle persone prive di senso soprannaturale. Vorrei, in confidenza d'amico, di sacerdote, di padre, farvi ricordare in ogni occasione che noi, per la misericordia di Dio, siamo figli del Padre nostro, onnipotente, che sta nei cieli e, simultaneamente, nell'intimo del cuore; vorrei incidere a fuoco nella vostra mente l'idea che abbiamo tutti i motivi per camminare con ottimismo sulla terra, con l'anima libera dalle cose che sembrano imprescindibili, dato che il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno! (cfr Lc 12, 30), e sarà Lui a provvedere. Sappiate che soltanto così avremo il dominio sulla creazione (cfr Gn 1, 26-31), ed eviteremo la triste schiavitù nella quale molti cadono perché dimenticano la loro condizione di figli di Dio, mentre si affannano per un domani e un dopodomani che forse non arriveranno neppure.

Se volete comportarvi in ogni istante da signori di voi stessi, vi consiglio di mettere il massimo impegno nel distaccarvi da tutto, senza paura, senza timori e senza diffidenze. Poi, nell'applicarvi al compimento dei vostri doveri personali, famigliari… impiegate con rettitudine i mezzi umani onesti, pensando al servizio che rendete a Dio, alla Chiesa, ai vostri cari, al vostro lavoro professionale, al vostro paese, a tutta l'umanità. Guardate che l'importante non consiste nel fatto materiale di possedere una data cosa o di non averne un'altra, ma di comportarsi secondo la verità insegnataci dalla nostra fede: i beni creati sono dei mezzi, sono soltanto dei mezzi. Pertanto, non lasciatevi abbagliare dallo specchietto di ritenerli come qualcosa di definitivo: Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Mt 6, 19-21).

Chi ripone la sua felicità unicamente nelle cose di quaggiù — sono stato testimone di vere e proprie tragedie — ne perverte l'uso ragionevole e distrugge l'ordine sapientemente disposto dal Creatore. Il cuore, allora, si sente triste e insoddisfatto; si avvia per il sentiero di un'eterna scontentezza e finisce per rendersi schiavo anche sulla terra, vittima degli stessi beni che magari ha conquistato a prezzo di innumerevoli sforzi e rinunce. Ma, soprattutto, vi raccomando di non dimenticare mai che Dio non trova posto, non può abitare in un cuore infangato da un amore disordinato, rozzo, vano. Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona (Mt 6, 24). Ancoriamo, dunque, il nostro cuore all'amore capace di renderci felici… Desideriamo i tesori del cielo (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, 63, 3 [PG 58, 607]).

Non ti sto suggerendo la rinuncia all'esercizio dei tuoi diritti e al compimento dei tuoi doveri. Anzi, per ciascuno di noi, di solito, indietreggiare su questo fronte significa disertare vilmente la lotta per essere santi, alla quale Dio ci ha chiamati. Pertanto, con coscienza sicura, devi impegnarti — soprattutto nel tuo lavoro — perché né a te né ai tuoi cari manchi ciò che occorre per una vita cristianamente dignitosa. Se in qualche occasione senti nella tua carne il peso dell'indigenza, non rattristarti e non ribellarti; ma, ripeto, cerca di impiegare tutte le risorse oneste per uscire da tale situazione, perché fare altrimenti sarebbe un modo di tentare Dio. E mentre lotti, ricordati anche che omnia in bonum!, tutto — compresa la penuria, la povertà — concorre al bene di chi ama il Signore (cfr Rm 8, 28); abituati, fin da ora, ad affrontare con gioia i piccoli inconvenienti, le scomodità, il freddo, il caldo, la mancanza di qualcosa che ti sembra imprescindibile, il non poter riposare come e quando vuoi, la fame, la solitudine, l'ingratitudine, l'incomprensione, il disonore…

Come sono trasparenti gli insegnamenti di Cristo! Ancora una volta apriamo il Nuovo Testamento, per soffermarci sul capitolo undicesimo di san Matteo: Imparate da me che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29).

