Elenco di punti

Ci sono 7 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Debolezza.

Partiremo dalle letture di questo martedì di Passione per parlare di divinizzazione, della possibilità, cioè, di vivere la vita stessa di Dio, ma imparando a distinguere la 'divinizzazione buona' dalla 'divinizzazione cattiva'. Parleremo pertanto di umiltà, perché è la virtù che ci aiuta a comprendere, ad un tempo, la nostra miseria e la nostra grandezza.

La nostra miseria risalta in modo anche troppo evidente. Non mi riferisco ai limiti di natura, alle tante aspirazioni illusorie che portano l'uomo a fare dei progetti che non realizzerà mai, non fosse altro perché gliene mancherà il tempo. Penso a ciò che facciamo male, alle cadute, agli errori che, potendo essere evitati, evitati non vengono.

Di continuo sperimentiamo la nostra personale inefficacia. Ma a volte sembra che tutte queste cose si sommino insieme e si manifestino con maggiore evidenza; allora ci rendiamo conto più che mai di essere ben poca cosa. Che fare? Expecta Dominum (Sal 26, 14), spera nel Signore; vivi di speranza, ci suggerisce la Chiesa, con amore e con fede. Viriliter age (Sal 26, 24), comportati virilmente. Che cosa importa essere creature di fango, se la nostra speranza è riposta in Dio? Se in qualche momento un'anima sperimenta la caduta, o fa un passo falso — non è necessario che succeda —, gli si dà il rimedio opportuno, come si fa abitualmente quando è in pericolo la salute fisica; poi, di nuovo in marcia!

Non avete mai visto, nelle famiglie, quando si possiede un fragile oggetto di valore — un vaso, per esempio —, quanta attenzione si pone perché non si rompa? Finché un giorno, il bambino, giocando, lo fa cadere a terra e il prezioso ricordo va in frantumi. Il dispiacere è grande, ma subito si provvede a riparare il danno: il vaso viene ricomposto, incollato con cura, e alla fine l'oggetto appare più bello di prima.

Ma se l'oggetto è di minor valore, o semplicemente di terracotta, bastano alcuni punti di fil di ferro o di altro metallo per tenere insieme i pezzi. Il vaso, così riparato, acquista un incanto particolare.

Cerchiamo di applicare tutto ciò alla vita interiore. Di fronte alle nostre miserie e ai nostri peccati, di fronte ai nostri errori — anche se, per grazia di Dio, sono di poca importanza —, ricorriamo alla preghiera e diciamo a Dio nostro Padre: «Signore, alla mia povertà, alla mia fragilità, ai cocci di questo vaso rotto, metti qualche punto, e io — con il mio dolore e con il tuo perdono — sarò più forte e più bello di prima». È una preghiera consolante, da ripetere ogni volta che si rompe la povera terracotta di cui siamo fatti.

Non possiamo meravigliarci d'esser fragili, non possiamo rimanere stupiti vedendo che la nostra condotta si svia per un nonnulla; confidiamo nel Signore che ci offre sempre il suo aiuto: Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? (Sal 26, 1). Di nessuno. Parlando in questo modo con il Padre celeste, non avremo paura di niente e di nessuno.

Liberami dall'uomo iniquo e fallace (cfr Sal 42, 1 [Graduale della Messa]) che è in me. Ancora una volta il testo della Messa ci parla della 'divinizzazione buona': esso mette in evidenza ai nostri occhi la pasta cattiva di cui siamo fatti, con le sue malvagie inclinazioni; poi ci esorta ad esclamare: Emitte lucem tuam (Sal 42, 3 [Graduale della Messa]), fa' splendere la tua luce e la tua verità; siano esse a guidarmi al tuo monte santo. Non mi rincresce dirvi che mi sono commosso recitando le parole del graduale.

Come dobbiamo comportarci per ottenere 'la divinizzazione buona'? Nel Vangelo leggiamo che Gesù non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo (Gv 7, 1). Lui, che con un atto della sua volontà poteva distruggere i suoi nemici, non rifugge invece i mezzi umani. Lui, che era Dio e a cui bastava una decisione per cambiare le circostanze, ci ha lasciato una lezione incantevole: non andò in Giudea. I suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e va' nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai» (Gv 7, 3). Desideravano che desse spettacolo. Non vedete che è tutta una lezione sulla 'divinizzazione buona' e su quella 'cattiva'?

Divinizzazione buona: Confidino in te — canta l'offertorio — quanti conoscono il tuo nome, perché non abbandoni chi ti cerca, Signore (Sal 9, 11). E tutto è gioia in questo vaso di terracotta pieno di punti, perché Egli non dimentica il grido degli afflitti (Sal 9, 13), la preghiera degli umili.

