Elenco di punti

Ci sono 5 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Conoscenza di sé.

Quando san Paolo allude a questo mistero, prorompe anche lui in un inno di giubilo che oggi possiamo assaporare attentamente: Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce (Fil 2, 5-8).

Gesù, nostro Signore, ci propone con frequenza l'esempio della sua umiltà: Imparate da me, che sono mite e umile di cuore (Mt 11, 29). Così tu e io impariamo che non c'è un altro cammino, perché solo la sincera conoscenza del nostro nulla ha la forza di attirare su di noi la grazia divina. Per noi Gesù venne a soffrire la fame e a dare cibo, venne a soffrire la sete e a dare da bere, venne rivestito della nostra mortalità e a rivestirci dell'immortalità, venne povero per farci ricchi (SANT'AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, 49, 19 [PL 36, 577]).

Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili (1 Pt 5, 5), insegna l'Apostolo Pietro. In ogni epoca, in ogni situazione umana, non esiste altra via — per vivere una vita divina — che quella dell'umiltà. Forse il Signore si compiace della nostra umiliazione? No. Che cosa guadagnerebbe con la nostra prostrazione colui che tutto ha creato, e regge e governa ciò che esiste? Dio desidera la nostra umiltà, lo svuotarci di noi stessi, unicamente perché Lui possa riempirci; vuole che non gli poniamo ostacoli e che — per dirla in modo umano — ci sia più posto per la sua grazia nel nostro povero cuore. Perché il Dio che ci ispira l'umiltà è lo stesso che trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose (Fil 3, 21). Il Signore ci fa suoi, ci riempie di sé; è Lui che ci ottiene la 'divinizzazione buona'.

Non so se da bambini vi è stata raccontata la favola del contadino che ricevette in dono un fagiano dorato. Passato il primo momento di allegria e di stupore per il regalo, il brav'uomo incominciò a domandarsi dove collocarlo. Dopo parecchie ore di dubbi e di ipotesi, decise di metterlo nel pollaio. Le galline, abbagliate dalla bellezza del nuovo venuto, gli giravano intorno con l'ammirazione di chi ha scoperto un semidio. In mezzo a tanta animazione, venne l'ora del pasto, e quando il padrone cominciò a lanciare le prime manciate di becchime, il fagiano — affamato dall'attesa — si lanciò avidamente a rimpinzarsi. Davanti a uno spettacolo così volgare — quel prodigio di bellezza mangiava con la voracità di qualunque altro animale —, le sue deluse compagne di pollaio si scagliarono col becco contro l'idolo caduto, e gli strapparono tutte le penne. Altrettanto triste è la caduta di chi idolatra se stesso; tanto più disastrosa quanto più l'infelice si è drizzato sulle proprie forze, confidando presuntuosamente sulle sue capacità personali.

Tocca a voi trarre conseguenze pratiche per la vostra vita quotidiana, sentendovi depositari di talenti — soprannaturali e umani — che dovete mettere a frutto rettamente; respingete il risibile inganno di ritenere che qualcosa vi appartenga, quasi fosse unicamente frutto dei vostri sforzi. Ricordatevi che c'è un addendo — Dio — dal quale nessuno può prescindere.

Incidiamolo bene nella nostra anima, perché lo si noti nel nostro comportamento: in primo luogo, la giustizia verso Dio. Questa è la pietra di paragone della vera fame e sete di giustizia (Mt 5, 6), che si distingue dal vociare degli invidiosi, dei malcontenti, degli egoisti e degli avari… Il rifiutare al nostro Creatore e Redentore il riconoscimento dei beni innumerevoli e ineffabili che ci concede, è infatti l'ingiustizia più ingrata e tremenda. Voi, se davvero vi sforzate di essere giusti, considererete spesso la vostra dipendenza da Dio — Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? (1 Cor 4, 7) —, per riempirvi di gratitudine e di desideri di corrispondenza verso un Padre che ci ama fino alla follia.

In questo modo si ravviverà in voi il buono spirito di pietà filiale, che vi indurrà a trattare il Signore con tenerezza di cuore. Se gli ipocriti insinuano nel vostro ambiente il dubbio sul diritto del Signore a chiedervi tanto, non lasciatevi ingannare. Per tutta risposta, vi metterete alla presenza di Dio, docilmente, senza condizioni, come l'argilla nelle mani del vasaio (Ger 18, 6), e gli dichiarerete umilmente: Deus meus et omnia!, Tu sei il mio Dio e il mio tutto. E se qualche volta giunge il colpo inatteso, l'immeritata afflizione a causa degli uomini, canterete con nuova gioia: «Sia fatta, si compia, sia lodata ed eternamente esaltata la giustissima e amabilissima Volontà di Dio su tutte le cose. Amen. Amen».

La virtù della speranza — che consiste nella sicurezza che Dio ci governa con la sua previdente onnipotenza e che ci dà i mezzi di cui abbiamo bisogno — ci dice la continua bontà del Signore verso gli uomini — verso di me, verso di te —, sempre disposto ad ascoltarci, perché Lui mai si stanca di ascoltare. Gli interessano le tue gioie, i tuoi successi, il tuo amore, e anche le tue angustie, il tuo dolore, i tuoi insuccessi. Perciò, non sperare in Lui solo quando ti imbatti nella tua debolezza; rivolgiti al tuo Padre del Cielo nelle circostanze favorevoli e nelle avverse, ricorrendo alla sua misericordiosa protezione. La certezza della nostra nullità personale — non si richiede una grande umiltà per riconoscere tale realtà: non siamo altro che un mucchio di zeri — si cambierà in fortezza irresistibile, perché alla sinistra di tanti zeri ci sarà Cristo, e ne risulterà una cifra immensa: Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? (Sal 26, 1).

Abìtuati a vedere Dio dietro ogni cosa, a sapere che Egli ci aspetta sempre, che ci contempla, e ci chiede, esigendocelo giustamente, di seguirlo con lealtà, senza abbandonare il luogo che in questo mondo ci è toccato. Dobbiamo camminare con affettuosa vigilanza, con la sincera preoccupazione di lottare per non perdere la divina compagnia.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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