Vedi? Dobbiamo imparare da lui, da Gesù, nostro unico modello. Se vuoi andare avanti al riparo da inciampi e da smarrimenti, non devi far altro che passare dove Egli è passato, posare i tuoi piedi sulle sue orme, addentrarti nel suo Cuore umile e paziente, bere alla fonte dei suoi comandamenti e dei suoi sentimenti; in una parola, devi identificarti con Gesù Cristo, devi cercare di diventare davvero un altro Cristo in mezzo agli uomini, tuoi fratelli.

Ma, perché nessuno sia tratto in inganno, leggiamo un altro brano del Vangelo di san Matteo. Nel capitolo sedicesimo, il Signore precisa ulteriormente la sua dottrina: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24). Il cammino di Dio è cammino di rinuncia, di mortificazione, di dedizione, ma non di tristezza o di pusillanimità.

Ripercorri l'esempio di Cristo, dalla culla di Betlemme al trono del Calvario. Considera la sua abnegazione, le sue privazioni: fame, sete, fatica, caldo, sonno, maltrattamenti, incomprensioni, lacrime… (cfr Mt 4, 1-11; Mt 8, 20; Mt 8, 24; Mt 12, 1; Mt 21, 18-19; Lc 2, 6-7; Lc 4, 16-30; Lc 11, 53-54; Gv 4, 6; Gv 11, 33-35; ecc.); e la sua gioia di salvare l'umanità tutta. Vorrei ora incidere profondamente nella tua mente e nel tuo cuore — perché tu lo possa meditare molto spesso, traendone conseguenze pratiche — l'invito riassuntivo a seguire senza tentennamenti i passi del Signore, rivolto da san Paolo agli Efesini: Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore (Ef 5, 1-2).

Fissiamo di nuovo gli occhi sul Maestro. In questo momento forse anche tu senti il rimprovero rivolto a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo, ma credente (Gv 20, 27); e, come l'Apostolo, farai prorompere dalla tua anima, con sincera contrizione, il grido: Mio Signore e mio Dio! (Gv 20, 28), ti riconosco definitivamente come Maestro, e ormai per sempre — col tuo aiuto — farò tesoro dei tuoi insegnamenti e mi sforzerò di seguirli con lealtà.

Addentrandoci nelle pagine del Vangelo, riviviamo la scena in cui Gesù si è ritirato in orazione e i discepoli sono vicino a Lui, forse contemplandolo. Quando ebbe terminato, uno di loro si decise a chiedergli: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome…» (Lc 11, 1-2).

Notate quanto è sorprendente la risposta: i discepoli convivono con Gesù e, nel corso delle loro conversazioni, il Signore insegna come devono pregare; rivela il grande segreto della misericordia divina: siamo figli di Dio e possiamo intrattenerci fiduciosamente con Lui, come il figlio che conversa con suo padre.

Quando vedo come taluni impostano la vita di pietà, il rapporto del cristiano con il Signore, presentandone un'immagine sgradevole, astratta, esteriore, infarcita di cantilene senz'anima che favoriscono l'anonimato invece del colloquio personale, a tu per tu, con Dio nostro Padre — l'autentica orazione vocale non è mai anonimato —, mi torna alla mente l'ammonimento del Signore: Pregando, poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate (Mt 6, 7-8). Un Padre della Chiesa commenta: Mi sembra che con queste parole Cristo condanni le lunghe preghiere; lunghe, non per la loro durata, ma per la moltitudine delle parole, per l'infinità dei discorsi. (…) Quando Gesù ci propone l'esempio di quella vedova che piegò, con l'insistenza delle sue preghiere, quel giudice crudele e spietato (cfr Lc 18, 1-8), oppure quello dell'uomo che andò a trovare il suo amico nel mezzo della notte e lo fece alzare dal letto quando già era addormentato, non tanto per effetto dell'amicizia quanto per la sua insistenza (cfr Lc 11, 5-8), vuol dare a noi tutti un comando: noi dobbiamo, cioè, supplicarlo continuamente, non offrendogli una preghiera lunga, fatta di mille parole, ma esponendogli semplicemente le nostre necessità (SAN GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, 19, 4[PG 57, 278]).

