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Non vi nascondo che, quando devo correggere o prendere una decisione che darà dispiacere, soffro prima, durante e dopo: e non sono un sentimentale. Mi consola il pensiero che soltanto le bestie non piangono: gli uomini, i figli di Dio, piangono. Capisco che in certi momenti anche voi dovrete passare un brutto quarto d'ora, se vi impegnate a compiere fedelmente il vostro dovere. Non dimenticate che è molto più comodo — ma significherebbe andare fuori strada — evitare a ogni costo una sofferenza, con la scusa di non dare un dispiacere al prossimo: spesso questa inibizione racchiude un vergognoso rifuggire dal dolore proprio, perché normalmente non è piacevole dare un avvertimento serio. Figli miei, ricordatevi che l'inferno è pieno di bocche chiuse.

So che mi stanno ascoltando alcuni medici. Scusate se mi permetto di prendere un altro esempio dalla medicina; può darsi che non sia del tutto esatto, ma il paragone ascetico regge. Per curare una ferita, innanzitutto la si pulisce bene, anche tutt'intorno, fino a una buona distanza. Il chirurgo lo sa benissimo che fa male; ma se evita questa operazione, dopo farà ancora più male. Inoltre, applica subito il disinfettante: brucia — 'pizzica', come si dice —, mortifica, ma non si può fare a meno di usarlo, per evitare che la piaga si infetti.

Se per la salute corporale è evidente il dovere di prendere queste misure, anche se si tratta di leggere escoriazioni, nelle cose grandi della salute dell'anima — nei punti nevralgici della vita di una persona — figuriamoci se non ci sarà da lavare, da incidere, da pulire, da disinfettare, e da soffrire! La prudenza ci impone questi interventi e di non rifuggire dal dovere, perché passar sopra denoterebbe una grave mancanza di criterio, e anche un grave attentato alla giustizia e alla fortezza.

Siate persuasi che il cristiano, se davvero vuole agire con rettitudine, al cospetto di Dio e al cospetto degli uomini, ha bisogno di tutte le virtù, almeno in potenza. Qualcuno mi domanderà: «Padre, e le mie debolezze?». Ecco la risposta: «Quando un medico è malato, smette forse di curare, anche se è afflitto da una malattia cronica? La sua malattia gli impedirà forse di prescrivere ad altri malati la medicina opportuna? Certamente no: per curare, gli basta possedere la scienza adeguata e metterla in pratica, con lo stesso interesse con cui combatte la propria infermità».

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