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Quando si avvicina il momento della passione e Gesù vuole manifestare in modo espressivo la sua regalità, entra trionfalmente in Gerusalemme: cavalcando un asinello! Era scritto che il Messia doveva essere un re di umiltà: Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina (Mt 21, 5; Zc 9, 9).

Infine, durante l'Ultima Cena, quando Gesù ha preparato tutto per prendere commiato dai suoi discepoli, essi ancora una volta sono invischiati in una contesa su chi dovesse essere considerato il più grande in quel gruppo di prescelti. Gesù si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse intorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto (Gv 13, 4-5).

Di nuovo predica con l'esempio, con le opere. Di fronte ai discepoli che discutevano per motivi di superbia e di vanagloria, Gesù si umilia e compie lietamente la mansione del servitore. Poi, quando torna a tavola, commenta: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri» (Gv 13, 12-14). Mi commuove la delicatezza di Gesù, perché non dice: «Se io ho fatto questo, quanto più dovrete farlo voi!». Si mette sullo stesso piano, non obbliga: riprende amorosamente la mancanza di generosità di quegli uomini.

Come ai primi dodici, così anche a noi il Signore può suggerire e suggerisce di continuo: exemplum dedi vobis (Gv 13, 15), vi ho dato un esempio di umiltà. Mi sono fatto servo, perché voi impariate, con cuore umile e mite, a servire tutti gli uomini.

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