Elenco di punti

Ci sono 6 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Buon uso del tempo → laboriosità.

Quando tutti insieme conversiamo con Dio nostro Signore, e io mi rivolgo a voi, continuo a fare ad alta voce la mia orazione personale: mi piace ricordarlo molto spesso. Voi pure dovete sforzarvi di alimentare nelle vostre anime la vostra orazione personale, anche quando, per un qualsiasi motivo, come per esempio in questa circostanza, dobbiamo trattare un tema che a prima vista non sembra venire molto a proposito per un dialogo d'amore, tale essendo il nostro colloquio col Signore. Dico "a prima vista", perché tutto quel che ci capita, tutto ciò che accade accanto a noi, può e deve essere tema della nostra meditazione.

Devo parlarvi del tempo, del tempo che passa. Non voglio ripetere quel detto risaputo che ogni anno di più è un anno di meno… E nemmeno vi suggerisco di domandare in giro che cosa si pensa del trascorrere dei giorni, perché probabilmente — se lo faceste — ascoltereste risposte del genere "gioventù, tesoro divino, che passi per non tornare…", anche se non escludo che potreste sentire qualche altra considerazione più ricca di senso soprannaturale.

Non desidero neppure soffermarmi sul tema della brevità della vita, con accenti di rimpianto. La fugacità del cammino su questa terra dovrebbe incitare noi cristiani a trarre maggior profitto dal tempo, non certo ad aver paura del Signore, e ancor meno a considerare la morte una tragica fine.

Un anno che passa — lo si è detto in mille modi, più o meno poetici —, con la grazia e la misericordia di Dio, è un passo avanti verso il Cielo, nostra Patria definitiva.

Pensando a questa realtà, comprendo molto bene l'esclamazione di san Paolo ai corinzi: Tempus breve est! (1 Cor 7, 29), come è breve la durata del nostro passaggio sulla terra! Queste parole, per un cristiano coerente, risuonano nel più intimo del cuore come un rimprovero per la propria mancanza di generosità, come un costante invito a essere leale.

È davvero breve il tempo che abbiamo per amare, per dare, per riparare. Non è giusto perciò che lo sperperiamo, che gettiamo irresponsabilmente questo tesoro dalla finestra: non possiamo sprecare il momento del mondo che Dio ha affidato a ciascuno di noi.

Perché è da innamorati aver cura dei particolari, anche nelle azioni apparentemente senza importanza.

Ma seguiamo il filo della parabola. Che cosa fanno lo vergini stolte? Solo da quel momento si impegnano a prepararsi per attendere lo sposo: vanno a comperare olio. Si sono però decise tardi e, mentre andavano, arrivò lo sposo, e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici. (Mt 25, 10-11). Non sono rimaste inattive: qualche tentativo l'hanno pur fatto… Ma dovettero udire la voce che rispondeva loro con durezza: Non vi conosco (Mt 25, 12).

Non seppero o non vollero prepararsi con la dovuta prontezza, e si dimenticarono di prendere la ragionevole precauzione di comperare l'olio a tempo debito. Mancò loro la generosità di compiere interamente quel poco che era stato loro affidato. In realtà ebbero a disposizione molte ore, ma le sprecarono.

Pensiamo coraggiosamente alla nostra vita. Perché a volte non troviamo quei pochi minuti per portare a termine con amore il lavoro che ci aspetta e che è lo strumento della nostra santificazione? Perché trascuriamo i doveri famigliari? Perché si insinua la precipitazione al momento di pregare, di assistere al santo Sacrificio della Messa? Perché ci manca serenità e calma nel compiere i doveri del nostro stato, e ci intratteniamo senza alcuna fretta dietro ai nostri capricci personali? Mi direte: sono piccolezze. Sì, è vero: ma queste piccolezze sono l'olio, il nostro olio, che tiene viva la fiamma e accesa la luce.

C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò (Mt 21, 33). Vorrei che meditassimo l'insegnamento di questa parabola sotto il profilo che ora ci interessa. La tradizione ha visto, in questa narrazione, una figura del destino del popolo eletto da Dio; e ci ha fatto notare innanzitutto che, a tanto amore da parte del Signore, noi uomini corrispondiamo con l'infedeltà, con l'ingratitudine.

Voglio in particolare fermarmi su quel se ne andò. Giungo subito a concludere che noi cristiani non possiamo abbandonare la vigna in cui il Signore ci ha posti.

Dobbiamo spendere le nostre forze in questo compito, all'interno del recinto, lavorando nel frantoio e, compiuto il lavoro di ogni giorno, riposando nella torre. Se ci lasciassimo trascinare dalla comodità, sarebbe come rispondere a Cristo: «I miei anni sono per me non per te; non voglio decidermi ad occuparmi della tua vigna».

