Elenco di punti

Ci sono 7 punti in «Amici di Dio» il cui argomento è Cielo.

Quando tutti insieme conversiamo con Dio nostro Signore, e io mi rivolgo a voi, continuo a fare ad alta voce la mia orazione personale: mi piace ricordarlo molto spesso. Voi pure dovete sforzarvi di alimentare nelle vostre anime la vostra orazione personale, anche quando, per un qualsiasi motivo, come per esempio in questa circostanza, dobbiamo trattare un tema che a prima vista non sembra venire molto a proposito per un dialogo d'amore, tale essendo il nostro colloquio col Signore. Dico "a prima vista", perché tutto quel che ci capita, tutto ciò che accade accanto a noi, può e deve essere tema della nostra meditazione.

Devo parlarvi del tempo, del tempo che passa. Non voglio ripetere quel detto risaputo che ogni anno di più è un anno di meno… E nemmeno vi suggerisco di domandare in giro che cosa si pensa del trascorrere dei giorni, perché probabilmente — se lo faceste — ascoltereste risposte del genere "gioventù, tesoro divino, che passi per non tornare…", anche se non escludo che potreste sentire qualche altra considerazione più ricca di senso soprannaturale.

Non desidero neppure soffermarmi sul tema della brevità della vita, con accenti di rimpianto. La fugacità del cammino su questa terra dovrebbe incitare noi cristiani a trarre maggior profitto dal tempo, non certo ad aver paura del Signore, e ancor meno a considerare la morte una tragica fine.

Un anno che passa — lo si è detto in mille modi, più o meno poetici —, con la grazia e la misericordia di Dio, è un passo avanti verso il Cielo, nostra Patria definitiva.

Pensando a questa realtà, comprendo molto bene l'esclamazione di san Paolo ai corinzi: Tempus breve est! (1 Cor 7, 29), come è breve la durata del nostro passaggio sulla terra! Queste parole, per un cristiano coerente, risuonano nel più intimo del cuore come un rimprovero per la propria mancanza di generosità, come un costante invito a essere leale.

È davvero breve il tempo che abbiamo per amare, per dare, per riparare. Non è giusto perciò che lo sperperiamo, che gettiamo irresponsabilmente questo tesoro dalla finestra: non possiamo sprecare il momento del mondo che Dio ha affidato a ciascuno di noi.

Per raggiungere questa meta, dobbiamo operare mossi dall'Amore, non come chi sopporta il peso di un castigo o di una maledizione: Tutto quello che fate in parole e opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre (Col 3, 17). Agendo in questo modo, porteremo a termine le nostre occupazioni con perfezione, riempiendo il tempo, come strumenti innamorati di Dio, consci della grande responsabilità che il Signore ha messo sulle nostre spalle e della fiducia che ripone in noi, nonostante la nostra debolezza personale. In ogni tua attività, dal momento che puoi contare sulla fortezza di Dio, devi comportarti come chi è mosso esclusivamente dall'Amore.

Ma non chiudiamo gli occhi davanti alla realtà, accontentandoci di una visione ingenua, superficiale, che ci faccia pensare di aver davanti un cammino facile, e che per percorrerlo siano sufficienti dei propositi sinceri e dei desideri ardenti di servire il Signore. Potete esserne sicuri: nel corso degli anni si presenteranno — magari prima di quanto si pensi — situazioni particolarmente dure, che richiederanno molto spirito di sacrificio e un più generoso distacco da se stessi. Coltiva pertanto la virtù della speranza e, audacemente, fa' tuo il grido dell'apostolo: Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi (Rm 8, 18); medita con sicurezza e pace: che cosa sarà l'Amore infinito di Dio, riversato su questa povera creatura? È ormai il momento, in mezzo alle tue occupazioni abituali, di esercitare la fede, di risvegliare la speranza, di ravvivare l'amore; vale a dire, di rendere attive le tre virtù teologali, che ci spingono a sradicare subito, senza infingimenti, senza false coperture, senza giri di parole, gli equivoci nella nostra condotta professionale e nella nostra vita interiore.

Mi torna alla memoria — e di certo qualcuno di voi avrà già sentito questa riflessione in altre meditazioni — il sogno narrato da uno scrittore castigliano del secolo d'oro. Davanti a lui si aprono due strade. Una appare ampia e agevole, facile, fornita di luoghi di ristoro e di locande, e di altri alloggi comodi e allegri. È percorsa da gente a cavallo o in carrozza, in mezzo a musiche e risate — pazze sghignazzate —; si vede una folla ubriaca di gioia apparente, effimera, perché il cammino sbocca su un precipizio senza fondo. È la via dei mondani, degli eterni borghesi: ostentano un'allegria che in realtà non hanno; cercano insaziabilmente ogni sorta di comodità e di piaceri…; hanno orrore per il dolore, la rinuncia, il sacrificio. Non vogliono saperne della Croce di Cristo, la ritengono una follia.

