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Vi ho tracciato con la dottrina di Cristo, non con le mie idee, un cammino cristiano ideale; si tratta senza dubbio di un cammino elevato, sublime, attraente. E forse qualcuno si domanda: è possibile viverlo nella società di oggi? È vero: il Signore ci ha chiamati in un momento in cui si parla molto di pace e non c'è pace, né nelle anime, né nelle istituzioni, né nella vita sociale, né tra i popoli. Si parla continuamente di uguaglianza e di democrazia e abbondano le caste, chiuse, impenetrabili. Ci ha chiamati in un tempo in cui si reclama la comprensione, e la comprensione brilla per la sua assenza, persino tra persone che agiscono in buona fede e vogliono praticare la carità, perché — non dimenticatelo — la carità, più che nel dare, consiste nel comprendere.

Viviamo in un'epoca nella quale i fanatici e gli intransigenti — incapaci di ammettere le ragioni altrui — mettono le mani avanti e tacciano di violente e aggressive le loro vittime. Ci ha chiamati infine quando si blatera molto di unità, ed è forse difficile immaginare maggior disunione, non solo tra gli uomini in genere, ma anche tra gli stessi cattolici.

Non faccio mai considerazioni politiche, perché non è mio compito. D'altronde, per descrivere dalla mia prospettiva di sacerdote la situazione del mondo attuale, mi basta ripensare a una parabola del Signore, quella del frumento e della zizzania. Il Regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò (Mt 13, 24-25). Il senso è chiaro: il campo è fertile e il seme è buono; il Signore del campo ha seminato a piene mani al momento opportuno, con consumata esperienza; ha stabilito inoltre un servizio di vigilanza per proteggere la semina recente. Se poi compare la zizzania è perché non c'è stata corrispondenza, perché gli uomini — i cristiani, in particolare — si sono addormentati e hanno acconsentito che il nemico si avvicinasse.

Quando i servi irresponsabili domandano al Signore come mai è cresciuta la zizzania nel suo campo, la spiegazione è lampante: Inimicus homo hoc fecit (Mt 13, 28), è stato il nemico. Noi cristiani, che dovevamo essere vigilanti affinché le cose buone poste nel mondo dal Creatore crescessero al servizio della verità e del bene, ci siamo addormentati — triste pigrizia questo sonno! — mentre il nemico e tutti coloro che lo servono si davano da fare senza riposo. Ormai vedete come è cresciuta la zizzania, e che semina abbondante ed estesa!

Non ho la vocazione di profeta di sventure. Non desidero con le mie parole presentarvi un panorama desolato, senza speranze. Non intendo lamentarmi del tempo in cui viviamo per provvidenza del Signore. Dobbiamo amare questa nostra epoca, perché è l'àmbito in cui dobbiamo raggiungere la nostra santità personale. Non accettiamo nostalgie ingenue e sterili: il mondo non è mai stato migliore. Da sempre, fin dalla nascita della Chiesa, quando ancora echeggiava la predicazione dei primi dodici, sorsero violente le persecuzioni, iniziarono le eresie, venne propalata la menzogna e si scatenò l'odio.

Ma neppure sarebbe logico, d'altro canto, negare che il male è cresciuto. In tutto questo campo di Dio che è la terra — eredità ricevuta da Cristo — è germogliata la zizzania; e che abbondanza di zizzania! Non possiamo lasciarci ingannare dal mito del progresso perenne e irreversibile. Il progresso rettamente ordinato è buono, e Dio lo vuole. Ma si è più sensibili all'altro progresso, quello falso, che acceca tanti uomini che sovente non si accorgono che l'umanità, sotto alcuni aspetti, retrocede e perde il frutto delle sue conquiste.

Il Signore, ripeto, ci ha dato il mondo in eredità. E noi dobbiamo avere anima e intelligenza vigili; dobbiamo essere realisti, pur senza cadere nel disfattismo. Solo una coscienza incallita, o l'insensibilità dell'abitudinarismo, o lo stordimento frivolo, possono permettere che si guardi il mondo senza vedere il male, l'offesa a Dio, il danno a volte irreparabile arrecato alle anime. Dobbiamo essere ottimisti, ma di un ottimismo che nasce dalla fede nel potere di Dio — e Dio non perde battaglie —, un ottimismo che non si fonda sulla sufficienza umana, su di un senso di soddisfazione sciocco e presuntuoso.

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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