Il Signore ci ha regalato la vita, i sensi, le facoltà, innumerevoli grazie: e noi non abbiamo il diritto di dimenticare che siamo degli operai fra i tanti, nel podere in cui Egli ci ha collocati, per collaborare nel compito di procurare alimento agli altri. Il nostro posto è questo, entro questi limiti; qui dobbiamo spendere la vita ogni giorno con Lui, aiutandolo nella sua opera di redenzione (cfr Col 1, 24).

Permettetemi di insistere: il tuo tempo è per te? Il tuo tempo è per Dio! Può darsi che, per misericordia del Signore, l'egoismo non sia penetrato per ora nella tua anima. Ti parlo per l'eventualità che tu debba sentire il tuo cuore vacillare nella fede di Cristo. Perciò ti chiedo — te lo chiede Dio — di essere fedele al tuo impegno, di dominare la superbia, di assoggettare l'immaginazione, di non permetterti la leggerezza di allontanarti, di non disertare.

Quei braccianti che stavano sulla piazza avevano l'intera giornata da sprecare; colui che nascose il suo talento sotto terra voleva ammazzare le ore; l'altro che doveva occuparsi della vigna, se ne va per un'altra strada. Tutti ugualmente insensibili di fronte alla grande missione affidata dal Maestro a ogni cristiano: considerarci e comportarci come suoi strumenti, essere con Lui corredentori; consumare la nostra intera vita nel sacrificio lieto di dare noi stessi per il bene delle anime.

Ecco il frutto dell'orazione di oggi: persuaderci che il nostro cammino sulla terra — in ogni occasione e in ogni tempo — è per Iddio, è un tesoro di gloria, un'immagine del Cielo; è, in mano nostra, una cosa preziosa che dobbiamo amministrare, con senso di responsabilità di fronte agli uomini e di fronte a Dio: senza che, per far ciò, sia necessario cambiare di stato, bensì nel bel mezzo della strada, santificando la propria professione o il proprio mestiere; santificando la vita di famiglia, le relazioni sociali, e ogni altra attività in apparenza esclusivamente terrena.

Quando avevo ventisei anni e compresi in tutta la sua profondità il dovere di servire il Signore nell'Opus Dei, chiesi a Dio, con tutta l'anima, ottant'anni di gravità. Chiedevo più anni al mio Dio — con ingenuità da principiante, in modo infantile — per sapere usare il tempo, per imparare a utilizzare ogni minuto al suo servizio. Il Signore sa concedere tali ricchezze. Forse tu e io arriveremo a poter dire: Ho più senno degli anziani, perché osservo i tuoi precetti (Sal 118, 100). La giovinezza non deve significare spensieratezza, come i capelli bianchi non denotano necessariamente prudenza e sapienza.

Rivolgiti con me alla Madre di Cristo: Madre nostra, che hai visto crescere Gesù, che lo hai visto mettere a frutto il suo passaggio tra gli uomini, insegnami a impiegare i miei giorni al servizio della Chiesa e delle anime; insegnami ad ascoltare nel più intimo del cuore, come un affettuoso rimprovero, Madre buona, ogni volta che ce ne sia bisogno, che il mio tempo non mi appartiene, perché è del Padre nostro che è nei Cieli.

Due virtù umane — laboriosità e diligenza — si confondono in una sola: l'impegno di mettere a frutto i talenti che ciascuno ha ricevuto da Dio. Sono virtù perché inducono a portare a termine bene le cose. Fin dal 1928 vado predicando che il lavoro non è una maledizione, non è un castigo del peccato. Nel libro della Genesi si parla di codesta realtà già prima della ribellione di Adamo contro Dio (cfr Gn 2, 15).

Secondo il piano divino, l'uomo avrebbe dovuto lavorare comunque, per cooperare al compito immenso della creazione.

La persona laboriosa utilizza con profitto il tempo, che non è solo denaro, è gloria di Dio. Fa quello che deve e si impegna in quello che fa, non per abitudine o per riempire le ore, ma come frutto di riflessione attenta e ponderata. Pertanto è diligente. Nell'uso attuale, la parola diligente ci ricorda la sua origine latina. Essa deriva dal verbo diligere, che significa amare, apprezzare, scegliere come risultato di un'attenzione delicata, accurata. Non è diligente la persona precipitosa, bensì chi lavora con amore, con premura.

Gesù, perfetto uomo, scelse un lavoro manuale che eseguì in modo delicato e attento per quasi tutto il tempo della sua permanenza sulla terra. Esercitò il suo mestiere di artigiano tra gli abitanti del suo paese, dimostrandoci chiaramente, con quell'attività umana e divina, che il lavoro ordinario non è un particolare di scarsa importanza, bensì il cardine della nostra santificazione, l'occasione continua del nostro incontro con Dio, per lodarlo e glorificarlo con l'opera della nostra intelligenza e delle nostre mani.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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