Ma sono loro i pazzi: schiavi dell'invidia, della gola, della sensualità, alla fine soffrono di più, e troppo tardi si rendono conto di aver fatto un cattivo affare barattando la felicità terrena e quella eterna con una bagatella insipida. Il Signore ci previene: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? (Mt 16, 25-26).

In quel sogno, un altro sentiero si apre in diversa direzione: è così stretto e ripido, che è impossibile percorrerlo a dorso di mulo. Chi lo affronta, procede a piedi, a zigzag, sereno in volto, in mezzo a cardi pungenti e schivando dirupi. In certi passaggi, i viandanti lasciano brandelli delle loro vesti e anche della propria carne. Ma, alla fine, li accoglie un giardino delizioso, la felicità eterna, il Paradiso. È la via delle anime sante che si umiliano, che volentieri, per amore a Cristo, si sacrificano per gli altri; è il percorso di chi non ha paura di andare in salita, addossandosi con amore la croce, per quanto pesante, perché sanno che, se il peso li fa vacillare, potranno rialzarsi e continuare a salire: Cristo è la forza di questi viandanti.

Che importa inciampare, se nel dolore della caduta ritroviamo l'energia che ci raddrizza di nuovo e ci spinge a proseguire con slancio rinnovato? Non dimenticate che santo non è chi non cade, ma chi si rialza sempre, con umiltà, con santa ostinazione. Se nel libro dei Proverbi si legge che il giusto cade sette volte al giorno (cfr Pro 24, 16), tu e io — povere creature come siamo — non dobbiamo né meravigliarci né scoraggiarci di fronte alle nostre miserie personali, ai nostri inciampi, perché potremo sempre proseguire se cerchiamo la forza in Colui che ci ha promesso: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò (Mt 11, 28). Grazie, Signore, quia tu es, Deus, fortitudo mea (Sal 42, 2), perché sei sempre stato Tu, e soltanto Tu, Dio mio, la mia fortezza, il mio rifugio, il mio sostegno.

Se davvero vuoi progredire nella vita interiore, sii umile. Ricorri con costanza, con fiducia, all'aiuto del Signore e della sua Madre benedetta, che è anche tua Madre. Con serenità, tranquillamente, per quanto possa farti male la ferita ancora non rimarginata del tuo ultimo scivolone, abbraccia di nuovo la croce e ripeti: «Signore, con il tuo aiuto, lotterò per non fermarmi, risponderò fedelmente ai tuoi inviti, senza paura dei ripidi pendii, né dell'apparente monotonia del lavoro abituale, né dei cardi e dei rovi del sentiero. Sono certo che la tua misericordia mi assiste, e che al termine del cammino troverò la felicità eterna, la gioia e l'amore per l'infinità dei secoli».

Poi, sempre in quel sogno, lo scrittore scopriva un terzo itinerario: angusto, anch'esso costellato di asperità e di dure salite come il secondo. Era percorso da alcune persone che procedevano fra mille sofferenze, ma con aria solenne e maestosa. Eppure, finivano nello stesso orribile precipizio al quale conduceva il primo sentiero. È il cammino degli ipocriti, di coloro che sono privi di rettitudine di intenzione, che sono mossi da un falso zelo, e pervertono le opere divine mescolandole con egoismi temporali. È stolto intraprendere un'impresa difficile per essere ammirati; osservare i comandamenti di Dio con molto sforzo, ma aspirare a una ricompensa terrena. Chi si ripromette benefici umani dall'esercizio delle virtù è come chi svende un oggetto prezioso per pochi spiccioli: poteva conquistare il Cielo, e invece si accontenta di un'effimera lode… Per questo si dice che le speranze degli ipocriti sono come una ragnatela: tanta fatica per tesserla, e alla fine il vento della morte se la prende in un soffio (SAN GREGORIO MAGNO, Moralia, 2, 8, 43-44 [PL 75, 844-845]).

A volte, quando ci capita il contrario di quello che desideriamo, ci viene spontaneo alle labbra: «Signore, tutto crolla, tutto, tutto…!». È questo il momento di rettificare: «Con te, avanzerò sicuro, perché Tu sei la forza stessa quia tu es, Deus, fortitudo mea, tu sei il Dio della mia difesa» (Sal 42, 2).

In mezzo alle tue occupazioni, ti ho chiesto di alzare gli occhi al cielo con perseveranza, perché la speranza ci spinge a stringere la mano forte che Dio ci tende senza posa, affinché non perdiamo il punto di mira soprannaturale; ti ho chiesto di alzarli anche quando le passioni si ribellano e ci assalgono, chiudendoci nel cantuccio meschino del nostro io, o quando — con vanità puerile — ci sentiamo il centro dell'universo. Io vivo con la persuasione che, se non guardo in alto, se non cerco Gesù, mai otterrò qualcosa; e so che la mia fortezza, per vincermi e per vincere, nasce dal ripetere quel grido che contiene la promessa sicura che Dio non abbandona i suoi figli, se i suoi figli non lo abbandonano: Tutto posso in colui che mi dà la forza (Fil 4, 13).