In ogni caso, se avete cominciato la vostra meditazione e non riuscite a concentrare l'attenzione per conversare con Dio, ma vi sentite aridi e vi sembra che la testa non sia capace di esprimere neppure un'idea, o i vostri affetti rimangono insensibili, vi consiglio quello che io stesso ho cercato di fare sempre in tali circostanze: mettetevi alla presenza di vostro Padre e ditegli almeno: «Signore, non so pregare, non mi viene in mente nulla da raccontarti!…». Siate sicuri che in quello stesso istante avete incominciato a fare orazione.

Mettetevi con frequenza tra i personaggi del Nuovo Testamento. Assaporate le scene commoventi in cui il Maestro opera con gesti divini e umani, o riferisce con espressioni divine e umane la storia sublime del perdono, il suo Amore ininterrotto per i suoi figli. Questa replica del Cielo si rinnova anche ora, nella perenne attualità del Vangelo: si avverte, si nota, si tocca con le mani la protezione divina. Ed è una difesa che cresce di vigore quando andiamo avanti nonostante gli inciampi, quando cominciamo e ricominciamo, perché tale è la vita interiore, quando la si vive con la speranza in Dio.

Se manca lo slancio di superare gli ostacoli interni ed esterni, non otterremo il premio. Non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole (2 Tm 2, 5), e non sarebbe autentico il combattimento se mancasse l'avversario con cui lottare. Pertanto, se non c'è avversario non c'è corona, perché non ci può esser vincitore là dove non c'è vinto (SAN GREGORIO NISSENO, De perfecta christiani forma [PG 46, 286]).

Lungi dallo scoraggiarci, le contrarietà devono essere uno stimolo per crescere come cristiani: in questa lotta ci santifichiamo, e il nostro lavoro apostolico acquista maggiore efficacia. Meditando quei momenti in cui Gesù — nell'Orto degli ulivi e, più tardi, nell'abbandono e nell'ignominia della Croce — accetta e ama la Volontà del Padre, mentre patisce il peso immane della Passione, dobbiamo persuaderci che per imitare Cristo, per essere buoni discepoli suoi, occorre abbracciare il suo consiglio: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24). Perciò mi piace chiedere a Gesù, per me: «Signore, non un giorno senza croce!». Così, con la grazia divina, si rafforzerà il nostro carattere, e serviremo di appoggio al nostro Dio, al di sopra delle nostre miserie personali.

Cercate di capire: se piantando un chiodo nella parete non incontraste resistenza, che cosa potreste appendervi? Se non ci irrobustiamo, con l'aiuto divino, per mezzo del sacrificio, non potremo divenire strumenti del Signore. Se invece, per amor di Dio, ci decidiamo a trarre profitto con allegria dalle contrarietà, non ci costerà fatica, nelle situazioni difficili e sgradevoli, nelle occasioni dure e disagevoli, esclamare, come gli Apostoli Giacomo e Giovanni: Possiamo! (Mc 10, 38).

Confuso tra la folla, uno di quei periti della Legge che non riuscivano più a riconoscere gli insegnamenti che erano stati rivelati a Mosè, poiché loro stessi li avevano ingarbugliati in una sterile casistica, ha rivolto una domanda al Signore. Gesù schiude le sue labbra divine per rispondere al dottore della Legge, e gli dice lentamente, con la sicura certezza che viene da una profonda esperienza personale: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti (Mt 22, 37-40).

Osservate adesso un'altra scena: il Maestro è riunito con i suoi discepoli, nell'intimità del Cenacolo. Mentre si avvicina il momento della Passione, il Cuore di Cristo, circondato da coloro che ama, manda ineffabili bagliori di fiamma: Vi do un comandamento nuovo — confida ai suoi —: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 34-35).

Per giungere vicino al Signore attraverso le pagine del santo Vangelo, raccomando sempre di sforzarvi di 'entrare' nella scena in modo da parteciparvi come un personaggio tra gli altri. In tal modo — molte anime semplici e normali, di mia conoscenza, lo fanno con naturalezza — vi immedesimerete con Maria, che pende dalle parole di Gesù, oppure, come Marta, avrete il coraggio di esporgli con sincerità le vostre inquietudini, anche le più minute (cfr Lc 10, 39-40).

