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In certe occasioni, lavorando per persone più povere di lui, immaginiamo Giuseppe che accetta un compenso simbolico, quanto basta a lasciare l'altra persona con la soddisfazione di aver pagato. Ma normalmente Giuseppe si sarà fatto pagare il giusto prezzo, né più né meno. Avrà saputo esigere, secondo giustizia, quanto gli era dovuto, poiché la fedeltà a Dio non richiede la rinuncia a diritti che in realtà sono doveri: e Giuseppe era tenuto a esigere il giusto, perché con il compenso del suo lavoro doveva sostenere la Famiglia che Dio gli aveva affidato. L'esigere un diritto non deve essere però frutto di egoismo individualista. Non si ama la giustizia se non si desidera di vederla compiuta in favore degli altri. Nemmeno è lecito chiudersi in una religiosità comoda, che dimentica i bisogni del prossimo. Chi desidera essere giusto agli occhi di Dio, si sforza di promuovere concretamente la giustizia tra gli uomini. E non soltanto per il buon motivo di non occasionare ingiuria al nome di Dio, ma anche perché essere cristiani significa fare proprie tutte le nobili aspirazioni umane. Parafrasando una nota frase dell'apostolo Giovanni (cfr 1 Gv 4, 20), si può dire che chi afferma d'essere giusto con Dio, ma non lo è con gli uomini, è menzognero, e la verità non dimora in lui.

Io, come tutti i cristiani che hanno vissuto quel momento, accolsi con emozione e con gioa, anni fa, l'istituzione della festività liturgica di san Giuseppe Lavoratore. Questa festa, che è la canonizzazione del valore divino del lavoro, dimostra che la Chiesa, nella sua vita sociale e pubblica, si fa eco di quelle verità centrali del Vangelo che Dio vuole siano meditate in modo speciale in questa nostra epoca.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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