Mettetevi con frequenza tra i personaggi del Nuovo Testamento. Assaporate le scene commoventi in cui il Maestro opera con gesti divini e umani, o riferisce con espressioni divine e umane la storia sublime del perdono, il suo Amore ininterrotto per i suoi figli. Questa replica del Cielo si rinnova anche ora, nella perenne attualità del Vangelo: si avverte, si nota, si tocca con le mani la protezione divina. Ed è una difesa che cresce di vigore quando andiamo avanti nonostante gli inciampi, quando cominciamo e ricominciamo, perché tale è la vita interiore, quando la si vive con la speranza in Dio.

Se manca lo slancio di superare gli ostacoli interni ed esterni, non otterremo il premio. Non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole (2 Tm 2, 5), e non sarebbe autentico il combattimento se mancasse l'avversario con cui lottare. Pertanto, se non c'è avversario non c'è corona, perché non ci può esser vincitore là dove non c'è vinto (SAN GREGORIO NISSENO, De perfecta christiani forma [PG 46, 286]).

Lungi dallo scoraggiarci, le contrarietà devono essere uno stimolo per crescere come cristiani: in questa lotta ci santifichiamo, e il nostro lavoro apostolico acquista maggiore efficacia. Meditando quei momenti in cui Gesù — nell'Orto degli ulivi e, più tardi, nell'abbandono e nell'ignominia della Croce — accetta e ama la Volontà del Padre, mentre patisce il peso immane della Passione, dobbiamo persuaderci che per imitare Cristo, per essere buoni discepoli suoi, occorre abbracciare il suo consiglio: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mt 16, 24). Perciò mi piace chiedere a Gesù, per me: «Signore, non un giorno senza croce!». Così, con la grazia divina, si rafforzerà il nostro carattere, e serviremo di appoggio al nostro Dio, al di sopra delle nostre miserie personali.

Cercate di capire: se piantando un chiodo nella parete non incontraste resistenza, che cosa potreste appendervi? Se non ci irrobustiamo, con l'aiuto divino, per mezzo del sacrificio, non potremo divenire strumenti del Signore. Se invece, per amor di Dio, ci decidiamo a trarre profitto con allegria dalle contrarietà, non ci costerà fatica, nelle situazioni difficili e sgradevoli, nelle occasioni dure e disagevoli, esclamare, come gli Apostoli Giacomo e Giovanni: Possiamo! (Mc 10, 38).

Questa lotta di chi sa di essere figlio di Dio non comporta tristi rinunce, tetre rassegnazioni, o privazioni della gioia: essa è il modo di reagire dell'innamorato che, nel lavoro e nel riposo, nella gioia e nella sofferenza, pensa alla persona amata, e per lei affronta volentieri le difficoltà. Nel nostro caso, inoltre, poiché Dio — insisto — non perde battaglie, uniti a Lui saremo vincitori. So per esperienza che se mi adatto fedelmente ai suoi desideri, su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza (Sal 22, 2-4).

Nelle battaglie dell'anima, la strategia, a volte, è saper attendere, dovendosi applicare il rimedio conveniente con pazienza, con tenacia. Aumentate, dunque, gli atti di speranza. Vi ricordo che subirete delle sconfitte o che passerete per degli alti e bassi — Dio voglia che siano impercettibili — nella vostra vita interiore, perché nessuno è immune da queste vicissitudini. Ma il Signore, che è onnipotente e misericordioso, ci ha concesso i mezzi idonei per vincere. Basta che li impieghiamo, come dicevo, con la decisione di cominciare e ricominciare ogni momento, se fosse necessario.

Accostatevi settimanalmente — e ogni volta che ne abbiate bisogno, ma senza cadere negli scrupoli — al santo sacramento della Penitenza, il sacramento del divino perdono. Rivestiti della grazia, attraverseremo le montagne (cfr Sal 103, 10), percorrendo l'ascesa del compimento del dovere cristiano senza attardarci. Impiegando queste risorse con buona volontà e chiedendo al Signore di concederci una speranza di giorno in giorno maggiore, possederemo la contagiosa allegria di chi sa di essere figlio di Dio: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8, 31). Ottimismo, dunque: mossi dalla forza della speranza, lotteremo per cancellare la macchia viscida lasciata dai seminatori dell'odio e riscopriremo il mondo da una prospettiva di gioia, perché esso è uscito bello e limpido dalle mani di Dio. Altrettanto bello potremo restituirlo a Lui, se impariamo a pentirci.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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