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Già da tempo amo recitare una commovente invocazione a san Giuseppe che la Chiesa stessa ci propone tra le preghiere di preparazione alla Messa: O beato Giuseppe, uomo felice, a cui fu concesso che quel Dio, che molti re vollero vedere e non videro, sentire e non sentirono, non solo fosse da te visto e sentito, ma anche portato in braccio, baciato, vestito e custodito: prega per noi. Questa preghiera ci servirà a entrare nell'ultimo tema che voglio toccare: il rapporto intimo e affettuoso tra Giuseppe e Gesù.

La vita di Gesù fu per Giuseppe una continua scoperta della propria vocazione. Abbiamo già ricordato quei primi anni pieni di eventi in apparente contrasto: glorificazione e fuga, dignità dei Magi e povertà del presepio, canto di angeli e silenzio degli uomini. Quando giunge il momento di presentare il Bambino al tempio, Giuseppe, che porta la povera offerta di un paio di tortore, ascolta Simeone e Anna che proclamano che Gesù è il Messia. Suo padre e sua madre — ci narra san Luca — si stupivano delle cose che si dicevano di lui (Lc 2, 33). Più tardi, quando il Bambino rimane nel tempio senza che Maria e Giuseppe se ne avvedano, ritrovandolo dopo tre giorni, essi — è sempre Luca che narra — restarono meravigliati (Lc 2, 48).

Giuseppe resta sorpreso, si meraviglia. Dio gli ha rivelato i suoi piani ed egli cerca di capirli. Come ogni anima che vuole seguire Gesù da vicino, egli scopre subito che non è possibile camminare con passo stanco, che non si possono far le cose per abitudine. Dio, infatti, non accetta che ci si stabilizzi a un certo livello, che ci si adagi sulle posizioni raggiunte. Dio esige costantemente di più, e le sue vie non sono le nostre vie terrene. San Giuseppe, meglio di chiunque altro prima o dopo di lui, ha imparato da Gesù a essere pronto a riconoscere le meraviglie di Dio, a tenere aperti l'anima e il cuore.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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