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Quando un sacerdote vive la santa Messa come si deve — adorando, espiando, impetrando, rendendo grazie, identificandosi con Cristo — e insegna agli altri a fare del Sacrificio dell'Altare il centro e la radice della vita cristiana, dimostra realmente la grandezza incomparabile della sua vocazione, e cioè quel carattere che porta impresso e che non perderà per tutta l'eternità.

So che mi capite quando vi dico che, ben diversamente dal tipo di sacerdote a cui mi sto riferendo, bisogna considerare un fallimento — umano e cristiano — la condotta di taluni che si comportano come se dovessero chiedere scusa di essere ministri di Dio. Sono incorsi in una situazione disgraziata che li spinge ad abbandonare il ministero, a mimetizzarsi tra i laici, a cercare una seconda occupazione che un po' alla volta sostituisce quella propria della loro vocazione e della loro missione. Sovente, nel rifuggire dal lavoro inerente alla cura spirituale delle anime, tendono a sostituirlo con interventi nei campi d'azione propri dei laici — nelle iniziative a carattere sociale, nella politica — e appare così il fenomeno del «clericalismo», autentica patologia della vera missione sacerdotale.

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