La devozione che nasce dalla filiazione divina è un atteggiamento profondo dell'anima, che finisce per informare tutta l'esistenza: è presente in tutti i pensieri, in tutti i desideri, in tutti gli affetti. Non avete visto che in famiglia i figli, pur senza rendersene conto, imitano i genitori, ne ripetono i gesti, le abitudini, e concordano con loro in tanti atteggiamenti?

Lo stesso succede nel comportamento di un buon figlio di Dio: si arriva — senza sapere come, né per quale via — a un meraviglioso deificarsi, che ci permette di inquadrare gli avvenimenti col rilievo soprannaturale della fede; si arriva ad amare tutti gli uomini come li ama il nostro Padre del Cielo e — cosa ancora più importante — si acquista nuovo brio nel nostro sforzo quotidiano di avvicinarci al Signore. Non contano le miserie — ripeto — perché ci sono le braccia amorose di Dio nostro Padre per rialzarci.

Se ci pensate, è cosa ben diversa che cada un bambino o che cada un adulto. Per i bambini, la caduta generalmente è senza conseguenze: vanno in terra tanto spesso! E se poi sono lacrime, il padre dice: «Gli uomini non piangono». Così si chiude l'incidente, perché il piccolo s'impegna a fare contento suo padre.

Guardate, invece, che cosa avviene quando perde l'equilibrio un adulto e cade lungo disteso per terra. Se non fosse la compassione a impedirlo, ci sarebbe da ridere. La caduta, inoltre, può avere conseguenze gravi e in un anziano può produrre una frattura fatale. Nella vita interiore è assai vantaggioso per noi tutti essere quasi modo geniti infantes, come quei piccoli che sembrano fatti di gomma, che sanno godere persino dei loro capitomboli, perché si rimettono subito in piedi per continuare le loro scorribande e perché hanno anche, se è necessario, il conforto dei genitori.

Se ci comportiamo come loro, gli inciampi e gli insuccessi — peraltro inevitabili — della vita interiore non sboccheranno mai nell'amarezza. Reagiremo col pentimento, ma senza sconforto, e col sorriso che sgorga, come acqua limpida, dalla gioia della nostra condizione di figli di Dio, figli del suo Amore di Padre, della sua grandezza, della sua sapienza infinita, della sua misericordia. Ho imparato, nei miei anni di servizio al Signore, ad essere figlio piccino di Dio. È ciò che chiedo a voi: siate quasi modo geniti infantes, bambini che desiderano la parola di Dio, il pane di Dio, l'alimento di Dio, la fortezza di Dio, per comportarvi d'ora innanzi come veri cristiani.

Siate molto bambini! Quanto più piccoli, tanto meglio. Ve lo dice l'esperienza di questo sacerdote, che ha dovuto rialzarsi molte volte nel corso di questi trentasei anni — mi sembrano tanto brevi e tanto lunghi! — vissuti cercando di compiere un'esplicita Volontà di Dio. Una cosa mi ha sempre aiutato: essere rimasto bambino, continuare a rifugiarmi nel grembo di mia Madre e nel Cuore di Cristo, mio Signore.

Le grandi cadute, quelle che causano gravi devastazioni nell'anima, talvolta con effetti quasi irrimediabili, procedono sempre dalla superbia, dal credersi adulti, autosufficienti. In tali casi, prevale nella persona una sorta di incapacità di chiedere aiuto a chi lo può dare: non solo a Dio, ma anche all'amico, al sacerdote. E quella povera anima, isolata nella sua disgrazia, cade nel disorientamento, nel traviamento.

Preghiamo in questo momento Dio perché non voglia mai permettere che ci sentiamo soddisfatti, perché accresca in noi il desiderio del suo aiuto, della sua parola, del suo Pane, della sua consolazione, della sua fortezza: razionabile, sine dolo lac concupiscite; alimentate l'ansia, la bramosia di essere come bambini. Convincetevi che è il modo migliore di vincere la superbia. Persuadetevi che è l'unico rimedio perché il nostro modo di operare sia buono, grande, divino. In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18, 3).

Mi ritorna ancora alla memoria quel ricordo di gioventù. Che grande manifestazione di fede! Mi sembra di udire ancora il canto liturgico, di respirare l'aroma dell'incenso, di vedere migliaia e migliaia di uomini, ciascuno col suo grande cero — che è come il simbolo della loro miseria —, ma con cuore di bambini, di creature che forse non osano alzare gli occhi al volto del loro padre. Riconosci e vedi quanto è cosa cattiva e amara l'avere abbandonato il Signore tuo Dio (Ger 2, 19). Rinnoviamo la ferma decisione di non allontanarci mai dal Signore per correre dietro alle cose della terra. Aumentiamo, con propositi concreti per la nostra condotta, la sete di Dio: come creature che riconoscono la propria indigenza e cercano, chiamano, incessantemente il Padre.