Mi piace raccogliere queste parole, che lo Spirito Santo ci ha comunicato per mezzo del profeta Isaia: Discite benefacere (Is 1, 17), imparate a fare il bene. Applico questa esortazione ai diversi aspetti della nostra lotta interiore, perché la vita cristiana non può mai essere data per conclusa, dal momento che la crescita nelle virtù è conseguenza di un impegno effettivo e quotidiano.

In qualunque attività civile, come si fa a imparare? Innanzitutto valutiamo il fine da raggiungere e i mezzi da impiegare. Poi, applichiamo con costanza tali mezzi, provando e riprovando fino a creare una disposizione radicata e solida. E mentre impariamo una cosa, ne scopriamo molte altre di cui non sospettavamo l'esistenza, e che ci stimolano a continuare il lavoro senza mai dire 'basta'.

La carità verso il prossimo è una manifestazione dell'amore verso Dio. Pertanto, nello sforzo per migliorare in questa virtù, non possiamo fissarci alcun limite. Con il Signore, l'unica misura è amare senza misura. Da una parte, perché non riusciremo mai a contraccambiare ciò che Egli ha fatto per noi; dall'altra, perché anche l'amore di Dio per le creature si manifesta così: sovrabbondante, senza calcoli, senza confini.

A tutti coloro che sono disposti ad aprirgli l'ascolto dell'anima — e noi siamo di quelli — Gesù insegna nel discorso della montagna il comandamento divino della carità. E, a mo' di riassunto, conclude: Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché Egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro (Lc 6, 35-36).

La misericordia non si limita a un mero atteggiamento di compassione: la misericordia è sovrabbondanza di carità che, simultaneamente, comporta sovrabbondanza di giustizia. Misericordia vuol dire mantenere il cuore in carne viva, umanamente e soprannaturalmente pervaso da un amore forte, abnegato, generoso. San Paolo, nel suo inno alla carità, ne parla così: La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (1 Cor 13, 4-7).

Per avviare l'orazione, sono solito materializzare perfino le cose più spirituali; è un metodo che forse può aiutare anche qualcuno di voi. Nostro Signore lo utilizzava. Gli piaceva insegnare in parabole tratte dall'ambiente che lo circondava: il pastore e le pecore, la vite e i tralci, le barche e le reti, il seme che il seminatore sparge nel campo… Nella nostra anima è stata seminata la Parola di Dio. Quale terra gli abbiamo preparato? Quella dove abbondano le pietre? Quella piena di spine? O forse un luogo troppo calpestato da passi meramente umani, pigri, senza slancio? Fa', o Signore, che il mio podere sia di buona terra, terra fertile, esposta generosamente alla pioggia e al sole; che la tua semina metta radici; che produca spighe piene di buon frumento.

Io sono la vite e voi i tralci (Gv 15, 5). Giunge settembre e le piante sono cariche di sarmenti lunghi e sottili, flessibili e nodosi, ricolmi di frutti pronti già per la vendemmia. Osservate quei tralci: sono ripieni perché ricevono la linfa del tronco. Solo così quelle minuscole gemme di pochi mesi prima, hanno potuto trasformarsi in polpa dolce e matura, capace di riempire di gioia la vista e il cuore degli uomini (cfr Sal 103, 15). Sul suolo restano degli sterpi isolati, che la terra va ricoprendo. Anch'essi erano tralci, ma sono aridi, rinsecchiti. Sono il simbolo più espressivo della sterilità. Perché senza di me non potete far nulla (Gv 15, 5).

Il tesoro. Immaginate la gioia immensa del fortunato scopritore. Sono finite le sue ristrettezze, le sue angustie. Vende tutto ciò che possiede e compra quel campo. Tutto il suo cuore è posto là, dove è nascosta la sua ricchezza (cfr Mt 6, 21). Il nostro tesoro è Cristo; non dobbiamo esitare a buttare a mare tutto quello che è di intralcio per seguirlo. E la barca, libera infine dalla zavorra inutile, navigherà diritta fino al porto sicuro dell'Amore di Dio.