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Il peccato dei farisei non consisteva nel non vedere Dio in Cristo, bensì nel chiudersi volontariamente in se stessi, perché non tolleravano che Gesù, che è la luce, aprisse loro gli occhi (cfr Gv 9, 34-41). Questa cecità ha un'influenza immediata nei rapporti con i nostri simili. Il fariseo che credendosi luce non permette a Dio di aprirgli gli occhi è lo stesso che tratta con superbia e ingiustamente il prossimo: Io ti ringrazio di non essere come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri; e nemmeno come questo publicano (Lc 18, 11). Così prega. E al cieco nato, che persiste nel raccontare la verità della guarigione miracolosa, vengono rivolti questi insulti: Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi? E lo cacciarono fuori (Gv 9, 34).

Tra quelli che non conoscono Cristo ci sono molti galantuomini che, per elementare riguardo, sanno comportarsi con delicatezza e sono sinceri, cordiali, educati. Se loro e noi lasciamo che Cristo guarisca quel resto di cecità che ancora ci offusca gli occhi, se permettiamo al Signore di applicarci quel fango che nelle sue mani diventa un incomparabile collirio, allora noi potremo vedere le realtà terrene e intravedere le realtà eterne con una luce nuova, con la luce della fede: avremo acquistato uno sguardo puro.

Questa è la vocazione del cristiano: la pienezza della carità che è paziente, è benigna; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera. tutto sopporta (1 Cor 13, 4-7).

La carità di Cristo non è soltanto un buon sentimento verso il prossimo, non si limita al piacere della filantropia. La carità infusa da Dio nell'anima trasforma dal di dentro l'intelligenza e la volontà, fonda soprannaturalmente l'amicizia e la gioia di compiere il bene.

Contemplate l'episodio della guarigione dello storpio, tramandatoci dagli Atti degli Apostoli. Pietro e Giovanni salivano al tempio e, all'entrare, si imbattono in un uomo seduto accanto alla porta; quest'uomo era storpio fin dalla nascita. La scena ricorda quella della guarigione del cieco. Ma in questa occasione i discepoli non pensano che la disgrazia sia dovuta ai peccati personali dell'infermo o a quelli dei suoi genitori. Invece gli dicono: Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina (At 3, 6). Prima erano pieni d'incomprensione, adesso di misericordia; prima giudicavano temerariamente, adesso guariscono miracolosamente nel nome del Signore. È sempre Gesù che passa! È Cristo che continua a passare per le strade e le piazze del mondo nella persona dei suoi discepoli, i cristiani: io gli chiedo ardentemente di passare attraverso l'anima di qualcuno di coloro che in questo momento mi ascoltano.

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