Ma ripeto: bisogna imparare a essere come bambini, bisogna imparare a essere figli di Dio. E, allo stesso tempo, bisogna comunicare agli altri questo atteggiamento che, in mezzo alle naturali debolezze, ci farà forti nella fede (1 Pt 5, 9), fecondi nelle opere e sicuri nel cammino; così, qualunque sia l'errore che possiamo commettere, anche il più disgustoso, non esiteremo a reagire, a ritornare sulla via maestra della filiazione divina che si conclude nelle braccia aperte, accoglienti, di Dio nostro Padre.

Chi di voi non ricorda le braccia del proprio padre? Forse non erano tanto indulgenti, dolci e delicate come quelle della madre. Ma quelle braccia robuste, forti, ci davano calore e sicurezza. Signore, grazie per quelle braccia rudi; grazie per quelle mani forti; grazie per quel cuore tenero e schietto. Stavo per dirti: grazie anche per i miei errori! No, perché Tu non li vuoi! Ma li comprendi, li scusi, li perdoni.

È questa la sapienza che Dio si attende da noi nel nostro rapporto con Lui; quasi una manifestazione di scienza matematica: riconoscere che siamo uno zero… Ma Dio nostro Padre ama ciascuno di noi così com'è. Io — che non sono altro che un povero uomo — amo ciascuno di voi così com'è; immaginatevi allora quale sarà l'Amore di Dio! A condizione di lottare, a condizione di impegnarci a dare alla vita l'orientamento dettato da una coscienza ben formata.

Il Signore si è avvicinato tanto alle creature, che tutti conserviamo in cuore aneliti di altezza, ansia di salire in alto, di fare il bene. Se ora ridesto in te tali aspirazioni, è perché voglio che ti convinca della sicurezza che Egli ha posto nella tua anima: se lo lasci operare, servirai — dal tuo posto — come strumento utile, dall'efficacia insospettata. E affinché tu non ti allontani, per viltà, dalla fiducia che Dio ripone in te, evita la presunzione di disprezzare ingenuamente le difficoltà che appariranno sul tuo cammino di cristiano.

Non dobbiamo stupircene. Trasciniamo in noi stessi — conseguenza della natura caduta — un principio di opposizione, di resistenza alla grazia: sono le ferite del peccato originale, esacerbate dai nostri peccati personali. Pertanto, dobbiamo intraprendere quelle ascensioni, quei compiti divini e umani di ogni giorno — che sempre sfociano nell'Amore di Dio —, con umiltà, con cuore contrito, fiduciosi nell'assistenza divina, e tuttavia dedicando ad essi le nostre migliori energie, come se tutto dipendesse da noi.

Mentre lotti — una lotta che durerà fino alla morte —, non escludere la possibilità che insorgano, violenti, i nemici di dentro e di fuori. E, come se questo peso non bastasse, a volte faranno ressa nella tua mente gli errori commessi, forse abbondanti. Te lo dico in nome di Dio: non disperare. Se ciò avviene — non deve succedere necessariamente, né sarà cosa abituale —, trasforma la prova in un'occasione per unirti maggiormente al Signore, perché Lui, che ti ha scelto come figlio, non ti abbandonerà. Permette la prova, per spingerti ad amare di più e farti scoprire con maggiore chiarezza la sua continua protezione, il suo Amore.

Ti ripeto, fatti coraggio, perché Cristo, che ci ha perdonato sulla Croce, continua a offrire il suo perdono nel sacramento della Penitenza, e sempre, per giungere alla vittoria, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1 Gv 2, 1-2).

Avanti, qualunque cosa succeda! Ben protetto dal braccio del Signore, considera che Dio non perde battaglie. Se ti allontani da Lui, quale ne sia il motivo, reagisci con l'umiltà di chi vuole cominciare e ricominciare; di chi vuol fare da figlio prodigo tutti i giorni e anche molte volte nel corso delle ventiquattro ore; di chi vuole risanare il suo cuore contrito nella Confessione, vero miracolo dell'Amor di Dio. In questo sacramento meraviglioso, il Signore pulisce la tua anima e ti inonda di gioia e di forza per non venir meno nella lotta, e per ritornare instancabilmente a Dio anche quando tutto ti sembra oscuro. Inoltre, la Madre di Dio, che è anche Madre nostra, ti protegge con la sua materna sollecitudine, e ti guida nel tuo avanzare.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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