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Non date credito a coloro che presentano la virtù dell'umiltà come una menomazione dell'uomo o come una perpetua condanna alla tristezza. Sentirsi di terracotta, riparata con dei punti, è fonte di continua gioia; significa riconoscersi poca cosa di fronte a Dio: bambino, figlio. C'è felicità più grande di quella di colui che, povero e debole, sa però di essere figlio di Dio? Perché invece gli uomini sono tristi? Perché la vita sulla terra non si svolge come essi personalmente sperano, perché sorgono ostacoli che impediscono o rendono difficile la soddisfazione delle loro pretese.

Nulla di tutto questo avviene quando l'anima vive la realtà soprannaturale della filiazione divina: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8, 31). Sono tristi — ripeto da sempre — coloro che si ostinano a non riconoscersi figli di Dio.

Per concludere, facciamoci suggerire dalla liturgia odierna due suppliche che devono prorompere ardenti dalla nostra bocca e dal nostro cuore: Dio Onnipotente, la partecipazione a questi divini misteri ci dia la grazia di meritare i doni celesti (Orazione post communionem della Messa]; e ancora: Ti preghiamo, Signore, di concederci di servirti costantemente secondo la tua volontà (Orazione super populum). Servire, figli miei, servire è il nostro compito; essere servitori di tutti perché si accresca in numero e in virtù il popolo fedele (Orazione super populum).

Riferimenti alla Sacra Scrittura
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